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Siria, bombe e missili sui civili: «Questa non è una guerra, è in tutti i sensi una catastrofe umanitaria»

23 Febbraio 2018 16 min lettura

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Siria, bombe e missili sui civili: «Questa non è una guerra, è in tutti i sensi una catastrofe umanitaria»

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Aggiornamento 19 marzo 2018

Siria, la Turchia conquista la città di Afrin. Migliaia di civili in fuga: Dopo due mesi di assedio, la città di Afrin è stata conquistata dalle forze sostenute dalla Turchia. Come annunciato dal presidente turco Recep Tayip Erdogan, l’esercito turco e il Free Syrian Army (FSA, l’esercito libero siriano, un gruppo eterogeneo che comprende 80 fazioni, alcune delle quali jihadiste e il cui equilibrio interno e la direzione generale è cambiata più volte negli ultimi anni, scrive Charles Lister, esperto di estremismo e controterrorismo al Middle East Institute), una coalizione di gruppi ribelli siriani, hanno preso il «controllo del centro di Afrin», che «la maggior parte dei terroristi è in fuga con le code tra le gambe» e ora nella città «sventolano simboli di fiducia e stabilità invece degli stracci dei terroristi». Una pagina Twitter delle forze armate turche ha pubblicato un video di truppe che espongono la bandiera della Turchia nel centro di Afrin. Prendere Afrin era l'obiettivo principale dell'operazione Olive Branch della Turchia, un'offensiva terrestre e aerea lanciata il 20 gennaio per estromettere le Unità di forza popolare (YPG), un gruppo di milizie curde. La Turchia considera l'YPG come un'estensione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), bandito nel paese, che ha combattuto per l'autonomia curda nel sud-est della Turchia per tre decenni. L'YPG nega qualsiasi collegamento organizzativo diretto con il PKK - affermazione sostenuta dagli Stati Uniti, alleati con l'YPG nella battaglia contro il gruppo jihadista Stato Islamico (IS) in Siria.

I combattenti hanno sventolato bandiere e abbattuto con un bulldozer nel centro della città la statua di una figura leggendaria curda, il fabbro Kawa. L’azione è «la prima violazione della cultura e della storia del popolo curdo dopo l’acquisizione di Afrin», avrebbe affermato in una dichiarazione su Whatsapp un rappresentante delle Syrian Democratic Forces, riporta BBC.

Le milizie curde hanno detto di aver evacuato i civili a causa dei "massacri" da parte delle forze turche e alleate. Decine di migliaia di persone sono fuggite da Afrin negli ultimi giorni mentre le forze turche e i combattenti alleati siriani continuavano ad avanzare.

Le Nazioni Unite hanno affermato di aver ricevuto notizie allarmanti sulla morte di civili, ai quali sarebbe stato impedito di abbandonare la città, colpita da attacchi aerei e azioni di terra. Alcuni civili sarebbero stati utilizzati come scudi umani dalle forze curde, ha riferito la portavoce Ravina Shamdasani, che ha aggiunto come, a causa dei bombardamenti, per molti civili che si mettevano in fuga da Afrin «fosse difficile raggiungere i checkpoint presidiati da gruppi armati sostenuti dal governo per essere autorizzati a lasciare la città dopo aver pagato un corrispettivo in denaro». Un attacco aereo avrebbe colpito l’ospedale principale di Afrin, uccidendo 9 persone, secondo quanto riferito dai combattenti curdi siriani e il SOHR (il Syrian Observatory for Human Rights con base a Londra), ma le forze armate turche hanno negato di aver colpito civili e di aver bombardato l’ospedale. «Ricordiamo a tutte le parti in conflitto che devono permettere ai civili di poter lasciare le aree di combattimento in sicurezza e garantire la protezione di coloro che rimangono», ha aggiunto Shamdasani.

Mohammad al-Hamadeen, portavoce dell'esercito libero siriano sostenuto dalla Turchia (FSA), ha dichiarato di non aver incontrato resistenza quando sono entrati in Africa su tre fronti, mentre in una dichiarazione in televisione, il co-presidente del consiglio esecutivo di Afrin, Othman Sheikh Issa, ha detto che la guerra contro la Turchia è entrata «in una nuova fase» e che «le forze curde rimaste nella regione colpiranno il nemico turco in ogni occasione». Il portavoce militare turco Bekir Bozdag ha detto che la campagna continuerà fino a quando la zona intorno ad Afrin non sarà al sicuro.

L’esodo di così tanti civili, scrive il corrispondente del Guardian in Medio Oriente, Martin Chulov, apre un nuovo fronte del conflitto siriano, dando alla Turchia potere nel nord del paese e sollevando il timore che l’intervento possa spingere sempre più persone in aree già sovraccariche di sfollati da altre parti del paese e dove sono presenti gruppi ribelli sostenuti da forze estere, islamisti, potenze regionali e alleati del presidente siriano Bashar al-Assad. Un mix potenzialmente esplosivo. Le agenzie di aiuto umanitarie stanno lottando per fronteggiare questi ultimi flussi e il Programma alimentare mondiale ha dichiarato di aver distribuito forniture a circa 25mila persone nel nord della Siria durante il fine settimana.

Con la conquista di Afrin, scrive Mark Lowen, corrispondente della BBC in Turchia, Erdogan ha raggiunto un duplice obiettivo: rimuovere un’area chiave sotto il controllo dell’YPG e riunire la grande maggioranza dei turchi al suo seguito. Colpire i curdi rappresenta oggi in Turchia “una rara forza di unione in un paese profondamente diviso”, spiega il giornalista. Ora resta da capire se la Turchia si spingerà verso altre zone controllate dai curdi, come Manbij, che potrebbe mettere le truppe turche in conflitto diretto con i soldati statunitensi. Gli Stati Uniti hanno armato e addestrato combattenti curdi per combattere l’IS nell’area, ricorda Shannon Van Sant su NPR. Questo dipenderà dai colloqui tra Ankara e Washington di questa settimana.

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Aggiornamento 16 marzo 2018

Sette anni di conflitto in Siria, mezzo milione di persone uccise, 11 milioni in fuga, 6 milioni di rifugiati. Continuano gli attacchi a Ghouta Est e l'assedio turco ad Afrin: In questi giorni, il conflitto in Siria entra nel suo ottavo anno. Almeno mezzo milione di persone uccise, più di 11 milioni costretti ad abbandonare le proprie case, circa 6 milioni fuggiti all'estero in quella che è possibile definire la più grave crisi di rifugiati dei tempi moderni.

Intanto, continuano i bombardamenti aerei a Ghouta Est, dove, scrive il Guardian, decine di migliaia di persone stanno scappando verso altre aree. Le forze turche stanno assediando Afrin, città curda nel nord della Siria. L’esercito turco ha affermato di aver ormai circondato la cittadina e di aver catturato “aree critiche importanti”. Centinaia di civili sarebbero fuggiti verso le zone vicine controllate dal governo siriano. Nouri Mahmoud, portavoce dell’YPG, le Unità di Difesa Popolare, riporta la BBC, ha riconosciuto che tutte le strade intorno ad Afrin sono state bombardate, ma ha negato alla Reuters che la città sia stata circondata. Si tratterebbe di propaganda per tenere alto il morale delle truppe. Per il governo turco, l’YPG è un gruppo terroristico, estensione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che ha combattuto per l’autonomia curda nel sud-est della Turchia per tre decenni.

È difficile stabilire dove sia la verità, spiega Roberto Bongiorni su Il Sole 24 Ore, perché “i media stranieri non hanno accesso nelle zone del conflitto e la macchina della propaganda, da entrambe le parti, sforna di continuo versioni diverse”.

Circondare la città dopo quasi due mesi di attacchi da parte delle forze turche, scrive Selit Gerin, corrispondente della BBC a Istanbul, è un passo fondamentale per espellere l’YPG dalla regione. Ma non è ancora chiaro quale sarà la prossima mossa della Turchia, se accontentarsi di assediare Afrin per altre settimane e permettere ai civili di fuggire, evitando così un alto numero di vittime, o affondare il colpo.

Lunedì 12 marzo, il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha dichiarato al Consiglio di sicurezza che la battaglia per Afrin “ha provocato un significativo spostamento di civili con segnalazione di numerose vittime e danni alle infrastrutture”. Secondo le Nazioni Unite circa 324mila persone vivevano nell’enclave curda prima dell’inizio dell’offensiva turca e almeno 830 famiglie sarebbero state costrette a fuggire attraverso rotte non ufficiali.

La Mezzaluna rossa curda dice che più di 230 civili, tra cui 35 bambini, sono stati uccisi e oltre 688 persone sarebbero state ferite. L’esercito turco ha negato di aver attaccato civili o infrastrutture civili e di aver “neutralizzato” quasi 3500 terroristi, termine usato per definire tutti coloro che si sono arresi, che sono stati catturati o uccisi, spiega ancora Gerit. L’YPG ha affermato di aver ucciso centinaia di ribelli siriani e soldati turchi.

La Turchia ha, inoltre, minacciato di avviare un’operazione militare per eliminare i combattenti dell’YPG schierati a Manbij, località strategica a 100 km da Afrin, a ovest del fiume Eufrate, dove stazionano anche le forze americane. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha annunciato di aver raggiunto un accordo con gli Stati Uniti affinché i curdi si ritirino a est del fiume Eufrate, siano riconsegnate le armi fornite dagli Usa agli stessi curdi e poi l’area sia controllata congiuntamente da forze turche e statunitensi. Se non si raggiungerà un accordo, scrive l’Ansa, la Turchia è pronta a procedere militarmente in modo unilaterale. Il Dipartimento di Stato degli Usa non ha fornito tali dettagli, limitandosi a dire che Washington e Ankara sono impegnate a risolvere questioni in sospeso e che discussioni dettagliate sono ancora in corso. I colloqui tra Usa e Turchia inizieranno lunedì 19 marzo, ha spiegato Cavusoglu.

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Aggiornamento 25 febbraio 2018

Consiglio di Sicurezza dell'Onu approva risoluzione per cessate il fuoco a Ghouta Est: Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità una risoluzione che chiede un immediato "cessate il fuoco" di 30 giorni in tutta la Siria per fornire aiuti umanitari ed evacuare i malati critici e i feriti. «Le parole devono ora diventare rapidamente azione - ogni cessazione delle ostilità deve essere reale. Gli attacchi devono fermarsi» ha dichiarato Marck Lowcok delle Nazioni Unite. La risoluzione consente di proseguire gli attacchi diretti contro gli estremisti del gruppo dello Stato islamico e tutti gli affiliati di al-Qaeda, incluso il Fronte Nusra.

A poche ore dalla tregua, però, le forze del regime di Assad hanno lanciato una nuova offensiva aerea contro le posizioni dei ribelli nell'enclave di Ghouta est. I dettagli dei nuovi attacchi sono approssimativi, ma alcuni testimoni hanno riferito ad Al Jazeera che i combattimenti sono scoppiati su diversi fronti in quella che è stata vista come una delle ultime possibilità per Assad di vincere la resistenza dei ribelli prima che il cessate il fuoco divenisse operativo, scrive il Guardian. L'esercito siriano non ha rilasciato commenti. In una telefonata congiunta al Cremlino, la cancelliera della Germania, Angela Merkel, e il presidente francese, Emmanuel Macron, hanno invitato Putin a garantire che il cessate il fuoco fosse attuato il prima possibile. Nessun dettaglio della conversazione è stato reso pubblico.

Il voto era stato rinviato per diversi giorni dopo lunghi e intensi negoziati per cercare di ottenere il sostegno della Russia, che negli scorsi giorni si era detta perplessa sulla possibilità di una sospensione delle ostilità. Da quando è iniziato il conflitto siriano sette anni fa, il Consiglio di sicurezza è stato profondamente diviso, con la Russia che appoggia il governo del presidente Bashar Assad e gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia a sostegno degli oppositori. Quelle divisioni erano evidenti sabato nelle posizioni così contrastanti tra Usa e Russia:

«Ogni minuto che il Consiglio attende una decisione della Russia, cresce la sofferenza umana. Arrivare a un voto è una responsabilità morale per tutti, ma non per la Russia, non per la Siria, non per l'Iran. Devo chiedere perché? Almeno 19 strutture sanitarie sono state bombardate da domenica a Ghouta est», aveva detto l'ambasciatrice Usa all'Onu, Nikki Haley.

L'ambasciatore russo, Vassily Nebenzia, aveva risposto dicendo che ci è voluto tanto tempo per raggiungere un accordo perché l'immediata cessazione delle ostilità, era «non fattibile, ... non possibile». Una questione importante nei negoziati è stata una deroga che i russi hanno chiesto di inserire per poter consentire gli attacchi contro i gruppi estremisti.

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«Questa non è una guerra, è in tutti i sensi una catastrofe umanitaria. L'uccisione di massa di persone senza il rispetto alcuno per i principi fondamentali della vita». Non usa giri di parole Ahmed al-Dbis, rappresentante dell'Unione delle Organizzazioni mediche e di soccorso (UOSSM) per spiegare cosa sta accadendo a Ghouta est, un'area subito fuori Damasco, in Siria, abitata da circa 400mila persone che, secondo le Nazioni Unite, rappresentano il 94% di tutti i siriani attualmente sotto assedio.

via BBC

L'area alla periferia della capitale siriana sta subendo un bombardamento senza precedenti da parte delle forze aeree del governo siriano in sette anni di guerra. Da domenica, racconta Francesca Mannocchi su L'Espresso, continuano a piovere bombe e razzi. I residenti, terrorizzati, hanno trovato riparo in caverne, rifugi e scantinati mentre una grandinata di esplosivi colpiva case, strade e ospedali. E quando i bombardamenti si fermano, iniziano a sparare missili, ha raccontato una donna, che era con i suoi due bambini, ad Al Jazeera. "Il rombo crescente di un jet che squarcia il cielo, il risuonare di un tonfo basso ma rumoroso, le urla e sirene" è la colonna sonora di questi giorni a Ghouta est, scrive la NBC.

Secondo l'Osservatorio siriano dei diritti umani (Sohr), un'organizzazione non governativa con sede nel Regno Unito, considerata vicina ai ribelli che si oppongono al regime di Bashar al-Assad, in quattro giorni di bombardamenti incessanti, sono stati uccisi almeno 335 civili. Solo il 20 febbraio sarebbero morte 106 persone, il più alto numero di vittime in un unico giorno dall'agosto del 2013 quando un attacco con armi chimiche uccise circa 1400 persone nella stessa area. Tra le vittime, sostiene sempre l'Osservatorio siriano, 58 bambini e 42 donne, mentre i feriti sarebbero più di 1200, per quello che alcuni operatori umanitari hanno definito "un inferno in terra". Un campo di sterminio per bambini, ha detto Juliette Touma dell'Unicef.

Mercoledì scorso un convoglio di aiuti dell'Onu e della Mezzaluna rossa siriana è riuscito ad arrivare nell'area. Si tratta del primo convoglio in grado di giungere a Ghouta est da novembre, riporta Reuters.

«Da quando si è intensificato il bombardamento non si può più parlare nemmeno di soddisfare i bisogni fondamentali dei civili. Ormai è una questione di sopravvivenza, di riuscire a superare la giornata», racconta al Guardian Jacob Kern, responsabile del Programma alimentare mondiale a Damasco. «Due settimane fa siamo riusciti a consegnare cibo sufficiente per 7mila persone. Meno del 2% delle persone che avevano bisogno hanno ricevuto aiuti. Realisticamente abbiamo bisogno di un mese di stop dei combattimenti per consegnare le razioni di cibo sufficienti». Ancor prima dell'attuale intensificazione dei bombardamenti, gli esperti avevano avvertito che i prezzi dei generi alimentari nella zona assediata erano diventati insostenibili: un pasto con una porzione base di pane costava 85 volte di più che a Damasco.

Percentuale delle strutture distrutte a Ghouta orientale – via BBC

Ventidue ospedali sono stati bombardati, ben tredici sono stati distrutti o gravemente danneggiati, secondo quanto riportato da Medici senza Frontiere. In una comunicazione ufficiale, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha detto che il personale medico non è in grado di far fronte all'elevato numero di feriti, aggiungendo che "le vittime ferite stanno morendo per il solo fatto di non poter essere curate in tempo". «Sono i giorni peggiori della nostra vita a Ghouta. Sono cinque anni che veniamo colpiti da attacchi aerei, ma non avevo mai visto nulla di simile», dice alla CNN il direttore dell'ospedale di Ghouta est, il pediatra Amani Ballour. «Se il massacro degli anni '90 è stato Srebrenica, e quelli degli anni '80 sono stati Halabja e Sabra e Shatila, Ghouta est è il massacro del ventunesimo secolo», afferma un altro medico al Guardian.

Per quanto l'agonia di Ghouta est sia più lenta del genocidio di Srebrenica, dove 8mila musulmani furono massacrati in pochi giorni e quasi 30mila donne, bambini e anziani furono costretti a sfollamenti coatti, le due situazioni hanno molte cose in comune, commenta in un lungo editoriale sul Guardian Simon Tisdall. Come in Bosnia, nessuno ha tentato di proteggere i civili quando è iniziata l'offensiva di regime, dopo il fallimento dei negoziati. E anche in questo caso, la comunità internazionale ha osservato in silenzio che il massacro diventasse prima possibile e poi un fatto compiuto, nonostante Ghouta est fosse una delle aree in teoria escluse dal conflitto.

Le 4 aree escluse dal conflitto in base all'accordo tra Iran, Russia e Turchia del 2017 – via Al Jazeera

Ghouta est è, infatti, una delle quattro "de-escalation zones" [la numero 3 nella mappa in alto], cioè una delle zone che, in base a un accordo siglato lo scorso anno da Russia, Turchia e Iran, non avrebbe dovuto essere coinvolta negli scontri. Quest'offensiva (molto simile all'attacco di Aleppo nel 2016), invece, scrivono Tamara Qiblawi e Sarah Sirgany della CNN, fa pensare che il regime di Bashar al-Assad, sostenuto dalla Russia, si stia preparando ad annientare i gruppi ribelli (il gruppo islamista Jaysh al-Islam e quello jihadista Hayat Tahrir al-Sham, entrambi esclusi dalle presunte tregue, spiega Francesca Mannocchi su L'Espresso) che controllano l'area, soprattutto dopo l'arretramento di Isis nell'ultimo anno. «L'offensiva non è ancora iniziata. Questo è un bombardamento preliminare», ha dichiarato alla Reuters un comandante della coalizione che combatte per conto del governo di Assad. Russia e Siria ha affermato che l'attacco si è reso necessario per sconfiggere i ribelli che avevano sparato colpi di mortaio nella parte di Damasco controllata dal governo. «Coloro che sostengono i ribelli sono i responsabili di quanto sta accadendo a Ghouta est», ha detto in una conferenza stampa il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. «E questi non sono né la Russia, né la Siria, né l'Iran che stanno conducendo una guerra assoluta contro i terroristi in Siria».

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Parallelamente, le forze governative siriane hanno avviato una campagna nella provincia nord-occidentale di Idlib, un'altra cosiddetta "zona sicura" [la numero 1 nella mappa] che ospita più di 1 milione di sfollati interni. Inoltre, durante i bombardamenti di Ghouta est, alcune milizie filo-governative sono entrate nell'enclave curda di Afrin per difenderla da una campagna militare delle truppe turche iniziata lo scorso 20 gennaio.

La mossa del governo di sostenere i curdi, scrivono sul New York Times Anne Barnard e Carlotta Gall, segna una nuova fase degli scontri, che vede opporsi l'esercito turco e i gruppi ribelli alleati siriani e mettere a rischio mesi e mesi di negoziati tra Russia, Iran e Turchia in un ulteriore rimescolamento del già disordinato campo di battaglia della Siria nord-occidentale. Ad Afrin, commenta Annalisa Perteghella dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), ci si trova in una situazione paradossale, che vede schierati contro la Turchia sia i curdi – alleati Usa – sia le forze di Assad, contro le quali gli Stati Uniti hanno più volte espresso la propria ostilità: "un paradosso che non è che l’emblema del groviglio di alleanze e relazioni di convenienza che danno forma alle diverse guerre nella guerra che compongono oggi il conflitto siriano".

Gli ultimi sviluppi suggeriscono che la guerra in Siria non sta finendo ma sta cambiando, spiega Jeremy Bowen sulla BBC. La Siria rimane il crocevia di reti di guerra e di potere che vede coinvolti sempre più soggetti e potrebbe generare ulteriori conflitti: la Russia e l'Iran, che sostengono il regime di Assad; gli Stati Uniti, che armano e sostengono i curdi; la Turchia, che è intervenuta per respingerli; e Israele, che è allarmato dalla prospettiva che l'Iran e il suo alleato libanese, Hezbollah, si impiantino sulle alture del Golan. "Con la lotta all'IS che si è affievolita e l'eliminazione di qualsiasi seria minaccia per la sopravvivenza del regime, il conflitto è più che mai definito dalla lotta tra attori regionali e internazionali", spiega Randa Slim del Middle East Institute, un think-tank con sede a Washington.

via Internazionale

L'attacco a Ghouta est è stato condannato da più organizzazioni umanitarie. Amnesty International ha parlato di "palesi crimini di guerra" commessi su "scala epica", mentre l'Unicef ha pubblicato un comunicato in bianco, scrivendo in una nota a piè di pagina di "non avere parole" per descrivere la sofferenza dei bambini.

«Per sei anni, la comunità internazionale ha assistito inerte ai crimini di guerra e contro l'umanità commessi dal governo siriano nella totale impunità. Negli ultimi sei anni i civili hanno sofferto un assedio crudele e ora sono intrappolati, colpiti da una serie di attacchi quotidiano che li uccidono e feriscono deliberatamente», ha dichiarato Diana Semaan, ricercatrice siriana di Amnesty International.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si è detto "profondamente allarmato dall'escalation della situazione nella Ghouta orientale e dal suo devastante impatto sui civili. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente chiesto la cessazione delle ostilità per consentire le consegne di aiuti umanitari e l'evacuazione di malati e feriti". La stessa richiesta è stata fatta anche dall'Altro Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein.

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Non è ancora chiaro, inoltre, dove i nuovi rifugiati siriani saranno costretti ad andare. «Non esiste un piano di emergenza per loro. Ci sarà bisogno di un corridoio umanitario di qualche tipo, ma non è chiaro come funzionerebbe. Non vedo come possano andare a Idlib dove ci sono già milioni di sfollati. Tutto questo sarà oggetto di discussione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma ovviamente l'Onu non può farsi sostenitore del movimento forzato di persone», ha detto al Guardian un diplomatico occidentale in Libano.

Vassily Nebenzia, ambasciatore russo alle Nazioni Unite, ha proposto per il 22 febbraio una riunione del Consiglio di sicurezza per discutere della situazione siriana. Durante la riunione, la Russia ha bloccato una risoluzione Onu, presentata il 15 febbraio da Kuwait e Svezia, che avrebbe stabilito un cessate il fuoco di 30 giorni e consegne umanitarie nella Ghouta orientale, affermando che la diffusa denuncia di pesanti vittime civili nell'area assediata ai margini della capitale siriana, Damasco, era il frutto di una "psicosi di massa". Nebenzia ha definito irrealistica l'ipotesi di risoluzione di Svezie e Kuwait e ha fatto circolare un elenco di emendamenti che sembrano implicare una serie di clausole nel cessate il fuoco che consentono di colpire alcuni gruppi ribelli. Giovedì sera, secondo quanto riportato dall'agenzia Interfax, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov aveva dichiarato che la Russia era pronta a «considerare l'ipotesi di cessate il fuoco di 30 giorni ma solo se non riguarderà Isis, Nusra e gli altri gruppi che hanno attaccato i quartieri residenziali di Damasco». Un diplomatico occidentale ha detto al Guardian che a prima vista gli emendamenti russi sono "probabilmente inaccettabili".


Foto in anteprima: "Fumo dalla città di Hamouriyeh, Ghouta est, vicino Damasco" – REUTERS/Bassam Khabieh via abcnews

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