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Turchia, le parlamentari portano il canto cileno contro lo stupro in aula

20 Dicembre 2019 4 min lettura

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Turchia, le parlamentari portano il canto cileno contro lo stupro in aula

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“Non è mia la colpa, non c’entra dove stavo né com’ero vestita. Lo stupratore sei tu. Sono i Carabinieri, i giudici, lo Stato, il presidente. Il nostro crimine è essere donne, la nostra punizione è la violenza contro di noi che stai ignorando”.

Battendo le mani sui tavoli del parlamento di Ankara, alcune parlamentari turche hanno intonato “Lo stupratore sei tu”, la canzone scritta da un collettivo femminista cileno diventata l’inno delle proteste delle donne in Cile contro le violenze delle forze dell’ordine nei loro confronti e poi cantata durante tante manifestazioni in tutto il mondo.

Lunedì scorso, otto parlamentari del principale partito di opposizione (CHP) hanno iniziato a cantare la canzone, mentre altri parlamentati mostravano le immagini dei volti di alcune donne uccise da uomini ultimamente in Turchia. "Non saremo mai sole", così intonano alla fine del video fra gli applausi di donne e uomini insieme.

La vicepresidente della CHP, Sera Kadigi, ha dichiarato che l'obiettivo era quello di mettere in evidenza la situazione delle donne vittime di violenza e omicidio in Turchia.

«C'è una danza che è iniziata in Cile per attirare l'attenzione sulla violenza contro le donne di tutto il mondo: Las Tesis», ha detto Kadigi rivolgendosi al ministro degli Interni Suleyman Soylu. «Grazie a te, la Turchia è l'unico paese in cui devi avere l'immunità (parlamentare) per partecipare alle manifestazioni contro la violenza sulle donne». La scorsa settimana, sette persone sono state arrestate a Istanbul nel corso di una manifestazione di protesta.

Il ministro degli Interni Soylu ha risposto che tutti hanno condiviso il dolore per ogni donna uccisa in Turchia ma che la canzone si riferisce al Cile, respingendo il testo dell’inno che definiscono "stupratore" o "assassino" la polizia turca, i giudici, lo Stato e il presidente.

Il femminicidio è una questione ignorata in Turchia, scrivono Daniel Bellut e Burcu Karakas su DW. Le organizzazioni per i diritti delle donne chiedono una migliore protezione, ma il governo non fa quasi nulla. Basti pensare che non ci sono dati ufficiali sui femminicidi e le violenze di genere. 

Secondo i dati raccolti dall’organizzazione “We Will Stop Femicide” solo nel 2019 sarebbero state uccise 440 donne in tutta la Turchia, più del doppio dal 2012 quando il governo ha approvato una legge per proteggerle. Mentre l'Organizzazione mondiale della Sanità ha detto che il 38% delle donne in Turchia sono state violentate da un partner durante la loro vita, il 13% in più rispetto alla media in Europa.

L’ultimo caso, eclatante, due settimane fa, nella provincia di Ordu, sul Mar Nero. La ventenne studentessa d'arte Ceren Ozdemir è stata seguita da uomo e uccisa mentre tornava a casa dopo una lezione di danza. La persona sospettata dell’omicidio era già stato condannato 12 volte per reati come l'infanticidio e la rapina. Prima di uccidere la giovane donna, era fuggito dal carcere. 

Il giorno dopo l'omicidio di Ceren Ozdemir, un tribunale turco ha condannato all'ergastolo Cagatay Aksu, e a 18 anni e 9 mesi un suo complice, Berk Akand, accusati entrambi per lo stupro e la morte di Sule Cet, studentessa universitaria di 23 anni che, nel maggio del 2018, precipitò dal ventesimo piano di un grattacielo ad Ankara, dopo aver subito una violenza sessuale. In un primo momento, le prime indagini condotte dalla polizia hanno fatto propendere per il suicidio. Solo in un secondo momento, quando non vennero trovate le impronti digitali di Sule Cet sulle finestre e l'autopsia svelò i segni dello stupro, i due vennero arrestati.  Nella capitale turca, attiviste presenti fuori dall'aula hanno accolto la sentenza con applausi, brandendo le foto di Sule.

I gruppi che lottano per i diritti delle donne sperano che la pressione pubblica generata da questi ultimi casi di femminicidio possano portare a una trasformazione della struttura sociale, fortemente patriarcale. «È normale per una donna che è minacciata dal marito e teme per la sua vita cercare protezione dallo Stato. Le disposizioni legali sono chiare, ma troppo spesso viene detto loro: “Torna da tuo marito”», ha detto Gokce Yazar dell'associazione degli avvocati di Sanliurfa.

Recentemente, il partito di governo, AKP, e l’ultra-nazionalista MHP hanno respinto la proposta di istituzione di una commissione parlamentare sulla violenza di genere presentata dal partito HDP. E quando circa 2000 donne si sono radunate a Istanbul in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne il 25 novembre per protestare contro i femminicidi, la polizia ha interrotto la manifestazione sparando lacrimogeni e proiettili di plastica.

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In Turchia, molte donne si affidano alla Convenzione di Istanbul, un accordo del Consiglio d'Europa del 2014 sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Le nazioni firmatarie si sono impegnate a creare le condizioni necessarie per combattere il problema. La Turchia ha ratificato l'accordo cinque anni fa e gli ha dato una base giuridica con una legge per la prevenzione della violenza contro le donne e la protezione della famiglia.

Ma, spiegano le associazioni che si battono contro la violenza di genere, le norme giuridiche della Convenzione di Istanbul e le misure di assistenza e protezione previste per le donne non vengono applicate. 

Immagine in anteprima via hurriyetdaylinews.com

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