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Siria, migliaia di civili in fuga sotto bombardamenti incessanti. Mancano cibo, carburante, aiuti

21 Dicembre 2019 6 min lettura

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Siria, migliaia di civili in fuga sotto bombardamenti incessanti. Mancano cibo, carburante, aiuti

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Proseguono incessanti i bombardamenti delle forze russe e dell'esercito siriano nella provincia siriana di Idlib, l'ultima roccaforte dell'opposizione al regime di Bashar al-Assad. 400 nelle ultime 24 ore, riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo di monitoraggio con sede nel Regno Unito.

Lunghe code di automobili sono state viste ieri abbandonare la città di Maaret al-Numaan.

«È un esodo di migliaia di persone, una catastrofe umanitaria. C'è chi si incammina per strada e chi aspetta vicino casa l'auto che lo porterà via», ha dichiarato alla Reuters Osama Ibrahim, un soccorritore di Maaret al-Numaan.

Sono tutti civili che si dirigono a nord, verso il confine con la Turchia, in cerca di sicurezza.

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Giovedì scorso il presidente turco Tayyip Erdogan ha dichiarato che sono 50.000 le persone in fuga dalla regione nord-occidentale di Idlib, senza precisare se qualcuno sia già arrivato in Turchia.

Chi scappa cerca di proteggersi dagli attacchi aerei, che nelle ultime settimane non hanno conosciuto tregua, e da un'eventuale, imminente offensiva di terra.


Martedì scorso, 17 dicembre, ventiquattro civili sono stati uccisi da bombardamenti e fuoco di artiglieria.

Nove persone, di cui tre bambini, morte a seguito di ordigni lanciati sulla città di Talmenes, secondo quanto riferito dai Caschi Bianchi e riportato da BBC News.

Sei membri di una famiglia, inclusi altri tre bambini, uccisi da bombe nel villaggio di Badama.

Sei persone trucidate dall'ennesimo attacco aereo a un mercato, nella città di Maasaran.

via BBC News

I bombardamenti sono iniziati intorno alle 7.00 ora locale, ha detto ad Al Jazeera Abbadeh Zakrah, un volontario dei Caschi Bianchi con base nel distretto di Maaret al-Numaan.

«Il suono dei barili bomba non si è fermato tutto il giorno», ha raccontato. «I bombardamenti hanno preso di mira i civili in fuga da città e i villaggi vicino all'autostrada principale», ha dichiarato Zakrah.

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Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, in tutta la provincia di Idlib vivono attualmente tre milioni di persone, di cui un milione di bambini. Più del 40% proviene da aree precedentemente controllate da gruppi dell'opposizione.

Nonostante il cessate il fuoco unilaterale annunciato ad agosto dalla Russia scontri e bombardamenti sono proseguiti e perdurano senza sosta in quell'area.

In base alle informazioni raccolte dall'Osservatorio siriano per i diritti umani oltre 250 civili sono stati uccisi da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco.

Il 7 dicembre attacchi aerei dell'aviazione russa avrebbero ucciso 20 persone. Nove nel villaggio di Balyoun, dove è stato colpito un mercato.

Il mese scorso l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) ha dichiarato di aver accertato, da aprile ad oggi, il decesso di più di 1.000 civili nella Siria nord-occidentale, a seguito delle ostilità tra forze governative e gruppi di opposizione.

Decine sono stati gli attacchi a infrastrutture e personale medico.

Con l'arrivo dell'inverno la vita dei civili che vivono nelle zone controllate dall'opposizione è messa a repentaglio non solo dai bombardamenti ma anche dal freddo e dalla fame a causa della carenza di carburante che non consente cure mediche e che determina l'aumento dei prezzi di cibo e trasporti.

Associazioni benefiche ed ospedali stanno cercando in ogni modo di fronteggiare la crisi dell'aumento dei prezzi del combustibile che è più che raddoppiato dall'inizio di ottobre.

Un direttore di ospedale ha dichiarato al Guardian di aver spento il sistema di riscaldamento nei reparti, nonostante il forte calo delle temperature, per risparmiare combustibile da utilizzare per ambulanze e generatori che alimentano dispositivi medici vitali. Anche gli operatori umanitari hanno dovuto ridurre gli aiuti ad alcuni sfollati nella regione.

«Negli ultimi tre anni abbiamo affrontato molti ostacoli nel nostro lavoro. Ma nulla è paragonabile a quello che stiamo vivendo con l'attuale crisi», ha detto al Guardian Haytham Abu Husam, che vive nel sud di Idlib e lavora per un gruppo siriano di sostegno.

«Siamo andati avanti malgrado gli innumerevoli rischi, con gli operatori umanitari diventati bersaglio a Idlib. Negli ultimi mesi molti sono stati rapiti e due sono stati uccisi. Aerei da guerra ed elicotteri non si sono mai fermati. Nonostante tutto non abbiamo bloccato il nostro lavoro, ma se la crisi del carburante continua, dovremo farlo».

A dispetto del divieto sancito dalle norme di diritto internazionale la lunga offensiva è andata avanti includendo tra gli obiettivi le infrastrutture civili, compresi gli ospedali, prima dell'intenso bombardamento dell'ultima settimana che ha colpito mercati affollati e un impianto di lavorazione dell'olio d'oliva, rendendo più difficile per le famiglie l'acquisto di cibo.

Ali Saraqbi si trovava nel negozio di frutta e verdura della sua famiglia a Maaret al-Numan, quando una bomba ha colpito il mercato la mattina del 2 dicembre nell'orario di punta. Nove persone sono state uccise e dodici ferite.

«Ho perso l'udito per alcuni minuti e poi ho iniziato a sentire urla, lamenti, grida e le sirene delle ambulanze», ha detto Saraqbi. «Quando sono uscito dal mio negozio, ho visto alcuni corpi senza vita, tra cui quelli dei proprietari di tre negozi vicini e di due scaricatori».

È la quinta volta che il mercato della città viene colpito. Saraqbi è ormai sfiduciato e ha deciso di non riaprire più il negozio di famiglia di frutta e verdura. Non solo perché gravemente indebitato ma anche per la diminuzione della clientela a causa del rincaro dei prezzi dovuto all'aumento del carburante.

Per anni, la maggior parte del carburante di Idlib è arrivato da giacimenti petroliferi della Siria nord-orientale, vicino a Hassakah. Il petrolio greggio veniva trasportato a ovest lungo le strade controllate dalle forze curde e dai ribelli per poi essere trasformato in benzina, gasolio e olio combustibile in raffinerie di fortuna.

Da quando il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso, lo scorso ottobre, di ritirare le truppe americane abbandonando gli alleati curdi e dando il via libera alle forze turche di entrare nel nord della Siria, la strada principale è stata chiusa a causa dei combattimenti.

Attualmente la situazione è più calma ma la strada rimane bloccata, secondo quanto riferito da un commerciante che gestisce diversi camion cisterna da 125 barili che non è stato in grado di effettuare alcun viaggio da metà ottobre, nonostante siano diminuiti gli scontri.

A complicare un quadro già difficile gli attacchi da parte di aerei non identificati che hanno colpito a novembre diverse raffinerie intorno alle aree nord e nord-est di Aleppo, impedendo qualsiasi tentativo di raffinazione del petrolio greggio qualora dovesse ricominciare ad arrivare, e il veto espresso giovedì 19 novembre di Russia (per la 14esima volta dall'inizio del conflitto in Siria) e Cina al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha bloccato una risoluzione, presentata da Belgio, Germania e Kuwait, che avrebbe consentito l'accesso di aiuti umanitari per 12 mesi ai civili siriani che vivono nelle zone controllate dai ribelli attraverso cinque valichi di frontiera (uno in più rispetto agli anni precedenti) di Giordania, Iraq e Turchia.

L'inverno sta per iniziare, il nono da quando è cominciata la guerra in Siria. Un conflitto che ha causato centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi e che vede ancora lontana la sua fine.

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