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Siria, l’attacco chimico contro la popolazione di Douma e le responsabilità di Assad. Cosa sappiamo

5 Dicembre 2019 20 min lettura

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Siria, l’attacco chimico contro la popolazione di Douma e le responsabilità di Assad. Cosa sappiamo

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Siria, l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) per la prima volta accusa Assad di aver usato armi chimiche in tre attacchi nel 2017

Aggiornamento 13 aprile 2020: In un rapporto pubblicato l'8 aprile l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) ha accusato per la prima volta il regime siriano di aver usato armi chimiche in tre rispettivi attacchi avvenuti alla fine di marzo 2017. L'uso di armi chimiche è severamente vietato dal diritto internazionale.

Il documento accusa l'aeronautica militare siriana di aver usato due volte il gas nervino Sarin per attaccare la città di Ltamenah. Nella stessa settimana aerei del regime hanno bombardato la città anche con gas di cloro.

I tre bombardamenti, avvenuti il 24, il 25 e il 30 marzo 2017 e che hanno causato la morte e il ferimento di civili e medici, sono stati condotti pochi giorni prima dell'attacco con il gas nervino Sarin alla città di Khan Sheikhoun (una delle roccaforti dei ribelli a nord della Siria) del 4 aprile che provocò 87 vittime (tra cui molti bambini) e che fu documentato con alcune delle immagini più scioccanti della guerra siriana.

L'inchiesta dell'OPCW ha scoperto il tipo di munizioni utilizzate e nomi e ranghi degli ufficiali siriani che hanno impartito gli ordini nonché la base aerea (quella di Shayrat) dalla quale sono partiti i jet SU-22 che hanno condotto il primo e il terzo attacco e l'elicottero che ha eseguito il secondo.

L'organismo delle Nazioni Unite ha dichiarato di aver intervistato varie "persone che erano presenti nei luoghi interessati dagli incidenti" e di aver svolto "analisi di campioni e di resti raccolti nei luoghi coinvolti, esami delle sintomatologie riportate da vittime e personale medico, analisi di immagini, comprese quelle satellitari, e un'ampia consultazione di esperti".

Jerry Smith, ex investigatore dell'OPCW, ha dichiarato al Guardian che il rapporto rappresenta un momento importante nello sforzo che si sta compiendo di portare dinanzi alla giustizia gli autori dei crimini di guerra in Siria.

Al momento delle incursioni Ltamenah, insieme a Khan Sheikhoun, era un importante centro logistico e di riferimento per i gruppi dell'opposizione, che nelle settimane precedenti avevano lanciato attacchi devastanti contro la città di Hama. Entrambe le città sono state riconquistate dalle forze siriane e alleate.

Il governo siriano ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento affermando di non possedere più armi chimiche a seguito di un accordo del 2013 in cui si è impegnato a cedere il proprio arsenale chimico.

Precedenti rapporti hanno indicato che le forze governative siriane hanno lanciato altri attacchi chimici nel paese devastato dalla guerra dal marzo 2013, in aree che includono le regioni di Idlib, Hama e Ghouta orientale.

Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite il sanguinoso conflitto, giunto al decimo anno, ha provocato almeno 400.000 vittime e ha costretto milioni di persone ad abbandonare le proprie case.

L’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) – l’organizzazione internazionale che promuove e verifica l'adesione degli Stati alla convenzione sulle armi chimiche che proibisce l'uso di tali armi e ne chiede la distruzione – ha manipolato il suo rapporto tecnico che avrebbe dovuto verificare l’utilizzo o meno di armi chimiche nell'attacco a Douma, in Siria, nell’aprile 2018? È quanto sostiene un’email datata 22 giugno 2018, inviata da un dipendente dell'organizzazione al diplomatico inglese Robert Fairweather, all’epoca capo di gabinetto dell'allora direttore generale dell'OPCW, il diplomatico turco Ahmet Uzumcu e diffusa nei giorni scorsi da Wikileaks. “Gentile Rob”, si legge nel documento (qui nella traduzione riportata da Stefania Maurizi su Repubblica), “come membro del team della missione di Fact-finding che ha condotto l'inchiesta sull'attacco a Douma, il 7 aprile, desidero esprimere la mia più grave preoccupazione per la versione redatta del rapporto della missione di Fact-finding”.

Nell’aprile del 2018 – come scrivevamo in questo articolo – la Syrian Civil Defense (i cosiddetti Caschi Bianchi) e la Syrian Medical American Society avevano diffuso un comunicato stampa congiunto in cui dichiaravano che centinaia di persone si erano presentate nei centri medici di Douma mostrando “sintomi indicativi di un’esposizione a un agente chimico”, in particolare “bradicardia, sibili e suoni bronchiali grossolani”. Gli attacchi – si leggeva ancora nel comunicato – avrebbero avuto come obiettivo centri medici e di protezione civile, colpendo “un gran numero di ambulanze e veicoli di soccorso” e riuscendo a paralizzare la capacità medica della città. Era stato difficile risalire al numero effettivo delle vittime e valutare in modo indipendente il numero delle vittime perché – scriveva all’epoca il New York Times, Douma era circondata da forze governative siriane, che impedivano l'accesso di giornalisti, operatori umanitari e investigatori.

Leggi anche >> Siria, la popolazione di Douma sotto attacco: cosa sappiamo e la difficoltà dei media di documentare

Lo scorso febbraio, quasi un anno fa, alcuni tweet (poi cancellati) di Riam Dalati, uno dei produttori della BBC in Siria, erano stati usati (in Italia anche da Diego Fusaro) per sostenere che in Siria non erano state utilizzate armi chimiche e che era stata tutta una messa in scena mediatica per ribaltare il presidente Assad. In realtà, come si poteva leggere nello screenshot di uno dei tweet, il produttore della BBC in Siria non aveva mai negato l’attacco né sostenuto che non fossero state utilizzate armi chimiche. Nei suoi tweet Dalati aveva detto che il bombardamento c’era stato e aveva spiegato che non era stato provato l’uso dell’agente nervino Sarin e che sarebbe stato l’OPCW (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) a verificare l'utilizzo di gas clorino o altro, come effettivamente è avvenuto. Il produttore della BBC poi scriveva, riprendendo una lunga inchiesta giornalistica di James Harkin su The Intercept, che i video girati all’ospedale di Douma erano stati realizzati in modo tale da massimizzare l’effetto mediatico, ma non riportava quest’affermazione per negare l’attacco con armi batteriologiche a Douma, come sostenuto erroneamente da Fusaro. Anche James Harkin, nel suo articolo, spiegava che i sintomi manifestati dalle persone sopravvissute all’attacco faceva pensare all’uso di armi chimiche.

A marzo 2019, poi, a quasi un anno dall’inizio della sua missione, l’OPCW pubblicava i risultati delle analisi dei campioni ambientali raccolti in due siti di Douma giungendo alla conclusione che c’erano ragionevoli evidenze che nell’attacco nell’aprile 2018 erano stati usati agenti chimici ed era possibile che la sostanza chimica utilizzata era stata il cloro molecolare (e non il sarin, come era stato detto subito dopo il bombardamento). L’utilizzo del cloro come arma chimica batteriologica è proibito dalla Convenzione ratificata dalla Siria nel 2013, e vietato anche dal diritto internazionale umanitario. L’OPCW (che nel corso della sua missione aveva intervistato anche diversi testimoni sopravvissuti all’attacco) non aveva individuato chi aveva usato queste armi chimiche batteriologiche perché, si leggeva nel comunicato, “non faceva parte del suo mandato di indagine”. Subito dopo l’attacco il regime siriano era stato accusato dai governi occidentali di aver fatto ricorso ad armi chimiche in una decina di occasioni.

Ora, stando ai contenuti dell’email del whistleblower rilasciata da Wikileaks, tra i tecnici dell’OPCW c’erano molte perplessità sui contenuti del rapporto che l’organizzazione avrebbe dovuto pubblicare. L’autore dell’email contestava alcuni punti specifici della bozza di un "rapporto redatto"  [ndr, una bozza non pubblicata e interna] precedente a un rapporto intermedio di 26 pagine, uscito il 6 luglio 2018, diverso nei contenuti da quello definitivo, pubblicato l’1 marzo 2019.

In particolare, il whistleblower contestava tre punti del rapporto: 1) Il fatto che al suo interno si parlasse di alti livelli di “derivati organici contenenti cloro […] rilevati nei campioni ambientali”; 2) Non c’era traccia delle contraddizioni tra i sintomi accusati dalle presunte vittime e quelli riportati dai testimoni e visti nei video che circolavano, che pure erano state discusse dagli ispettori ed “erano state confermate da tre tossicologi con una competenza specifica in materia di esposizione alle armi chimiche”; 3) L’affermazione che il gas tossico fosse fuoriuscito da due cilindri metallici gialli. 

Della presenza di un whistleblower tra i tecnici dell’OPCW si era parlato per la prima volta un mese prima, il 15 ottobre, durante una conferenza curata dalla Courage Foundation, un’organizzazione che – si legge sul sito – “sostiene chi rischia la vita o la libertà per dare un significativo contributo alla documentazione storica” e da anni è impegnata nella difesa di giornalisti o whistleblower come Edward Snowden, Chelsea Manning e Julian Assange. Il direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson aveva dichiarato all’epoca a Repubblica che durante l’incontro erano “state presentate prove che gettano dubbi sull'integrità dell'OPCW. Sebbene il whistleblower non sia pronto a rivelare la propria identità e a presentare i documenti al pubblico, WikiLeaks ritiene che sia assolutamente nell'interesse dell'opinione pubblica mostrare tutti i materiali raccolti dalla missione di fact-finding dell'OPCW a Douma e tutti i report scientifici dell'indagine. Noi invitiamo chi ha accesso ad essi all'interno dell'OPCW a inviarli in modo sicuro a WikiLeaks attraverso la nostra piattaforma wikileaks.org/#submit”.

I contenuti dell’email del whistleblower – scriveva Stefania Maurizi su Repubblica – cui avevano avuto accesso i partecipanti all’incontro della Courage Foundation a ottobre e poi diffuse da Wikileaks il 24 novembre, sembravano confermare i dubbi, sollevati sin dall’inizio, che le conclusioni del rapporto dell’OPCW su Douma potessero essere usate in modo strumentale per un cambio di regime in Siria, in modo analogo a quanto avvenuto in Iraq con la ricerca delle armi di distruzione di massa di Saddam [ndr, grassetto nell’articolo di Repubblica]. Maurizi ricordava come la Russia avesse da subito “contestato l metodo di lavoro dell'Opac, criticando in modo particolare gli ispettori per aver accettato campioni ambientali raccolti da ONG considerate controverse, come i White Helmets. Ma nessuno prese sul serio le critiche russe, considerato il rapporto tra la Siria di Bashar al-Assad e la Russia di Putin” [ndr, grassetto nell’articolo originale]. Sempre a Repubblica, l'allora direttore generale dell'OPCW, Ahmet Üzümcü, aveva respinto le contestazioni spiegando che gli ispettori prendevano in considerazione una grande varietà di informazioni e materiali, raccolti da diverse fonti e non da una sola ONG e aggiungendo che “a meno che non ci sia un alto livello di affidabilità delle informazioni, i nostri ispettori non traggono conclusioni”.

Stando a quanto riportato, dunque, da Daily Mail, Repubblica e il sito islandese Stundin – che hanno dato risalto per primi alla notizia – i documenti diffusi da Wikileaks testimonierebbero il tentativo di insabbiare alcuni elementi rilevati durante la missione a Douma da parte dell’OPCW per modificare le “informazioni raccolte sulle analisi chimiche, i consulti tossicologici, gli studi balistici e le testimonianze dirette” a favore di “conclusioni preconfezionate” che dimostrassero l’utilizzo di armi chimiche negli attacchi in Siria. 

Il 24 novembre sarebbe iniziata la conferenza annuale di tutti i paesi membri dell’OPCW: “l'Organizzazione premio Nobel per la Pace 2013 farà chiarezza sulle gravi accuse del whistleblower, dopo questa email?”, si chiedeva Stefania Maurizi su Repubblica.

L’articolo di Bellingcat

La vicenda, però, è più complessa di come è stata riportata in prima battuta da Repubblica, Stundin e Daily Mail. Due giorni dopo la diffusione dell’email da parte di Wikileaks, Bellingcat pubblica un articolo in cui mostra che i rilievi mossi dal whistleblower nella sua lettera all’allora capo di gabinetto di OPCW, Robert Fairweather, erano relativi alla bozza di un "rapporto redatto"  [ndr, una bozza non pubblicata e interna] precedente a un “rapporto ad interim” di 26 pagine pubblicato il 6 luglio 2018, e risultavano poi in gran parte accolti nella versione finale del report, lunga 106 pagine, resa pubblica, come già detto, l’1 marzo 2019. 

“Un confronto tra i punti sollevati nella lettera del whistleblower e il rapporto finale – spiega Bellingcat – chiarisce nitidamente che l'OPCW non solo ha affrontato le osservazioni fatte ma ha anche cambiato le conclusioni di un rapporto precedente per accogliere le preoccupazioni del suo dipendente”. 

La lettera diffusa da Wikileaks, datata 22 giugno, solleva preoccupazioni su un “report redatto” [ndr, una bozza non pubblicata e interna]. I punti sollevati nell’email non sono di fatto presenti nel report provvisorio, lo sono, tuttavia, nel rapporto finale. Questo fa pensare, prosegue Bellingcat, che il cosiddetto "rapporto redatto" sia stato una base o una bozza iniziale per il rapporto finale.

Stando così le cose, la notizia è molto più ridimensionata e più che di dati manipolati e nuove verità sull’attacco a Douma (come inizialmente intitolato anche da Repubblica che poi ha modificato il titolo del suo pezzo in un più cauto “Nuove rivelazioni sull’attacco a Douma”) si sarebbe dovuto parlare al massimo delle controversie e delle discussioni tra i tecnici dell’OPCW che hanno portato alla procrastinazione della diffusione del rapporto finale. Commenta, infatti, nelle conclusioni dell’articolo la redazione di Bellingcat: “Sulla base di questa analisi è chiaro che WikiLeaks, il Daily Mail, La Repubblica e Stundin non sono riusciti a comprendere il contesto di questa lettera [ndr, l’email del whistleblower] e del rapporto finale su Douma. Se coloro che si sono occupati di questa storia si fossero presi il tempo di leggere la lettera e i report dell’OPCW, avrebbero di certo scelto di riportarla in modo molto diverso”.

Nel pezzo, Bellingcat mette a confronto tutte le osservazioni del whistleblower con la versione finale del rapporto. In particolare, il dipendente dell’OPCW sollevava tre questioni: 1) Nella bozza del rapporto si diceva che era probabile [ndr, grassetto nostro] che la sostanza tossica fosse fuoriuscita dai due cilindri trovati sul luogo della strage, ma in base al materiale e alle informazioni raccolte non era possibile giungere a queste conclusioni; 2) Si parlava di livelli alti di residui di cloro; 3) Era stata utilizzata l’espressione "a reactive chlorine-containing chemical", mentre sarebbe stato più accurato parlare di "a chemical containing reactive chlorine". 

Inoltre, nella bozza del rapporto mancavano uno studio dei sintomi delle vittime (in modo tale da poter essere certi di poter parlare di utilizzo di cloro molecolare nell’attacco), un’analisi che dimostrasse che i cilindri erano stati lanciati dall’alto e che, pertanto, che trattava di un bombardamento (il che, nota Lorenzo Declich, avrebbe implicitamente provato che i responsabili dell’attacco erano “Assad o i suoi alleati russi, gli unici ad avere un’aviazione da guerra che possa sorvolare l’area colpita”), e una lunga e dettagliata bibliografia.

Ma, nella versione finale, questi rilievi erano stati accolti. C’è scritto che è possibile (e non più, probabile) che le sostanze tossiche siano uscite dai due cilindri; non si parla più di livelli alti di cloro, ma si dice che in alcuni campioni sono più alti che in altri; viene sostituita l’espressione "a reactive chlorine-containing chemical" con "a chemical containing reactive chlorine", come segnalato dal whistleblower.

Inoltre, il rapporto finale include una sezione sui sintomi delle vittime e un’analisi epidemiologica, sottolineando che sono stati consultati "quattro tossicologi e un medico" e che ulteriori consultazioni con tossicologi sono state fatte a settembre e ottobre 2018, alcuni mesi dopo l’email del dipendente dell’OPCW. 

Anche per quanto riguarda l’analisi dell’impatto dei cilindri, si legge che sono state condotte tre analisi indipendenti da esperti di tre paesi diversi e tutte sono arrivate alla conclusione che i cilindri sono caduti dall’alto. Questi studi sono arrivati solo a dicembre 2018, quasi sei mesi dopo l’email. Infine, il rapporto presentava una bibliografia specifica, a ulteriore testimonianza che le osservazioni mosse dal whistleblower riguardavano una versione ormai obsoleta ed erano da considerarsi superate.

Whistleblower vs Watchdog: a chi credere?

Prima che Wikileaks rilasciasse l’email inviata dal whistleblower all’allora capo di gabinetto dell’ex direttore generale di OPCW, Robert Fairweather, la diffusione dei contenuti della lettera era avvenuta tramite terzi. 

L’informatore, chiamato “Alex”, non aveva diffuso direttamente le informazioni in suo possesso ma aveva preferito raccontarle ai membri di un panel a porte chiuse organizzato a Bruxelles lo scorso 15 ottobre dalla Courage Foundation. Chi aveva partecipato all’incontro riferì di aver letto le rivelazioni e di averle ritenute credibili.

Subito dopo quell’incontro, alcune testate e Wikileaks cominciarono a parlare dell’esistenza di un dipendente dell’OPCW che aveva partecipato alla missione in Siria che metteva in dubbio l’attendibilità del rapporto dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, facendo circolare anche l’idea che potesse essere stato manipolato per giustificare i bombardamenti dei paesi occidentali subito dopo l’attacco a Douma. È in quel periodo, ad esempio, che esce l’articolo su Repubblica di Stefania Maurizi che ospita l’intervista al direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, che aveva partecipato all’incontro.

Le informazioni sui possibili contenuti divulgati da “Alex” giungevano così all’opinione pubblica attraverso quanto riportato da chi aveva partecipato a quel panel a Bruxelles. Una versione di fatto mediata dall’interpretazione di terze persone che contribuivano a rendere ancora più confusa una vicenda già di per sé opaca.

Come ricostruisce sul suo sito al-bab, il giornalista esperto di Medio Oriente, Brian Whitaker, la missione dell’OPCW si inseriva in un contesto geopolitico molto complicato, stretta tra Assad e la Russia (che hanno sempre negato di aver usato armi chimiche negli attacchi in Siria, sostenendo che si trattava di “messe in scena” da parte di ribelli che cercavano di incriminare il regime o di notizie non verificate), e le potenze occidentali che, subito dopo l’attacco di Douma, hanno lanciato attacchi aerei senza attendendere le indagini ufficiali. In questo quadro, i rapporti tecnici dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche finiscono per essere politicizzati tra chi ritiene che possano essere utilizzati dai paesi occidentali per giustificare retrospettivamente i bombardamenti in Siria dopo l’attacco a Douma e chi invece li legge come la prova dell’utilizzo di armi chimiche da parte di Assad.

Come abbiamo visto, l’OPCW è giunta alla conclusione che c’erano ragionevoli evidenze per ritenere che nell’attacco nell’aprile 2018 a Douma erano stati usati agenti chimici, che l’attacco era avvenuto dall’alto ed era possibile che la sostanza chimica utilizzata fosse stata il cloro molecolare, senza però risalire ai responsabili dell’attacco in quanto non previsto dal suo mandato.

Già lo scorso maggio era trapelato un documento interno, diffuso su Internet, scritto da un dipendente di nome Ian Henderson, secondo il quale i due cilindri dal quale sarebbe uscito l’agente chimico erano stati “posizionati manualmente” anziché essere sganciati dall’alto, suggerendo implicitamente la tesi dell’attacco “messo in scena” dai ribelli per incriminare Assad.

La tesi del "collocamento manuale" non era stata menzionata in nessuno dei rapporti della missione a Douma dell’OPCW e questo aveva fatto pensare che le opinioni di Henderson fossero state soppresse. L'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche in seguito disse che quanto sostenuto dal suo dipendente era stato omesso perché puntava all'attribuzione della colpa e questo non rientrava nel mandato della missione, aggiungendo che il documento era stato girato al team di investigazione e identificazione (IIT) che ha il potere di attribuire la colpa.

In questa cornice si sono innestate le rivelazioni di “Alex” diffuse ai membri del panel della Fondazione Courage le cui posizioni, come ricostruiscono sia Whitaker sia Michael Weiss, un altro analista esperto di Medio Oriente, erano piuttosto esplicite rispetto al conflitto siriano. 

Oltre al direttore di Wikileaks, Kristinn Hrafnsson, nel panel c’era, José Bustani, ex direttore generale dell'OPCW tra il 1997 e il 2002, cacciato per volere degli Stati Uniti accusato dal Dipartimento di Stato americano di cattiva gestione dei fondi. Lui, a sua volta, accusò a sua volta l’amministrazione statunitense di avergli esercitato pressioni per dimostrare la presenza di armi chimiche in Iraq, causa ufficiale dell’inizio della guerra in Iraq, pur non essendo mai state trovate. In seguito, Bustani vinse la causa e ottenne un risarcimento per licenziamento ingiusto. L’ex direttore dell’OPCW non ha potuto partecipare all'incontro per motivi di salute.

Altri partecipanti all’incontro sono stati Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all'Università di Princeton, noto per aver espresso "dubbi ben evidenti" sul fatto che gli attacchi dell'11 settembre siano stati condotti da al-Qaeda "senza che i funzionari del governo ne fossero a conoscenza"; John Holmes, ufficiale dell'esercito britannico in pensione, attualmente membro del consiglio della British Syrian Society insieme al suocero del presidente Assad, Fawaz Akhras; Helmut Lohrer, membro del consiglio di amministrazione della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, che nel 2015 aveva invitato a revocare le sanzioni alla Siria; Günter Meyer, direttore del Center for Research on the Arab World dell'Università di Mainz, sostenitore di lunga data di Assad; Elizabeth Murray, membro di Veteran Intelligence Professionals for Sanity (VIPS), che in passato ha contestato la responsabilità di Assad per gli attacchi chimici in Siria, e Sam Adams Associates per Integrity in Intelligence, che nel 2017 ha assegnato un premio per la "verità" al giornalista Seymour Hersh, autore di numerosi articoli, screditati, sulle armi chimiche in Siria. All’incontro avevano partecipato anche due giornalisti, la freelance tedesca Karin Leukefeld e Jonathan Steele, ex firma del Guardian.

Inoltre, prosegue Whitaker, uno dei quattro fiduciari della Fondazione Courage è il giornalista australiano John Pilger che, in un'intervista a RT dello scorso anno, aveva dichiarato che "non ci sono prove reali" di un attacco chimico a Douma e aveva rilanciato la versione russa secondo la quale l'avvelenamento di Sergei e Yulia Skripal a Salisbury, nel Regno Unito, non era avvenuto attraverso un agente nervino. 

Fa parte della Fondazione anche l'ex spia britannica Annie Machon che, dopo essere uscita dal servizio di intelligence, ha continuato a organizzare una "campagna di verità" sull'11 settembre e a promuovere diverse teorie cospirative. Altro membro del consiglio consultivo è Ray McGovern, ex analista della CIA che ha contribuito a istituire Veteran Intelligence Professionals for Sanity (VIPS) che contesta la responsabilità del regime di Assad per gli attacchi chimici in Siria. Lo stesso McGovern è apparso su RT affermando che il sarin usato nell'attacco del 2013 a Ghouta non proveniva dalle scorte dell'esercito siriano ma era "fabbricato in casa".

L’informatore dell’OPCW si è rivolto a questo panel e, prima che Wikileaks rilasciasse il testo della sua lettera, quel che sapevano delle informazioni in suo possesso era stato diffuso da alcuni partecipanti all’incontro (come il direttore di Wikileaks) e dall’ex giornalista del Guardian, Jonathan Steele che in un articolo su Counterpunch dà largo spazio a quanto “Alex” avrebbe riferito nel panel a porte chiuso, fornendo molti più dettagli rispetto a quanto emerso dall’email divulgata la scorsa settimana.

Nell’articolo su Counterpunch, Steele ripercorre quanto “Alex” avrebbe rivelato al panel. Innanzitutto, all’interno del personale OPCW c’erano posizioni divergenti su come interpretare il materiale e le informazioni rilevate durante la missione a Douma, che però non hanno trovato spazio nei rapporti intermedio e in quello finale, che sarebbero stati definiti dall’informatore “impoveriti scientificamente, proceduralmente irregolari e forse fraudolenti”. “Tutti tranne un membro del team”, riporta Steele, avrebbero concordato con le ipotesi di Henderson sul “collocamento manuale” dei cilindri ma di questo nei rapporti non c’era traccia. Inoltre, avrebbero girato due bozze opposte del rapporto intermedio. Una prima, lunga 105 pagine, scritta da un ispettore di cui non si fa il nome, secondo la quale nell’attacco a Douma non erano stati usati agenti chimici, accolta nel silenzio dei dirigenti dell’OPCW. Una seconda che avrebbe dovuto sostituire questa prima bozza.

In seguito alle forti discussioni all’interno dell’Organizzazione, prosegue il racconto di Steele, fu pubblicata a luglio una versione di 26 pagine che non era altro che una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori: descriveva le attività della missione, affermava che il lavoro continuava a valutare l’impatto e la posizione dei cilindri e presentava i risultati del primo lotto dei test di laboratorio. Secondo i primi test, non c’erano indicazioni che facevano pensare alla presenza di un agente nervino (come il sarin, come era stato detto al momento dell'attacco) mentre erano stati trovati "vari prodotti chimici organici clorurati", sui quali era in corso l’analisi da parte del team.

Alcune delle osservazioni che “Alex” avrebbe riportato al panel, prosegue Whitaker nella sua analisi, hanno scarsa validità scientifica per come sono state riportate da Steele. In particolare, l’informatore avrebbe obiettato che, stando ai campioni biologici raccolti, "i segni e i sintomi" delle presunte vittime di Douma "non erano coerenti con l'avvelenamento da cloro". Ma, spiega Whitaker, lo scopo principale del campionamento biologico era verificare la presenza di sarin (che in effetti non è stato trovato), mentre non esiste ancora un modo valido per appurare l’esposizione delle persone al cloro. 

Mentre alcune armi chimiche - come Sarin - lasciano tracce "distintive" che possono essere rilevate attraverso test di laboratorio, rilevare l'uso del cloro – un elemento molto comune che si trova naturalmente in molti composti diversi e può anche essere introdotto nell'ambiente da varie forme di attività umana – come arma è molto più difficile dopo l'evento. 

Stupisce, prosegue Whitaker, che l’informatore possa aver fatto un’obiezione del genere [ndr, non presente in effetti nell’email indirizzata a Fairweather]. 

Ma le principali accuse mosse da “Alex”, stando sempre a quanto è stato riportato da Steele nel suo articolo su Counterpunch, riguardano l’opacità da parte dei vertici di OPCW che avrebbero allontanato chi, all’interno dell’organizzazione, metteva in discussione l’ipotesi di un attacco chimico a Douma e avrebbero subito le pressioni di tre funzionari americani, presenti nella stanza del capo di gabinetto, Robert Fairweather, due giorni prima della pubblicazione del rapporto intermedio a luglio.

Steele scrive che alcuni ispettori di OCPW “trovarono all’interno dell’ufficio tre funzionari statunitensi che furono introdotti in modo puntuale senza chiarire quali agenzie statunitensi rappresentavano. Gli americani dissero loro con enfasi che il regime siriano aveva condotto un attacco chimico e che i due cilindri che si trovavano sul tetto e sul piano superiore dell'edificio contenevano 170 chilogrammi di cloro. Gli ispettori lasciarono l'ufficio di Fairweather ritenendo l'invito degli americani una pressione inaccettabile e una violazione dei dichiarati principi di indipendenza e imparzialità dell'organizzazione". I regolamenti OPCW affermano che i dipendenti "non devono cercare né accettare istruzioni da alcun governo o da qualsiasi altra autorità esterna all'organizzazione". 

Qualunque cosa gli americani stessero facendo, nota Whitaker, non erano gli unici attori in gioco. Proprio mentre stavano iniziando le indagini di Douma, quattro agenti dell'intelligence russa furono catturati in un parcheggio vicino al quartier generale dell'OPCW mentre cercavano di hackerare il suo sistema wifi.

Le pressioni che gli investigatori sull’utilizzo di armi chimiche possono affrontare sono state descritte nel 2017 da Edmond Mulet, a capo di una sfortunata missione investigativa congiunta delle Nazioni Unite: "Riceviamo - purtroppo - messaggi diretti e indiretti continuamente da molte parti che ci dicono come fare il nostro lavoro. Sono pressioni continue che cercano di tirare da una parte o dall’altra il nostro lavoro. Ci viene detto che se contrarie ai loro punti di vista, le conclusioni cui giungiamo non saranno accettate".

In un'indagine sulle armi chimiche – e in una particolarmente controversa come quella su Douma – ci si aspettava pressioni di questo tipo, commenta Whitaker. La questione è delicata e riguarda la credibilità di quanto sostenuto da un informatore interno (che ha scelto inizialmente terzi per divulgare le informazioni in proprio possesso) e quella di un’organizzazione, come l’OPCW, che dovrebbe essere trasparente e di garanzia, forte di fronte alle pressioni cui è esposta. Finora, stando anche alla ricostruzione di Bellingcat, sembra che abbia resistito.

Tuttavia, resta un ulteriore elemento di opacità: perché – si chiede Whitaker – il whistleblower si è rivolto a terzi? Avrebbe potuto rendere pubbliche le sue prove, insieme a una spiegazione scritta delle sue osservazioni, dando a tutti la possibilità di farsi un’idea autonomamente. Invece ha scelto di rivolgersi a intermediari che hanno in qualche modo dato una forma alle sue parole. Per quale motivo?

La risposta di OCPW

Steele racconta nel suo articolo che Henderson e “Alex” speravano che le loro obiezioni portassero a un’indagine interna. Una volta che questo tentativo è fallito, hanno deciso di rendere pubblici i loro rilievi.

L’email diffusa da Wikileaks è stata citata durante l’assemblea annuale dell’OPCW dall’ambasciatore della Russia in senso all’organizzazione, Alexander Shulgin, per sostenere come il rapporto ufficiale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche abbia distorto la realtà riguardo gli attacchi in Siria, riporta il Guardian.

Il direttore generale dell'OPCW, Fernando Arias, ha difeso il rapporto, spiegando ai paesi membri che: “in ogni squadra che fa indagini approfondite ci sono opinioni soggettive. Mentre alcune di queste diverse opinioni continuano a circolare in alcuni forum di discussione pubblici, vorrei ribadire che sostengo la conclusione indipendente e professionale [dell'indagine]". Arias ha aggiunto che una nuova squadra lavorerà per individuare le responsabilità degli attacchi.

Intanto, riporta Daniele Raineri su Il Foglio, l’assemblea ha approvato il budget per l’OPCW respingendo così il tentativo da parte della Russia che “aveva convinto una piccola cordata di paesi a votare contro il bilancio perché è contraria alla modifica del mandato. Dall’anno prossimo grazie a questa modifica le squadre di investigatori dell’OPCW potranno tornare a indagare non più soltanto per capire se c’è stato oppure no un attacco chimico, ma anche per chiarire chi è stato il responsabile”.

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Aggiornamenti

Aggiornamento 5 dicembre 2019: Nella parte introduttiva dell'articolo era stato erroneamente riportato che l'email del whistleblower contestava alcuni punti di un rapporto intermedio di 26 pagine, uscito il 6 luglio 2018, diverso da quello definitivo, pubblicato l'1 marzo 2019. L'email si riferisce a un rapporto redatto (cioè una bozza non pubblicata e interna) precedente al rapporto intermedio del 6 luglio. Pertanto la frase: "L’autore dell’email contestava alcuni punti specifici della bozza di un rapporto intermedio di 26 pagine, uscito il 6 luglio 2018, diverso nei contenuti da quello definitivo, pubblicato l’1 marzo 2019" è stata corretta così > "L’autore dell’email contestava alcuni punti specifici della bozza di un "rapporto redatto"  [ndr, una bozza non pubblicata e interna] precedente a un rapporto intermedio di 26 pagine, uscito il 6 luglio 2018, diverso nei contenuti da quello definitivo, pubblicato l’1 marzo 2019".

Immagine in anteprima via New York Times

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