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La guerra infinita: tredici anni di conflitto in Siria

24 Maggio 2024 8 min lettura

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La guerra infinita: tredici anni di conflitto in Siria

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A tredici anni dall’inizio delle ostilità in Siria, i fronti di guerra continuano a mutare e moltiplicarsi. Fonti non ufficiali parlano di un imminente attacco dell’esercito regolare all’indirizzo del governatorato di Sweida, dove da settembre dello scorso anno si svolgono manifestazioni contro il regime di Damasco. Le stesse fonti affermano che diverse fazioni militari locali si starebbero preparando a rispondere a un’eventuale offensiva. L’osservatorio militare Sam ha parlato di rinforzi all’esercito di Bashar al Assad arrivati nel governatorato “in sostegno ai punti militari predisposti alla protezione delle istituzioni statali all’interno del governatorato”. A supporto delle truppe lealiste sarebbero arrivate anche unità iraniane. A infiammare gli animi negli ultimi giorni è stato l’arresto di uno studente universitario, “colpevole” di aver preso parte a una manifestazione pacifica. 

Il governatorato di Sweida è particolarmente attenzionato non solo per i movimenti antigovernativi che continuano a crescere, ma anche perché è considerato una via di transito per le spedizioni di droga gestite dalle milizie sostenute dal regime e dall'Iran verso la Giordania e da lì verso gli Stati arabi del Golfo. La droga in questione è il Captagon, un composto di anfetamina e altre sostanze stimolanti, usato da terroristi e guerrieri per aumentare la loro forza e la loro resistenza.

Negli ultimi anni lo smercio di questo stupefacente è diventato una delle principali fonti di ricchezza del governo siriano. Sebbene le fazioni locali, tra cui “Rijal al Karama” e “Abna’a Jabal al-Arab” si oppongano al traffico di droga e perseguano i responsabili, queste operazioni sono ancora molto numerose. Secondo queste fazioni il blocco della rotta della droga verso la Giordania attraverso Sweida costituisce un pretesto per il regime per assaltare il governatorato o lanciare un’azione militare nell’area. Diverse fazioni locali avevano precedentemente avviato una campagna militare contro i trafficanti e gli spacciatori di droga nelle regioni meridionali e orientali di Sweida, vicino al confine siriano-giordano, e avevano costituito comitati popolari per sostenere questa campagna. I rappresentanti locali, infatti, vogliono che si ponga fine allo smercio dei narcotici, anche per non dare adito all’esercito della Giordania di lanciare raid nella zona, che spesso hanno provocato il ferimento e la morte di civili inermi, come accaduto nelle città di Arman e Malh.  

Contro il traffico internazionale di Captagon da parte del regime siriano lo scorso 24 aprile, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato il disegno di legge “Illicit Captagon Trafficking Suppression Act” (Captagon 2), parte di un pacchetto legislativo urgente che è stato approvato, che segue il Captagon Act già firmato dal Congresso nel 2022. La norma 815 include nella Sezione “D”, la legge “Pace attraverso la forza nel XXI secolo”, e sotto questo titolo, nella Sezione “P”, arriva la “Legge sulla soppressione del traffico illecito di Captagon”, insieme all’atto per “Ricostruire la prosperità economica e le opportunità per gli Ucraini” e alla “Legge sulla responsabilità dei leader iraniani”.

Questo provvedimento prevede l’emissione di nuove sanzioni dirette contro i responsabili che producono e commerciano illegalmente Captagon, secondo una dichiarazione rilasciata il 16 aprile dal deputato repubblicano French Hill, sponsor del disegno di legge alla Camera dei Rappresentanti. Hill ha dichiarato su “X“ che è fondamentale adottare ulteriori misure per interrompere e smantellare la produzione e il traffico di Captagon, poiché genera miliardi di dollari di finanziamenti illeciti al regime di Assad e distrugge le famiglie nella regione. French ha aggiunto: “Con il mio disegno di legge convertito in legge, coloro che sono direttamente coinvolti nella proliferazione di questo farmaco pericoloso saranno presi di mira e puniti”.

Il direttore esecutivo dell'organizzazione Syrian Emergency Task Force, Mouaz Moustafa ha così commentato l’iniziativa statunitense: “Questo disegno di legge è sia politicamente, sia simbolicamente importante. Ricorda al mondo che Assad è un narcotrafficante oltre che un criminale di guerra, impone anche sanzioni basate specificamente sul commercio di Captagon e prende di mira il regime di Assad, compresi i suoi familiari come il fratello Maher al Assad”. 

L’approvazione del disegno di legge arriva dopo che le autorità statunitensi hanno imposto sanzioni a undici persone ed entità per il loro coinvolgimento in crimini finanziari, traffico di droga e sfruttamento delle risorse siriane da parte del regime di Assad. Secondo l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, il commercio illecito di Captagon è diventato una fonte di entrate significativa per il regime di Assad, le forze armate siriane e i gruppi paramilitari. Inoltre, lo sfruttamento delle industrie estrattive con l’assistenza straniera rafforza i profitti del regime. Le imprese di servizi monetari siriani svolgono un ruolo fondamentale nell’eludere le sanzioni e nel facilitare le transazioni finanziarie per conto del regime.

Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno preso anche un’altra decisione che riguarda la Siria, ovvero il rimpatrio di undici cittadini statunitensi che erano rimasti bloccati per anni nei campi nel deserto e nei centri di detenzione gestiti dalle Forze Democratiche Siriane (Sdf) nel nord-est della Siria. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha dichiarato in un tweet sulla piattaforma "X" che “Washington ha recuperato undici cittadini statunitensi, tra cui cinque minorenni, nella più grande operazione di rimpatrio di cittadini statunitensi dal nord-est della Siria fino ad oggi”.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato che Washington ha anche aiutato a rimpatriare sei cittadini canadesi, quattro cittadini olandesi e un cittadino finlandese, che sono tornati nei loro paesi, tra cui otto bambini che si trovavano nel nord-est della Siria. Molti paesi, soprattutto in Europa, esitano a consentire il ritorno dei propri cittadini, in particolare degli uomini, temendo che possano rappresentare una minaccia per la sicurezza.

Alcuni Stati temono che, secondo i loro sistemi giuridici, la reclusione per chi si unisce all’organizzazione dello Stato islamico durerebbe solo pochi anni. Blinken ritiene che “l’unica soluzione permanente alla crisi umanitaria e di sicurezza nei campi sfollati e nei centri di detenzione nel nord-est della Siria è che i paesi rimpatrino i rifugiati nelle loro terre d’origine, li reintegrino e li riabilitino, garantendo la responsabilità quando appropriato”.

Recentemente anche il Tajikistan ha rimpatriato una cinquantina di donne e bambini. Il rimpatrio è avvenuto quasi un mese dopo l'attacco a una sala da concerto alla periferia di Mosca che ha ucciso 144 persone. Il massacro è stato compiuto da quattro presunti aggressori che sono stati arrestati e identificati come cittadini tagiki. L'Isis K ha rivendicato la responsabilità e ha affermato che quattro dei suoi combattenti avevano preso di mira la sala in Russia. 

I campi di prigionia dove sono rinchiusi i familiari dei terroristi del cosiddetto Califfato sono stati oggetto di un’indagine da parte di Amnesty International, che ha denunciato le gravi condizioni umanitarie in cui vivono bambini, donne e uomini. Il rapporto fa luce sulle morti di massa, le torture e altre violazioni contro le persone detenute proprio in seguito alla sconfitta dello Stato islamico. Si tratta di almeno 56mila persone, compresi donne e bambini arrestati arbitrariamente e sottoposti a tortura. Secondo il documento, si tratta di 11.500 uomini, 14.500 donne e 30.000 bambini detenuti in almeno ventisette strutture e due campi di detenzione: Al-Hol e Roj. I campi sono controllati dai soldati curdi e dalle pattuglie statunitensi. Tra i detenuti figurano siriani, iracheni e cittadini stranieri provenienti da circa settantaquattro altri Paesi.

La crisi umanitaria è diffusa in tutto il paese, non solo nei campi di detenzione. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), nel 2024, si prevede che 16,7 milioni di persone avranno bisogno di assistenza, il numero più alto dall’inizio della crisi nel 2011. La stessa fonte denuncia che la Siria rimane in una situazione di crisi e mancanza di protezione. I bambini continuano a essere uccisi, le donne e le ragazze continuano a temere per la loro incolumità e 7,2 milioni di siriani rimangono sfollati, molti dei quali vivono in campi sovraffollati. Il terremoto dello scorso anno, che ha provocato oltre seimila vittime e dodicimila tra feriti e mutilati in Siria, ha contribuito ad aggravare la situazione nel paese mediorientale, già tanto provato da tredici anni consecutivi di bombardamenti. 

I siriani stanno diventando sempre più poveri mentre l'economia continua la sua caduta libera. Da febbraio 2023 la sterlina siriana (SYP) ha perso circa la metà del suo valore rispetto al dollaro statunitense (USD), con una media, nel novembre 2023, di circa 14.200 SYP/1 dollaro USA nel mercato parallelo dei cambi. Da febbraio a settembre 2023, l’inflazione – misurata dall’indice dei prezzi minimi del paniere alimentare del Programma alimentare mondiale (WFP) – è aumentata dell’88% a causa del ridotto accesso ai beni, dell’interruzione delle catene di approvvigionamento e dell’aumento dei costi logistici. Tutti fattori che hanno esercitato forti pressioni al rialzo sui prezzi. “Senza finanziamenti urgenti e sostenuti”, denuncia l’OCHA, i beni essenziali come l’acqua, i servizi igienico-sanitari, l’elettricità e l’istruzione continueranno a deteriorarsi, spingendo sempre più persone verso un bisogno disperato e aumentando il rischio di ricorrere a meccanismi di reazione negativi. Investire ora nei servizi di base essenziali è essenziale per aprire la strada a una risposta più duratura e impedire il manifestarsi di una crisi ancora più grande.

Anni di violenze in Siria hanno inoltre provocato una grande fuga di massa verso i paesi limitrofi e non solo. Il numero di profughi è salito a oltre sette milioni, divisi tra Turchia, Giordania, Libano, ma anche Germania e altri paesi europei. Oltre a vivere in una condizione precaria, i rifugiati siriani sono sotto la costante minaccia di essere rimpatriati. Lo scorso anno, nel corso della campagna elettorale in Turchia, il tema del rimpatrio dei rifugiati siriani è stato avanzato sia dalla maggioranza sia dall’opposizione.

In Libano, paese di circa quattro milioni di abitanti, dove i siriani sono quasi un milione, la situazione diventa sempre più rischiosa, in un’atmosfera di generale insofferenza. Proprio il paese dei cedri ha firmato un accordo con l’Unione Europea un miliardo di euro (1,08 miliardi di dollari) per affrontare la crisi finanziaria e l’elevato numero di rifugiati, oltre che tentare di frenare l’immigrazione irregolare. In occasione della visita a Beirut della presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, Human Rights Watch ha denunciato il rischio delle deportazioni verso la Siria, che, dichiara l’organizzazione, “non è affatto un paese sicuro”. I rimpatri per i siriani significherebbero rischi di arresto, tortura e persino uccisione.

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Secondo l’ultimo report del Syrian Network for Human Rights (SNHR), nel mese di aprile sono state uccise 68 persone, tra cui tredici bambini, e sono stati registrati ben 212 casi di arresti arbitrari, di cui dodici riguardanti minorenni. Un quadro preoccupante che impone soluzioni urgenti che tutelino i diritti umani della popolazione rifugiata. 

A dare ancora speranza e fiducia ai siriani, in particolare quelli in diaspora, sono i processi contro funzionari governativi siriani che vengono perseguiti da corti europee per i loro crimini contro la popolazione civile. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello della Corte penale di Parigi che ha aperto il primo processo in contumacia contro tre funzionari del governo di Bashar Al Assad per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Ali Mamlouk, ex capo dell'Ufficio per la sicurezza nazionale siriano, Jamil Hassan, ex direttore dei servizi segreti dell'aeronautica militare, e Abdel Salam Mahmoud, ex capo delle indagini del servizio a Damasco, sono soggetti a mandati di arresto internazionali per l’arresto di due cittadini con doppia cittadinanza, siriana e francese, Mazzen Dabbagh e suo figlio Patrick nel 2013. Nel novembre dello scorso anno, la Francia ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti di Assad per l’uso di armi chimiche contro civili. A gennaio del 2022 un tribunale tedesco ha condannato all'ergastolo Anwar Raslan, un ex colonnello siriano, per aver commesso crimini contro l'umanità in un carcere di Damasco dieci anni fa.

Immagine in anteprima: frame video voanews.com

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