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Lavoro: i partiti in campagna elettorale si sono dimenticati dello smart working

21 Settembre 2022 11 min lettura

Lavoro: i partiti in campagna elettorale si sono dimenticati dello smart working

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Nonostante gli oltre due anni di emergenza pandemica, tra i grandi assenti di questa campagna elettorale c'è il tema del lavoro agile, o smart working.

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Assenza che pesa anche perché, emergenze sanitarie a parte, lo smart working è piuttosto diffuso nel settore pubblico e in quello privato. Per circa il 90% delle imprese la modalità organizzativa ibrida presenza/remoto costituisce ormai una realtà da cui non sarà possibile tornare indietro, almeno a vedere i risultati di una recente indagine condotta dall’Associazione italiana per la direzione del personale. Ma cosa dicono in merito i programmi presentati al vaglio degli elettori?

Le proposte dei partiti sullo smart working

Secondo Azione e Italia Viva occorre “rendere sistemici gli istituti sperimentati durante la COVID-19 a tutela dei lavoratori fragili: in particolare, nel caso di persone con disabilità o in condizioni di fragilità, il diritto al lavoro agile (c.d. smart working) da eccezione, deve divenire strumento strutturale”. Nella stessa sezione del programma, per l’“Attuazione del Family Act per investire sul lavoro femminile e il sostegno alla natalità”, si propone di “promuovere il diritto al lavoro da remoto per i neogenitori”, posto che “sempre più paesi stanno adottando misure di maggiore flessibilità per permettere di conciliare vita lavorativa e vita familiare”. Si intende, quindi, “estendere anche all’Italia questa iniziativa dando la possibilità ai genitori di bambini con età inferiore ai 2 anni di aumentare i giorni di lavoro da remoto”.

La coalizione di destra, che unisce, con un programma comune, Forza Italia, Fratelli d'Italia, Lega Salvini Premier e Noi Moderati, non cita direttamente l’utilizzo dello smart working, sebbene nella parte dedicata al sostegno alla famiglia e alla natalità richiami le politiche di conciliazione lavoro-famiglia per madri e padri. Passando, tuttavia, ai programmi dei singoli partiti, il tema emerge più nettamente. Nel programma di Fratelli d’Italia, nella sezione dedicata a “Sud opportunità di crescita per l’Italia” si richiama la necessità di “invertire la tendenza dello spopolamento del Sud con misure ad hoc e incentivi alla residenzialità, sfruttando anche le opportunità offerte dal lavoro a distanza”. Ciò anche attraverso “meccanismi premiali per promuovere il rientro delle giovani eccellenze costrette ad allontanarsi dalla loro terra d’origine, portando altrove una ricchezza frutto degli investimenti del Sud”.

Nel programma politico della Lega Salvini Premier, trattando il tema “Investimenti e nuove tecnologie”, si legge, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, che “la pandemia ha accelerato i percorsi rispetto ad alcune aree specifiche come lo smart working, l’e-Commerce e l’accesso ubiquo ai dati” ma che “la sfida dei prossimi mesi sarà passare da un approccio di digitalizzazione reattiva all’emergenza a uno strategico: modernizzare l’organizzazione del lavoro, implementando tecnologie digitali e nuovi modelli di lavoro flessibile, lavoro agile e smart working”. Inoltre, nella sezione dedicata a “Lavoro e salario: piano straordinario post Covid”, si dichiara che “per favorire l’occupazione femminile, occorre da un lato introdurre forme di esonero contributivo per i datori di lavoro che assumono lavoratrici, dall’altro consentire flessibilità nell’espletamento della prestazione lavorativa per lavoratori e lavoratrici con figli (lavoro in modalità agile, lavoro a tempo parziale)”.

Per quanto riguarda Noi Moderati, il programma richiama le necessità di “tutelare il diritto alla disconnessione”. In particolare, si riporta, “l’introduzione delle forme di telelavoro e smart working necessitano di tempi di disconnessione dal lavoro. Per questo motivo, accanto a strumenti che assicurino il rigore nelle prestazioni lavorative anche al di fuori del luogo di lavoro, occorre imporre maggiori controlli per salvaguardare il diritto di non rispondere a telefonate, e-mail e messaggi d’ufficio e il dovere di non telefonare, di non inviare e-mail e messaggi di qualsiasi tipo al di fuori dell’orario di lavoro”. È opportuno, conseguentemente, “tutelare il diritto di disconnessione, per proteggere la conciliazione tra vita personale e familiare e vita lavorativa”. In materia di aree interne, inoltre, si richiama “una concezione dello smart working che non sia né ideologicamente acritica né pregiudizialmente ostile, ma sia funzionale al ripopolamento di borghi e aree non urbane, previa ovviamente una riduzione del gap digitale e tecnologico; la messa in rete “dal basso” di iniziative di sviluppo territoriale contigue per dislocazione geografica e per filiera”.

Il movimento Italexit, nella parte di programma “Sezione lavoro. Un modello di lavoro costituzionalmente orientato”, si occupa delle “nuove modalità di prestazione lavorativa, prima fra tutte lo smart working”, dichiarando che “se marginale, un paio di giorni a settimana ben regolamentati, può essere un ottimo strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Viceversa, inteso come nuovo paradigma ordinario e generalizzato del lavoro (peraltro deregolamentato), finisce col diventare uno straordinario sistema di dominio dei pochi sui molti” (sic). Inoltre, “il diritto alla disconnessione deve essere reale e cogente: superato il limite massimo di tempo previsto da leggi e contratti i sistemi di lavoro devono essere tecnicamente disattivati. Il meccanismo deve essere certificato e verificabile dall’autorità individuata come competente. La lavoratrice e il lavoratore devono avere diritto a tutti gli istituti retributivi (in senso lato) previsti per il lavoro in presenza: quali buono pasto e indennità”. Si specifica che “deve essere erogato un contributo economico laddove il lavoratore utilizzi mezzi propri: utenze domestiche di vario tipo. Esso deve essere sostanzioso, in modo da coprire il costo delle utenze ma anche l’usura degli impianti (es. di condizionamento ambientale)” e che “il datore di lavoro deve essere responsabile della salute e della sicurezza dei lavoratori: formando adeguatamente il personale e fornendo tutti i dispositivi di sicurezza necessari. Se il lavoro è smart” si conclude, “deve restare tale: nessun tipo di vincolo circa il luogo dal quale prestare la propria opera deve essere esercitato dal datore di lavoro”.

Passando al Partito Democratico, nella sezione del programma dedicata a “Lavoro, pensioni, disuguaglianze: restituire dignità e forza alle persone”, si legge che “bisogna cambiare rotta” e, fra le diverse misure proposte, rileva quella di ricorrere alla “promozione dello smart working, anche ai fini di favorire le esigenze di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, di ridurre le emissioni di agenti inquinanti e di migliorare, nel contempo, la vivibilità dei centri urbani e rivitalizzare i piccoli borghi sempre più spopolati”. Per quanto riguarda, inoltre, le pari opportunità (“Siamo pari”), viene dichiarata l’intenzione di approvare “una legge sulla co-genitorialità, per introdurre totale parità nei congedi di maternità e paternità e un nuovo congedo parentale anch’esso pienamente paritario, da affiancare a strumenti di flessibilità, come part time e lavoro agile di coppia agevolati”.

Il programma presentato da +Europa dichiara, in tema di lavoro, che è necessario “ridisegnare la disciplina dello smart working, per evolvere verso un modello ibrido efficiente che ottimizzi e metta a frutto le recenti esperienze e il supporto delle tecnologie perequando benefici tra lavoratori e imprese”, nonché ”sviluppare un contratto integrativo applicabile agli italiani all’estero che consenta per il lavoratore l’applicazione della normativa fiscale e contributiva italiana e l’effettuazione della prestazione lavorativa da remoto, per consentire una più agevole partecipazione al mercato del lavoro comunitario e porre le basi per un parziale rientro fisico dei talenti”.

Possibile, che ha depositato il simbolo in collegamento a quello della lista Alleanza Verdi-Sinistra, nella sezione del proprio programma titolata “Dignità al Lavoro” prevede una più che corposa sezione dedicata al tema dal titolo “Smart working, perché colpevolizzare?”. Si dichiara sin dall’inizio che “lavorare da remoto non toglie niente alla qualità del lavoro svolto, consente una migliore life balance e favorisce la diminuzione degli impatti degli spostamenti legati al pendolarismo” e si specifica che “la resistenza italiana al lavoro agile ha del surreale”, posto che la normativa in essere si limita a indicare forme di flessibilità per le donne, in un’ottica di conciliazione “profondamente discriminatoria, che cela in sé la reale concezione della donna nella sua sola essenziale funzione familiare”. Nel richiamare le analisi condotte dall’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano e le potenziali esternalità negative legate all’isolamento, il programma elenca chiaramente una serie di punti chiave, fra i quali, ad esempio, Il diritto alla disconnessione, il mantenimento del ticket o di altri benefit compresi nella propria retribuzione, il riconoscimento di spese accessorie legate alle necessarie dotazioni, la valutazione per obiettivi e possibilità di svolgere il lavoro negli spazi ritenuti più adeguati. Inoltre, secondo gli estensori del programma, non solo “il lavoro agile permette di conciliare meglio i tempi di vita e di lavoro” ma, con riferimento agli Italiani all’estero, “l’uso dello smart working in un paese diverso da quello di residenza o da quello della sede principale di lavoro ha visto una forte crescita” e, dunque, i lavoratori dovrebbero “conservare i diritti del paese di residenza” senza affrontare doppia tassazione o essere penalizzati da regimi fiscali diversi.

Per quanto riguarda, infine, l‘alleanza fra Verdi Europei e Sinistra Italiana, nel programma si trova, sotto la voce “Piano straordinario per il trasporto pubblico locale”, il cenno alla necessità di “favorire lo smart working per tutti i lavoratori e lavoratrici la cui presenza non è richiesta fisicamente”, in un quadro di ripensamento dei servizi di mobilità, richiamando il fatto che il 74% degli spostamenti riguarda distanze entro i 10 km e viene soddisfatto per oltre il 62% ricorrendo all’auto privata. Pur non citando espressamente il lavoro agile, il programma esplicita, inoltre, che è obiettivo essenziale quello di “garantire a tutte e tutti un reddito degno, ma anche condizioni che consentano ogni giorno, insieme al tempo per il riposo e per la libertà personale, un tempo per la manutenzione e la cura degli ambienti e delle relazioni, superando il modello sessista della divisione dei compiti”, evidenziando l’importanza del “tempo per la cura di sé, degli affetti, degli ambienti, per lo sviluppo della propria cultura e dei propri talenti”.

Non sembra ritrovarsi, nei programmi degli altri partiti e movimenti, un richiamo al tema dello smart working. In particolare, la cosa costituisce una sostanziale sorpresa soprattutto per il Movimento 5 Stelle, in special modo alla luce dell’azione incisiva condotta dall’allora Ministra per la pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, per la promozione del lavoro agile nel settore pubblico.

L’analisi delle proposte

Dopo questa veloce carrellata delle proposte sul punto, la prima e più immediata considerazione è che i diversi partiti sembrano misurarsi col tema dello smart working in maniera frammentata e non organica, richiamando nei propri programmi aspetti e caratteristiche del lavoro agile certamente importanti ma non cogliendone o evidenziandone a sufficienza la complessità, il valore aggiunto in termini di ripensamento dei processi e potenzialità per l’individuo e l’organizzazione. Se, evidentemente, un programma si sviluppa, più o meno sinteticamente, per punti, nello sforzo di elaborare un’offerta complessiva a tutto tondo, sembra che la gran parte delle forze politiche, pur ritenendo importante – imprescindibile, forse - annoverare il tema fra le loro proposte, abbia operato innesti parziali, su dimensioni specifiche, magari in relazione a quelle di maggiore significatività per il proprio elettorato di riferimento.

Scorrendo i programmi, infatti, emerge decisamente il tema del contributo del lavoro agile alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro, con particolare riferimento al ruolo lavorativo della donna e ai figli, sino ad arrivare, in un caso, a proporre un lavoro agile “di coppia”. L’istituto, inoltre, viene caratterizzato quale misura di sostegno a favore delle persone con disabilità e fragili e dei caregiver, proponendone, (solo) in questo caso, la strutturalità. Altrove è presente, inoltre, l’aspetto legato alla tutela dell’ambiente, sia per il minore impatto inquinante di un minor numero di veicoli in circolazione, sia per il miglioramento dei sistemi di mobilità, soprattutto nelle città. Entra in gioco, poi, una maggiore possibilità di partecipazione al mercato del lavoro, anche per chi si trovi fuori dall’Italia, e la correlazione al processo di digitalizzazione delle aziende, in particolare le PMI. In un paio di occasioni non manca, persino, un richiamo al ripopolamento dei piccoli borghi e alla lotta dello spopolamento del Sud grazie al ritorno a casa o alla permanenza nei luoghi di origine dei lavoratori da remoto, con un implicito riconoscimento al movimento del cosiddetto southworking.

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Insomma, eccezion fatta per un unico caso in cui la questione pare affrontata maggiormente in profondità, citando anche dati e ricerche, la sensazione è che, in larga parte, molta politica fatichi ancora a prendere una chiara posizione a favore dello smart working, non avendo probabilmente metabolizzato appieno il significato profondo dell’impatto non solo sulla vita di tanti cittadini, con conseguenze ancora in fase di sviluppo su dimensioni personali e metalavorative, ma anche sul tessuto delle aziende e sulla macchina pubblica. Da iniziale mezzo emergenziale di contrasto all’epidemia da COVID-19, infatti, il lavoro agile ha comportato rilevanti cambiamenti sia nell’interpretare diversamente l’attività lavorativa, sia nel processo di riscoperta di senso del proprio lavoro e di valore del proprio tempo personale, sia, ancora, nel porre al management e al middle management (del settore privato e pubblico) una sfida di riadattamento e riorientamento della propria cultura interna e dello stile di leadership, spingendo al passaggio da un modello di comando e controllo ad uno di organizzazione e motivazione.

Tutti gli aspetti posti in evidenza nei diversi programmi sono naturalmente rilevanti: il lavoro agile è certamente una potente leva di conciliazione (come evidenziava, ad esempio, sin dal titolo la direttiva del 2017 dell’allora Ministra per la PA Madia), accompagnando individui e famiglie nel processo di riorganizzazione dei propri tempi di vita e di lavoro; aiuta senza dubbio ad alleggerire il peso della circolazione e del pendolarismo sulle strade e nelle città (contribuendo, peraltro, a diminuire il numero delle vittime da incidenti automobilistici); può aprire maggiormente il mercato del lavoro, nazionale e internazionale, attraverso l’accessibilità ad una più ampia gamma di impieghi e ha creato le condizioni per un contesto più equo in termini di differenze di genere. Tuttavia, una modalità di lavoro e organizzativa che prescinda, in parte o del tutto, dagli elementi di luogo e tempo in cui la prestazione viene eseguita è qualcosa di più. Si tratta della attuazione concreta di un rivoluzionario modus operandi che viri con decisione verso il lavoro per obiettivi e per risultati, scardinando prassi e culture organizzative che sono a tutt’oggi profondamente radicate nell’immaginario collettivo e che appaiono, tuttavia, drammaticamente in affanno rispetto all’avvento della società dell’informazione che sta forzando le tradizionali strutture organizzative a diventare più partecipative e decentralizzate (molto chiaro, su punto, Domenico de Masi nel suo “Smart working - La rivoluzione del lavoro intelligente”, edito da Marsilio).

In ultima analisi, non pare dunque potersi apprezzare, nell’attuale offerta politica, una presa d’atto del lavoro agile come strumento che sia ormai parte integrante e strategica dei processi in corso di trasformazione profonda del lavoro. Al contrario, l’approccio pick and choose adottato dalla gran parte delle forze politiche in campo indica, da un lato, lo scarso apprezzamento del potenziale dirompente rispetto allo status quo in termini di organizzazione del lavoro e impatti sulla più ampia dimensione della sostenibilità; dall’altra, una cautela che, pur puntando su singole dimensioni certamente apprezzabili (come la conciliazione fra i tempi di vita o di lavoro o i vantaggi in termini ambientali), sembra accompagnare la tendenza a circoscrivere e ridurre progressivamente l’applicazione dello strumento. Senza dare evidenza al fatto che, rompendo schemi organizzativi ormai desueti, viene minata alla base quella cultura del controllo e dell’esasperato formalismo burocratico che, spesso, è alla base di inefficienze e ritardi. Non siamo certamente alla morte dell’ufficio, come recitava un articolo de L’Economist in piena pandemia, ma le quattro mura scricchiolano rumorosamente: sarebbe bene non dimenticarsene.

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