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Il caso Sudafrica vs. Israele: come leggere l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia

31 Gennaio 2024 9 min lettura

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Il caso Sudafrica vs. Israele: come leggere l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia

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Come già riportato da Valigia Blu, il 26 gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia ha adottato l’ordinanza sulle misure cautelari nel ricorso promosso dal Sudafrica contro lo Stato di Israele per le possibili violazioni della Convenzione internazionale sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio. La Corte ha ordinato ad Israele di implementare una serie di misure affinché vengano impediti atti di genocidio e sia assicurata la tutela della situazione umanitaria della popolazione palestinese all’interno della Striscia di Gaza, dove Israele sta conducendo operazioni militari contro Hamas.

Per chi non è familiare con il diritto internazionale e le specifiche dinamiche della giustizia internazionale, comprendere l’ordinanza può risultare complesso. Ecco quindi alcune coordinate per una lettura accessibile anche a chi non ha una formazione giuridica.

Il contesto giuridico

La Corte ha emesso la sua decisione in risposta a un ricorso presentato dal Sudafrica contro Israele, avvalendosi di una clausola compromissoria (Articolo IX) inclusa nella Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine del genocidio del 1951. Questa convenzione ha più di 150 Stati parte, tra cui il Sudafrica e Israele stessi. La menzionata clausola consente agli Stati parte di sottoporre alla Corte qualsiasi controversia riguardante l'interpretazione e l'applicazione della convenzione. Nel caso in questione, il Sudafrica ha accusato Israele di violare diverse disposizioni della Convenzione, tra cui la commissione diretta di genocidio, la complicità, la mancata prevenzione e repressione, e l'incitamento diretto.

La Corte non poteva pronunciarsi sull’esistenza di un genocidio in questa fase

La questione centrale riguarda l'eventuale esistenza di un genocidio in corso commesso o agevolato dallo Stato di Israele. L'ordinanza attuale, tuttavia, non menziona tale eventualità, poiché tali valutazioni sono riservate alla fase del merito. Attualmente, ci troviamo nella fase cautelare, durante la quale la Corte sta esaminando se siano presenti le condizioni per adottare misure d'urgenza (“provisional measures”). Queste misure sono volte esclusivamente a preservare lo status quo in attesa che il procedimento giunga alla fase della decisioni.

Le misure cautelari possono essere adottate quando vi è una certa probabilità di violazione di un diritto e il rischio di un pregiudizio irreparabile. In altre parole, sono misure che cercano di evitare che la Corte debba pronunciarsi sull’esistenza di un genocidio a genocidio avvenuto. Poiché sono di natura conservativa, la valutazione dei requisiti per la loro adozione è necessariamente più sommaria rispetto a quella effettuata durante la fase del merito.

In questo caso, la Corte non doveva valutare l'esistenza effettiva di una violazione della Convenzione sul genocidio, ma piuttosto quello che nel gergo della Corte si chiama la sua plausibilità (“plausibility”), ovvero una certa probabilità che tale violazione sia in atto. Questo non implica automaticamente che un genocidio a Gaza sia plausibile, poiché le accuse del Sudafrica riguardano non solo la commissione diretta di un genocidio da parte di Israele, ma anche molteplici altre violazioni della Convenzione, tra cui la mancata prevenzione di un genocidio in atto, la mancata repressione, la complicità e l'incitamento diretto.

Per questo, si legge nel paragrafo 54 dell’ordinanza che la Corte ritiene che “almeno alcuni dei diritti invocati dal Sudafrica sono plausibili”. In modo più esplicito, nell’opinione separata del giudice Nolte, che ha votato a favore dell'adozione delle misure cautelari, si afferma che, sebbene il giudice non consideri plausibile un genocidio in corso commesso direttamente da Israele, le altre violazioni sollevate dal Sudafrica possono essere ragionevolmente plausibili.

È probabile che la Corte non giunga alla conclusione che Israele stia compiendo atti di genocidio

Anche qualora si arrivasse alla fase del merito, è estremamente difficile che la Corte riconosca una violazione da parte di Israele dell’obbligo di non commettere direttamente un genocidio. La nozione di genocidio secondo la Convenzione è particolarmente rigorosa, richiedendo non solo la distruzione di un gruppo (in tutto o in parte), ma soprattutto l'intento genocidiario specifico, ossia l'intenzione di compiere tale atto.

Dimostrare l'intento di uno Stato di perpetrare un genocidio è un compito arduo. In mancanza di dichiarazioni esplicite da parte dei governi, l'intento può essere dedotto solo attraverso un insieme di condotte che, analizzate sistematicamente e organicamente, lascino intendere la volontà di distruggere un gruppo protetto. Tuttavia, la Corte Internazionale di Giustizia ha specificato che la volontà genocidaria deve essere l'unica spiegazione possibile per spiegare tali condotte (“the only reasonable inference”, Croazia c. Serbia, para. 428).

Se le azioni di Israele nella Striscia di Gaza possono essere spiegate come “soltanto” crimini di guerra (ossia violazioni del diritto internazionale umanitario) o come una violazione delle norme sull'uso della forza, allora non potranno essere simultaneamente considerate un genocidio, poiché questa non è l'unica inferenza possibile.

A meno di improbabili e significative nuove rivelazioni, è improbabile, dunque, che la Corte riconosca l'intento genocidario nella fase del merito. Israele sostiene di agire in legittima difesa a seguito degli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, il che porterebbe a escludere l’esistenza di uno specifico intento genocidario.

Il rigore della definizione di intento genocidiario spiega perché la Corte non ha mai attribuito responsabilità diretta a uno Stato per la commissione di un genocidio nella sua giurisprudenza. Nei due casi in cui la Corte è giunta alla fase del merito su controversie relative alla Convenzione sul genocidio (Bosnia e Erzegovina c. Serbia e Montenegro, 2007, e Croazia c. Serbia, 2015, legate ai conflitti successivi alla dissoluzione dell'ex-Jugoslavia), non è mai stata riconosciuta l'intenzione genocidaria. Dal 1951, anno in cui la Convenzione sul genocidio è entrata in vigore, la Corte internazionale di giustizia ha riconosciuto solo il genocidio di Srebrenica (in Bosnia e Erzegovina c. Serbia e Montenegro, 2007, para. 297), basandosi su una precedente determinazione del Tribunale internazionale penale per l'ex Jugoslavia nel caso Krstić (ICTY, Prosecutor v. Radislav Krstic, para. 546.). In sintesi, la Corte non ha mai autonomamente confermato l'esistenza di un genocidio e la responsabilità diretta di uno Stato per la sua commissione, a causa dell'elevato onere della prova richiesto per inferire l'intento genocidario, e con ogni probabilità seguirà questa linea anche in questo caso.

La Corte non poteva e non potrà pronunciarsi su altre possibili violazioni commesse da Israele

Come precedentemente detto, la competenza della Corte nel caso Sudafrica c. Israele è circoscritta all'interpretazione e all'applicazione della Convenzione sul genocidio. Tale limitazione riflette la natura specifica della giurisdizione internazionale, la quale non è generale e predefinita (come nel caso dei giudici interni di uno Stato), ma deve essere determinata ogni volta attraverso il consenso degli Stati, che stabiliscono il come, quando e perché. 

Ciò significa che la Corte non può pronunciarsi su altre violazioni che non siano atti di genocidio. In altre parole, la Corte non è autorizzata a dichiarare (e non lo poteva fare neanche in sede di misure cautelari) l'esistenza di eventuali crimini di guerra, crimini contro l'umanità, violazioni del diritto internazionale umanitario o di altre norme del diritto internazionale, come il principio di autodeterminazione del popolo palestinese o il divieto di apartheid, commessi da Israele. Questo non implica che tali violazioni non siano avvenute o non siano concettualmente configurabili; significa semplicemente che la Corte non ha l'autorità di dichiararle in questo specifico ricorso.

La Corte non ha adottato l’ordine di un cessate il fuoco, ma questo non deve sorprendere

La Corte non ha emesso un ordine di cessate il fuoco, ma è importante notare che tale misura è straordinaria e poco comune nella prassi della Corte. Al contrario, ha adottato una serie di misure che impongono a Israele di prevenire la commissione di atti di genocidio, di fornire assistenza umanitaria alla popolazione palestinese, di impedire la distruzione di possibili prove. Israele dovrà inviare un report sull’implementazione di queste misure entro un mese. Tali misure sono standard in casi simili e richiamano quelle similmente adottate in un caso del 2020, Gambia c. Myanmar, che riguardava il possibile genocidio della popolazione Rohingya in Myanmar (Birmania).

Tuttavia, la Corte non ha accettato la richiesta principale avanzata dal Sudafrica, ovvero un generale ordine di cessate il fuoco. Tale decisione non deve sorprendere, poiché questa misura è stata concessa solo raramente dalla Corte in passato. Un raro esempio è stato il caso Ucraina c. Russia, nel 2023, in cui la Corte ha ordinato alla Russia, in sede cautelare, di fermare l’invasione del territorio ucraino. Tuttavia, è importante sottolineare che quel caso era notevolmente diverso, poiché la Russia aveva giustificato il suo intervento militare in Ucraina con il falso pretesto di prevenire un presunto genocidio contro cittadini russi nel Donbas. Questa circostanza ha facilitato la richiesta della Corte di un cessate il fuoco in attesa di una decisione sul merito riguardante l'esistenza effettiva del pericolo di genocidio.

Cosa può leggersi tra le righe di questa ordinanza

L’ordinanza è certamente una “vittoria” per il Sudafrica e per la situazione della popolazione palestinese, pur con tutti i limiti che abbiamo sopra evidenziato. Aggiuntivamente a quanto detto, ci sono alcuni punti che possono rivelarsi interessanti, anche se non dal punto di vista propriamente tecnico-giuridico.

Le misure cautelari in questione sono state adottate all'unanimità o quasi unanimità, evidenziando l'atteggiamento compatto dei giudici della Corte e il comune senso di responsabilità per gli eventi in corso nella Striscia di Gaza. Questo contribuisce a dissipare i dubbi sulla possibile influenza degli equilibri della politica internazionale sull'operato della Corte internazionale di giustizia (ci si aspettava ad esempio una posizione più cauta della giudice americana, presidente della Corte).

L'ordinanza non menziona il diritto di Israele di esercitare la legittima difesa. Nonostante la Corte non abbia giurisdizione per giudicare su questo aspetto, ci si aspettava che la Corte avrebbe speso qualche parola per riaffermare il diritto di Israele di difendersi dagli attacchi armati del 7 ottobre. Tuttavia, la Corte non si è avventurata in questo terreno scivoloso. Più passa il tempo, più infatti crescono i dubbi sul rispetto da parte di Israele dei limiti imposti agli Stati che vogliono esercitare il diritto alla legittima difesa, come la proporzionalità e  necessità dell’azione militare, e il rispetto del diritto umanitario. Il fatto che la sentenza non menzioni per nulla questo aspetto continua ad alimentare queste perplessità.

In un passaggio finale la Corte si rivolge ad Hamas affermando che tutte le parti del conflitto sono vincolate dal diritto internazionale umanitario e richiedendo il rilascio immediato degli ostaggi (paragrafo 85). Tuttavia, è importante sottolineare che Hamas non fa parte del procedimento, il quale è aperto solo agli Stati, e le misure cautelari hanno effetti vincolanti solo per le parti coinvolte nella controversia. La Corte sembra quindi essere consapevole dell'importanza delle sue determinazioni per il conflitto in corso e cerca di rivolgersi a un pubblico più ampio.

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Infine, al paragrafo 45 la Corte classifica esplicitamente il popolo palestinese come una minoranza distinta e specifica, riconoscendo la sua appartenenza a uno dei gruppi protetti dalla Convenzione sul genocidio. Questa conclusione ha una rilevanza significativa, poiché indirettamente rinforza le rivendicazioni di autodeterminazione del popolo palestinese, già affermate in diverse occasioni dalle istituzioni delle Nazioni Unite.

Quando potremo aspettarci una decisione sul merito della controversia

È difficile anticipare quando e se la Corte giungerà a una determinazione nel merito. In primo luogo, benché abbia emesso una decisione nella fase cautelare, è plausibile che la Corte possa declinare la giurisdizione nella fase del merito in caso di mancanza dei requisiti processuali. La giurisdizione nella fase cautelare viene esaminata, come si dice in gergo, “prima facie”, ossia attraverso una valutazione sommaria e necessariamente parziale.In secondo luogo, qualora la Corte proceda alla fase del merito, si prevede che trascorreranno molti anni prima che una sentenza venga emessa. Ad esempio, nel caso Bosnia contro Serbia, la Corte emise la sentenza 14 anni dopo la presentazione del ricorso, mentre nel caso Croazia contro Serbia, la sentenza arrivò dopo 16 anni. Attualmente, la Corte internazionale di giustizia è coinvolta anche in due casi aggiuntivi relativi all'interpretazione della Convenzione sul genocidio (Gambia contro Myanmar, attualmente in attesa della fase sul merito; Ucraina contro Russia, attualmente in attesa della fase sulle eccezioni preliminari). Inoltre, la Corte è altresì impegnata in una richiesta di parere consultivo sulle “Conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei territori palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme Est”, richiesto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che aumenterà il carico di lavoro sulla questione. È altresì possibile che le parti raggiungano una composizione amichevole della controversia nel caso in cui il conflitto israelo-palestinese trovi una soluzione per via negoziale nel frattempo.

Immagine in anteprima: frame video Democracy Now! via YouTube

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