Il mondo che ci aspetta oltre le piazze
5 min letturaTra paura e apatia da una parte, e mobilitazione dall’altra, è sempre preferibile quest’ultima. Viviamo davvero in una fase storica in cui avere una massa politica inerte o comunque dominata dalla paura è un obiettivo portato avanti da chi è al potere, o quanto meno desiderabile. Laddove è disintegrata la società civile, dove la passione politica è resa impraticabile al di fuori dei canali previsti da un governo centrale, là muore la pensabilità di una democrazia o di una società più giusta, e c'è da fare la valigia o mettersi in clandestinità.
Per cui, di fronte a una realtà in cui avvengono crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in cui si parla di pulizia etnica e genocidio ai più alti livelli degli organismi che ci siamo dati per regolare le controversie, con un caso aperto di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia, le manifestazioni di ieri sono qualcosa che non può essere squalificato sulla scia di episodi, per cui sono previsti strumenti specifici di intervento. Alle autorità italiane non mancano gli strumenti, anzi: negli ultimi anni è stato fatto notare che ne hanno fin troppi, con scarsi o nulli livelli di trasparenza.
Inoltre, gli episodi non possono diventare un pretesto per parlare d’altro. È un trucco che non funziona più, è l'evidenza di un giornalismo che non ha alcun interesse a svolgere la funzione che gli spetterebbe e che si delegittima da solo.
Quanto Israele sta facendo a Gaza e in Cisgiordania va fermato, e da questo punto di vista ogni giorno in cui si aspetta è qualcosa di cui la comunità internazionale dovrà rendere conto; se non a sé stessa, a chi verrà dopo. Fare pressioni sui governi perché agiscano al riguardo è davvero il minimo.
Se le piazze sono un contesto politico, bisogna allora leggerne i messaggi. Il numero non può essere un messaggio in sé: perché altrimenti le marce di suprematisti bianchi vanno bene o male in base a quanti partecipano. Il numero al limite deve far riflettere sul perché certi messaggi riescono a mobilitare rispetto ad altri. Il numero non è "senso comune"; fare del numero un alibi è un'operazione intellettualmente disonesta.
Ho letto di automobilisti che applaudivano ai blocchi stradali. Ma come? Avevo spesso letto in questi anni che i blocchi stradali sono una sciagura e non funzionano, quando si tratta di eco-attivismo. Oppure ho visto zero polemiche quando si trattava di proteste di agricoltori. Eppure la forma di protesta è la stessa e, soprattutto, le leggi che via via hanno reso i blocchi stradali un costo legale e penale più ingente sono le stesse. Vuol dire che il problema non è il blocco stradale in sé, il problema è che sull’emergenza climatica prevale disinteresse, apatia, negazionismo e scarsa solidarietà verso chi manifesta.
Messaggi, slogan, di ieri parlavano anche di “no al riarmo”, con un occhio quindi al fronte ucraino e alla minaccia che la Russia sta attivamente rappresentando per l'Europa. Così come le sigle sindacali parlano da anni di un appoggio attivo all’occupazione illegittima di territori ucraini, mentre urlano di liberare quelli palestinesi.
Ora, il principio di autodeterminazione dei popoli vale per tutti, o non vale per nessuno. La solidarietà selettiva è un settarismo su larga scala. A me per esempio non è mai sognato di negarlo ai russi; sostengo finché posso il diritto degli ucraini di difendersi. Eppure quelle stesse aree politiche dicono che se si prova a sostenere troppo il diritto degli ucraini a difendersi si sfocia nella “russofobia”. Eppure c’è chi è convinto che quella degli israeliani vada negata, e il loro Stato smantellato – senza che venga mai spiegato bene, esattamente, cosa dovrebbe seguirne, e come. Di diverso indirizzo era invece lo sciopero promosso da FIOM e FILT CGIL. Il problema era che non "bloccava il paese" o che ci si permetteva di chiedere la liberazione degli ostaggi e al contempo si appoggiava la società civile israeliana?
Così come, se penso al contesto palestinese, non capisco perché quegli attivisti torturati e costretti all’esilio da Hamas non abbiano voce, né l’abbiano quelli che cercano di costruire, nonostante tutto, un orizzonte di pace al di fuori della logica dello sterminio. Abbiamo applaudito Yuval Abraham Basel Adra a Berlino, quando hanno ricevuto il premio per No other land, li abbiamo difesi da insulti e minacce, dalla strumentalizzazione dell’accusa di antisemitismo. Ma il loro era un messaggio di riconoscimento reciproco, non di smantellamento o distruzione di un nemico.
Il messaggio è liberare la Palestina o liberarsi di Israele, delle istituzioni europee e dalla NATO, in una sorta di sogno collettivo rivoluzionario che usa la Palestina come simbolo? Il messaggio è il numero di persone in piazza, la mole fa argomento a sé?
Benissimo, quella mole cosa ha da dire ai giovani serbi, ai giovani georgiani, o ai moldavi, che lottano contro la corruzione, le interferenze russe, ai tentativi di presa del potere da parte di potenze straniere, mentre guardano a Bruxelles? Che non hanno capito chi è il vero nemico è Von der Leyen, che nemmeno ha un esercito proprio? Che Von der Leyen è “nazista”, come suggerito anche dalla propaganda del Cremlino pochi mesi fa? E ai dissidenti russi sparsi per l’Europa, e anche in Italia? Che non sono abbastanza per meritare la nostra attenzione?
Cosa ha da dire quella mole a polacchi o estoni, che hanno richiesto l’aiuto della NATO dopo che i loro cieli sono stati violati intenzionalmente dalla Russia, secondo una strategia per cui le intelligence di vari paesi stanno avvertendo da mesi, intanto che alcuni da sinistra facevano le battute sui carri armati a Lisbona? Cosa ha da dire a Trump e al suo delirante discorso appena pronunciato alle Nazioni Unite?
Suggerisco di leggere Hanna Perekhoda sulla differenza tra bisogno di difendersi e industria militare. E, in generale, ma so benissimo che non verrò ascoltato, ribadisco quanto già detto in altre occasioni: se vogliamo pensare a una sinistra socialista e internazionalista, dobbiamo ascoltare chi ha dovuto misurarsi con quei problemi che noi fingiamo non esistano, mentre sfiliamo in città che crediamo al riparo dalla bufera.
Altrimenti c’è solo da chiedersi cosa aspetta a dieci, venti, cento chilometri più in là della marcia che si percorre scandendo slogan che regalano un’ebbrezza collettiva liberatoria.
(Immagine anteprima: frame via YouTube)








Antonio Migheli
Per quale motivo invariabilmente tirate fuori la questione dell'Ucraina (di pari importanza, ma senza alcun carattere genocidario) quando di parla di Gaza? Possibile che non riusciate mai a evitare il corto circuito mentale del "sì, ma anche", ogni volta che viene toccato Israele?
Federico
"senza alcun carattere genocidiario"? Seriamente? Dopo Bucha, Bakhmut e tutto il resto siamo ancora a non cogliere la natura genocida della guerra imperialista russa in Ucraina (e Georgia). La lingua batte dove il dente duole: non è che dietro tanti discorsi e slogan altisonanti, alla fine della fiera il motore di molti è una molto più puerile avversione per gli USA e i loro alleati? Niente di vietato e illegittimo, per carità, ma almeno non spacciatecela per altro.
giancarlo
la guerra fra Russi e Ucraini che dura da 3 anni e 1/2 e che coinvolge una nazione da 40 milioni di abitanti (l'Ucraina) contro una da 120 milioni con un milione di soldati coinvolti ha avuto un totale di 10.000 civili morti (dati ufficiali ucraini) vs una "guerra" che coinvolge una popolazione di 2 milioni di abitanti (Gaza) vs Israele (10 milioni). Il numero di civili morti va da un minimo di 60.000 in sù (120.000 secondo Lancet, 200.000 secondo alcuni docenti israeliani). La noti la differenza fra una guerra feroce che ha episodi di crimini di guerra e un genocidio. Non è la stessa cosa
Federico
La natura e l'intento genocida dell'invasione russa dell'ucraina è accertata e acclarata nelle stesse parole di Putin che definisce l'Ucraina "un errore". L'argomentazione dei "troppo pochi morti" è usata anche da Israele per non ammettere il suo genocidio. Strepiti e indignazioni per quanto accade a Gaza e Cisgiordania, poi per il "compagno che sbaglia" Vladimiro ci sono le attenuanti. Letteralmente il punto, centrato in pieno, dell'ottimo pezzo qui sopra.
Matteo Pascoletti
grazie!
Matteo Pascoletti
Prenderò sul serio discorsi come i tuoi, Giancarlo, discorsi che sento dal 2022 almeno, quando si avrà il coraggio di fare questi numeretti davanti a una platea di ucraini. Perché la premessa di certi discorsi, prima di tutto, è avere un grado zero di empatia. Il fatto che usi poi i morti di Gaza per negare dignità a quelli di altri conflitti è la ciliegina sulla torta. Hai sbagliato articolo, hai sbagliato sito, hai sbagliato sistema di valori. A parte ciò, oltre a essere un discorso schifoso, è fattualmente inesatto e intellettualmente disonesto, anche perché la Russia non è che dia dati esatti sui morti nei territori occupati, e quello che abbiamo sono perlopiù stime. Mi sa che non hai idea di cosa fosse Mariupol prima e dopo l'assedio, o come si vive nei territori occupati. Ma oltre a ciò, c'è un dato che la gente come te, così solerte nel disumanizzare gli ucraini dimentica: ossia i minori rapiti e "russificati", che ammontano, secondo le stime, da decine di migliaia a centinaia di migliaia. E il "trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro" è uno dei criteri individuati dalla convezione sul genocidio. Chissà perché la stessa Russia ammette di averli (terzo link sotto), mentre in Italia è pieno di fini ingegni che tralasciano questo dato totalmente: Le autorità russe dichiarano di aver “accolto” oltre 700 mila bambini ucraini da quando è iniziata l’invasione su larga scala del paese. https://www.valigiablu.it/bambini-ucraini-deportazione-russia-guerra/ https://www.valigiablu.it/bambini-ucraini-rapiti-russia-storie/ https://www.valigiablu.it/osce-deportazione-bambini-ucraina-russia/ Per cui, se vuoi rifilare la patente di genocidio alle guerre, quanto meno vieni preparato, grazie, così ti risparmi le figuracce. Se invece vuoi dare numeri manipolati o mancare di rispetto alle vittime di un conflitto, o darci versione creative del diritto internazionale, non c'è bisogno che ti disturbi a rispondere.
Daniele
Nel genocidio di Srebrenica (riconosciuto legalmente da una sentenza della corte internazionale e non solo) ci furono circa 8.000 vittime.
Matteo Pascoletti
Ciao, che non abbia carattere genocidario lo dici tu, come ho riportato sopra la Russia ha deportato e sta russificando dalle decine di migliaia alle forse centinaia di migliaia di minori ucraini. Una pagina di quella guerra che stranamente in Italia si ignora. A Israele e a Gaza abbiamo dedicato molteplici articoli, quindi non è vero che si ricorre al "ma anche...". In realtà accade più spesso il contrario, ossia che nei commenti di articoli in cui parliamo di Ucraina scatti il "e allora Gaza?". Nel caso specifico, la causa scatenante è che la guerra in Ucraina (e la minaccia costituita) è entrata a far parte in quelle stesse piazze, nel momento in cui si scandiscono slogan contro la difesa e contro quegli organismi chiamati a tutelare quel paese e l'UE. Non abbiamo quindi scelto noi di usare la solidarietà verso la Palestina per far passare messaggi contro l'Ucraina, contro la NATO e contro l'UE, magari sventolando bandiere a tema come capitato altre volte in passato. Nessuno ha obbligato l'USB e altre sigle a schierarsi in favore di "autoproclamate repubbliche" che sono in realtà territori ucraini occupati, per il resto, ai fini di quello stesso diritto internazionale che si invoca quando si parla di genocidio.
Jack
A me non sembra di scorgere in questo articolo il “corto circuito mentale” di cui parla Antonio Migheli: le vicende ucraina e mediorientale sono strettamente collegate in quanto rappresentano, con le modalità specifiche di due contesti diversi, due esempi della crisi globale della democrazia che investe per altri versi anche Europa e Stati Uniti. La democrazia è sotto attacco in tutte le aree del suo insediamento storico, sicché non c’è ragione di scindere i vari scacchieri e settorializzare la protesta (come purtroppo invece accade, con sofisticati o spudorati esercizi di ipocrisia): a me sembra impossibile protestare contro l’operato di Netanyahu trovando allo stesso tempo giustificazioni più o meno subdole a quello di Putin o viceversa. L’incoerenza delle forze politiche, e spesso dei rispettivi elettorati, maschera il fatto che i conflitti attuali obbediscono ad una logica molto lineare: da un lato ci sono forze che mirano a distruggere la democrazia liberale, attaccandola dall’esterno ed erodendola dall’interno, dall’altro c’è chi ad essa non vuole rinunciare e si ritrova preso in mezzo a due fuochi; la posta di questo conflitto non è solo una gigantesca ridistribuzione del potere globale ma la sopravvivenza della democrazia liberale nel XXI secolo, poiché revisionismo geopolitico internazionale e revisionismo politico interno hanno lo stesso nemico, la democrazia liberale uscita vittoriosa dalla guerra fredda. Ciò che ci manca, purtroppo, sono soggetti politici dotati di credibilità e onestà sufficienti per organizzarsi e dividersi senza ambiguità attorno a questo asse strutturante del mondo odierno (fallendo così, per inciso, l’esercizio di leadership cui sarebbero teoricamente deputati): di qui le incoerenze e le contraddizioni rilevate nell’articolo, giustamente critico verso questo sofistico benaltrismo (“sì, ma allora...”) regolarmente dimentico che un male comune non è un mezzo gaudio ma un male doppio. Un’osservazione sulla questione del genocidio: non sono i numeri a decidere se un eccidio di massa sia qualificabile o meno come genocidio ma il criterio dell’intenzionalità eliminazionista, che a me pare innegabile sia nel caso ucraino che in quello palestinese date le inequivocabili dichiarazioni dei massimi esponenti dei governi russo e israeliano. Le carestie indotte dalla politica maoista, ad esempio, hanno provocato decine di milioni di morti eppure non mi risulta che questo crimine, forse il maggiore del XX secolo per grandezza di numeri, sia mai stato qualificato come genocidio, appunto perché manca la dichiarata intenzione di eliminare un determinato gruppo o parte di esso: a meno che non si debba, come pure è stato proposto, rivedere la Convenzione del 1948 aggiornando i criteri di identificazione del gruppo vittima di genocidio, aggiungendo a quelli presenti nell’art. 2 anche un criterio politico (ciò che permetterebbe, ad esempio, di includere senza incertezze anche l’Holodomor fra i genocidi del XX secolo).
Federico
Pensa che succederebbe se questi tifosi (perché la dinamica è chiara, siamo alle dinamiche del tifo da stadio) realizzassero che Vladimiro e "Bibi" sono personalmente amici e anche molto impegnanti a pararsi le terga vicendevolmente ad ogni occasione (anche il funzione antiturca, come richiedeva il teatro siriano)...
Federico
"Altrimenti c’è solo da chiedersi cosa aspetta a dieci, venti, cento chilometri più in là della marcia che si percorre scandendo slogan che regalano un’ebbrezza collettiva liberatoria." Credo che l'"ebbrezza collettiva liberatoria" sia, purtroppo, la cifra del movimentismo da 24 anni: manifestare non realmente per affermare un principio, come quello dell'autodeterminazione dei popoli, ma per esercitare un rituale che, alla fine della fiera, è un esercizio di vuoto autoreferenzialismo nell'illusione dell'espiazione delle proprie piccole medie e grandi meschinità. Mancano visione, idee, progettualità, serietà e credibilità, soprattutto quando poi, a bocce ferme, si pratica il giustificazionismo nei confronti di criminali sanguinari "perché sono contro gli USA" e, più in piccolo, si guarda con malcelata benevolenza alle "teste calde" che si parano il fondoschiena con la piazza per sfogare i propri bassi istinti e (ancora peggio!) a un inqualificabile che fa il verso al 7 ottobre scimmiottandone i deltaplani. C'è poco da aggiungere: le botte di Stato contro l'esperimento trasversale del Genova Social Forum si rivelano ancora oggi uno straordinario successo strategico targato Berlusconi-Fini. Con avversari come questi, la destra dorme tranquilla e beata tra mille guanciali.
Roberto Simone
In questi 24 anni di movimenti ce ne sono stati tanti. Uno è diventato persino un partito. Difficile fare un discorso generale. In ogni caso mi sembra francamente ingenuo aspettarsi dalle piazze coerenza, serietà e credibilità. Nelle piazze ci troverà sempre di tutto: da chi "gli USA sono il male assoluto" a chi "Hitler non ha finito il lavoro" a chi protesta per puro opportunismo (è più facile scoprirsi pacifista davanti ad una cartolina di precetto). Ma ci troverà anche chi scende in piazza accettando il rischio di sfilare accanto a costoro perché l'alternativa "responsabile" - la parola più amata dai governi irresponsabili e anche ieri la Meloni non ha fatto eccezione - nel migliore dei casi assomiglia tanto al niente assoluto da fargli venire il voltastomaco e nel peggiore ha il sapore della complicità. Credibilità, serietà, coerenza, visione, progettualità, idee me li aspetto dalla politica, non dalla piazza che nel migliore dei casi può solo fungere da stimolo alla politica. E allora a me più dell'incoerenza delle piazze scandalizza la mancanza di visione della politica. E chi gli fa pure la standing ovation.
Matteo Pascoletti
Ciao, scusa ma le manifestazioni hanno una piattaforma ben precisa, in particolare se sono scioperi, e da lì poi si capisce se c'è qualcosa che devia un attimino. Ora, io non so che manifestazioni o scioperi hai frequentato tu; in quelli dove sono andato io non si è mai inneggiato a Hitler né fatto saluti fascisti - anche perché la presenza di fascisti o anche troll di questo tipo pone un potenziale problema di sicurezza. Quindi rimarrei sulle cose pratiche, reali, legate alle persone e a come si organizzano. Detto ciò: l'articolo si riferisce a messaggi specifici reiterati nel tempo da parte di una certa area politica e delle sigle che la compongono, non di 2-3 slogan buttati nel mucchio. La "piazza" ha quindi alla base chi l'organizza, e chi l'organizza risponde delle sue decisioni. Altrimenti, ripeto: il numero è un alibi, e non intendo fornirlo a nessuno, specie quando si parla di questioni così delicate.
Roberto Simone
Grazie per avermi rispiegato il senso del suo articolo. Ma il mio non era un commento all'articolo, stavo solo rispondendo ad un commento di Federico. In ogni caso felice per lei che nelle manifestazioni che frequenta trova sempre e solo persone che aderiscono strettamente alla piattaforma degli organizzatori. Felice per lei che non ha mai sentito qualcuno che si definisce convintamente di sinistra dire le frasi che ho riportato. Quanto alle manifestazioni che frequento io, la sua è una provocazione talmente gratuita che se qualifica qualcuno qualifica chi l'ha formulata.
Matteo Pascoletti
Ciao, ma perché questa acredine? Mi sembra sia un argomento serio, non vedo davvero il senso di affrontare temi come la guerra o le minacce di guerra ibrida così, onestamente. Ti risponderei anche volentieri, altrimenti, figurati.
Roberto Simone
@ MatteoPascoletti La frase "Ora, io non so che manifestazioni o scioperi hai frequentato tu etc." è, per usare un eufemismo infelice. A dirla come va detta mi ha fatto proprio incazzare. Sottindente neanche tanto velatamente che io abbia una qualche simpatia per fascisti e affini. Avrei preferito che m'avessi dato dello stronzo.
Matteo Pascoletti
Ciao, trovo surreale prima di tutto che tu abbia voluto riprendermi per il fatto che sono intervenuto in una discussione pubblica inerente al mio articolo. Se la frase ti ha dato fastidio mi spiace, ma non era certo quella la mia intenzione. Voleva semplicemente replicare a quanto hai scritto: Nelle piazze ci troverà sempre di tutto: da chi "gli USA sono il male assoluto" a chi "Hitler non ha finito il lavoro" a chi protesta per puro opportunismo (è più facile scoprirsi pacifista davanti ad una cartolina di precetto). Immagino fosse un discorso in astratto, ed era un discorso in astratto che però hai usato per occultare un problema politico a margine di slogan (ciò che si dice durante la manifestazione) e piattaforme (ossia i contenuti politici diffusi nell'organizzare la manifestazione e con cui si chiede di aderire) problematiche, che sono vere ed effettive, e reiterate nel tempo; non certo episodiche, né voci dal sen fuggite. E mi permetto di dire oggettivamente problematiche, perché nessuno si è ancora sognato di dire che c'azzecca uscire dalla NATO nel contesto attuale, che c'azzecca rinunciare a politiche di difesa, e come tutto ciò gioverebbe all'autodeterminazione del popolo palestinese. Da qui la mia ironia, volta a evidenziare l'assurdità di certi astrattismi, misti a riduzionismi, e un richiamo a come nella pratica - nella realtà materiale e organizzativa - funzionano le manifestazioni. Perché, onestamente, i discorsi in astratto in casi del genere non mi interessano. Quindi mi va bene tutto, però non facciamo finta che i messaggi anti-ucraini, anti-NATO e anti-UE siano una roba di 4 gatti o esagitati; c'è uno storico di posizioni al riguardo da parte di certe sigle, e non ho intenzione di fare finta che sia altrimenti, o di avvalorare tentativi in tal senso.
Roberto Simone
Ma dov'è che ho occultato la problematicità di certe posizioni? Ho forse detto che siccome in piazza si può trovare la qualunque allora i partiti, i sindacati e le associazioni che l'hanno convocata sono sollevati dalla responsabilità di essere coerenti? E dove ho fatto finta che "i messaggi anti-ucraini, anti-NATO e anti-UE siano una roba di 4 gatti o esagitati"? Mi pare di aver solo sostenuto che "a me più dell'incoerenza delle piazze scandalizza la mancanza di visione della politica" (dove "politica" evidentemente si traduce come partiti in primis, ma anche come sindacati e associazioni), e che "mi sembra francamente ingenuo aspettarsi dalle piazze coerenza, serietà e credibilità" perché chi vi partecipa lo fa anche sulla base dell'indignazione nata da una notizia o dall'ignavia del proprio governo "responsabile", dell'emozione dettata da un'immagine o da uno slogan e anche del proprio opportunismo. Ragion per cui ho scritto che "seguire le piazze [...] non può portare a nulla di buono." È un discorso astratto? A me sembra solo disincantato.
Matteo Pascoletti
Ciao, Capito, grazie per il chiarimento. Quella che tu chiami incoerenza per me in realtà ha in sé una coerenza, che è quella cosiddetta "campista". Ed ecco perché per me è fondamentale porre il problema, altrimenti ogni forma di solidarietà e pressione politica in favore dell'autodeterminazione palestinese viene di fatto arruolata in un disegno più ampio ed eterogeneo, con messaggi specifici e radicati che grazie all'empatia per l'oppresso passano più facilmente.
Federico
... e infatti quello che ci ha fatto un partito di danni ne ha fatti parecchi, su tutti i fronti, riuscendo tuttavia nell'incredibile capriola di passare dal fronte sovranista allo scimmiottamento di Berlinguer nell'arco di un Ferragosto tra scroscianti applausi. Capisco che, in tempi di carestia estrema, "piuttosto che niente, meglio piuttosto", d'altronde la situazione è sotto gli occhi di tutti, ma davvero ci accontentiamo di così poco? Di qualche slogan buttato lì, anche un po' a caso, dell'ammucchiatona con chi poi nel quotidiano reputiamo un bifolco impresentabile, delle idee superficiali riflessi in principi affermati a targhe alterne, in questo caso con una base di una evidente mera partigianeria geopolitica pro/contro USA, declinata su modello tifo da stadio da derby? Dato che fare attivismo e movimentismo È fare politica (dovrebbe essere la famigerata "base" di un progetto politico), se non c'è almeno l'attivismo a metterci credibilità, serietà, principi obiettivi e, cosa forse più importante di tutte, COERENZA, scusa la brutalità, ma a che serve? Diventa davvero, citando il pezzo, la "marcia che si percorre scandendo slogan che regalano un’ebbrezza collettiva liberatoria": tradotto, una roba per dire "ok, il mio l'ho fatto, a posto". Chiedo scusa se sono io ad essere troppo squadrato mentalmente, ma l'attivismo dovrebbe avere obiettivi di cambiamento reale, non essere finalizzato ad essere una mera sorta di lavatrice per coscienze che si sentono sporche del peccato originale di essere cittadini "occidentali". La dinamica del "piuttosto che niente, meglio piuttosto" è esattamente quella di cui si fa forza questo tipo di attivismo, da 24 anni a oggi, perdona nuovamente la brutalità, senz'arte né parte, che, infatti, quando si tirano le somme, ci si accorge avere un impatto bassissimo (per non dire nullo o addirittura negativo, pensa alle proteste per il cambiamento climatico) sui problemi che dice di voler affrontare: non potrebbe essere altrimenti vista l'oggettiva debolezza, spesso in primis culturale e intellettuale, per non parlare di metodologie (nella migliore delle ipotesi ancorate a rituali anni 70) della proposta.
Roberto Simone
C'è differenza fra attivisti e manifestanti: i primi organizzano le manifestazioni i secondi partecipano solamente. E si partecipa per tante ragioni, a volte anche perché "piuttosto è meglio di niente". Ha senso aspettarsi coerenza dagli attivisti ma non dalle piazze. Tanto più quando sono molto partecipate, perché tanto più lo sono tanto più sono "eterogenee". Personalmente credo che seguire le piazze - come è successo negli ultimi 20 anni - sia il sintomo più evidente della debolezza della politica e non può portare a nulla di buono.
Federico
Io continuo a trovare assurdo che qualcuno apprezzi manifestare con persone che dimostrano di non condividere proprio i fondamenti culturali su cui dovrebbe poggiare un movimento. Mi viene il dubbio che, gratta gratta, questi fondamenti non siano poi così definiti, col risultato di un minestrone che difficilmente porterà da qualche parte.
Roberto Simone
Per esempio io oggi 3 ottobre sto aderendo allo sciopero generale indetto da CGIL e sindacati di base. Non ho la tessera né dell'una né degli altri e ho certo posizioni diverse su una serie di questioni (Europa, Ucraina e via di seguito). Tuttavia sciopero con loro. Semplicemente perché non sopporto un presidente del consiglio che irride chi ha il coraggio di fare quello che lei non fa e riduce lo sciopero ad "un weekend lungo" fingendo di dimenticare che chi sciopera lo fa a sue spese rinunciando ad una giornata di lavoro - che in un paese con salari così bassi anche grazie alle sue (non-)politiche è un sacrificio notevole; un ministro degli Esteri a cui paragone Don Abbondio è un cuor di leone che dice che "il diritto internazionale è importante, ma solo fino ad un certo punto"; un ministro della difesa che "ringrazia" uno stago genocidario per essersi limitato ad arrestare in acque internazionali dei cittadini italiani. E non sopporto l'ignavia e la codardia dimostrata dall'Europa tutta, pronta a chinarsi ai dicktat di un alleato che si comporta come un nemico. Non è tutto bianco o tutto nero e sono ben consapevole che ogni volta che faccio una scelta incorenza e contraddizioni sono dietro l'angolo. Può darsi che sia assurdo. E certo non sarà con uno sciopero che porteremo la pace a Gaza, difenderemo l'Ucraina o ridaremo dignità al sogno Europeo. Ma come ho cercato di dire nei commenti precedenti è anche ingenuo aspettarselo. In piazza si protesta. La proposta è compito della Politica.
Matteo Pascoletti
Certo che non è tutto bianco e nero, sarebbe ingenuo pensarlo, né mi interessa ridurre la questione a una sovraresponsabilizzazione del singolo, o a fare la tara all'altrui coscienza. Ci mancherebbe. Ho infatti posto la questione delle posizioni specifiche di chi ha organizzato uno sciopero specifico, e la piattaforma specifica di quelle organizzazioni, che ha una coerenza e una continuità nel tempo. Perché, e qui sono in disaccordo con te, anche i sindacati hanno una proposta - cioè i sindacati fanno proposte, poi ovviamente la differenza è che non sono affiliati a partiti politici, e portano avanti quelle proposte con strumenti diversi (esempio con gli scioperi, per l'appunto, e mai leggerai una mia riga contro il diritto allo sciopero). E se la proposta politica chiede di mettere insieme liberazione della Palestina con uscita della NATO o con la sostanziale rinuncia alla difesa da una minaccia presente (a partire dalla Russia) e al sostegno di popoli aggrediti, proprio perché è una proposta politica io pongo la questione. Altrimenti si sconfina nella logica settaria (o con noi o contro di noi), e chi organizza finisce persino per strumentalizzare sentimenti e valori morali di per sé condivisibili. Anche perché mi pare che così si faccia poi in qualche modo finta che non esistano persone originarie dell'est-Europa in Italia (ucraini e non solo), e che non facciano anche loro parte della classe lavoratrice.
Roberto Simone
"Perché, e qui sono in disaccordo con te, anche i sindacati hanno una proposta - cioè i sindacati fanno proposte". Vorrei tanto sapere dove ho scritto il contrario. Avevo anche specificato rispondendo proprio a te in un altro commento che "politica evidentemente si traduce come partiti in primis, ma anche come sindacati e associazioni". Né sono tanto cieco da non rendermi conto che c'è il rischio che "chi organizza finisce persino per strumentalizzare sentimenti e valori morali". Dopodiché accetto il rischio e scelgo di scioperare lo stesso perché so anche che restando a casa avrei non il rischio ma la certezza di essere strumentalizzato da chi risponde allo sciopero con la minaccia o con lo sberleffo. Perché è del tutto evidente che quando il primo ministro derubrica tutto - compresa un'azione civile e non violenta a cui partecipano persone di 44 nazionalità differenti - ad un tentativo di mettere in difficoltà il governo, siamo già " nella logica settaria (o con noi o contro di noi)". È la mia scelta e tu sei più che libero di non condividerla e di criticarla. Ti prego solo di farlo senza mettermi in bocca parole che non ho mai detto o pensieri che non ho mai avuto.H
Matteo Pascoletti
"In piazza si protesta. La proposta è compito della Politica." In Piazza, quando c'è uno sciopero non si porta solo una protesta, ma si porta anche una proposta, e attraverso gli slogan si sostiene una certa visione di mondo e quella delle sigle che lo organizzano. Ecco perché, per esempio, né io né te aderiremmo mai a una protesta indetta da un'organizzazione di estrema destra con una piattaforma specifica, perché nella protesta porteremmo dei numeri a una specifica proposta politica strutturale, che verrebbero usati per dare forza a quella piattaforma. Non vedo quindi perché, sul versante opposto, certe sigle debbano usare il doveroso senso di solidarietà verso il popolo palestinese per portare acqua al mulino di un'agenda politica anti-NATO e anti-UE, e come questo debba aiutare la causa palestinese, e soprattutto perché il sostegno a territori occupati nel Donbas sia di sinistra. Questo è un problema strutturale che abbiamo a sinistra oggi, non un fatto di slogan. Per il resto ovviamente rispondo dell'articolo, non di quanto ha detto da Meloni tot giorni dopo l'articolo (dichiarazioni che a scanso di equivoci trovo vergognose, purtroppo sono in linea con la sua strategia comunicativa e politica, non da oggi).
Roberto Simone
Non mi pare di averti chiesto di rispondere delle dichiarazioni di Meloni o di altri, cercavo solo di spiegare le mie ragioni. Ovviamente se partecipo ad una manifestazione è perché avverto un "sentire comune" che però non necessariamente si traduce in una proposta comune (e a sinistra siamo maestri in questo). Dopodiché mi fermo qui, perché potrei solo ripetermi.
Lidia
Scusate il mio contributo sarà breve, ho partecipato alle manifestazioni contro l'invasione dell'Ucraina, e alle manifesrazioni per Gaza, sia della CGIL che dei sindacati di base, per manifestsre il mio dissenso alla violazione dei diritti umani e chiedere al Governo e all'Europa di attivarsi diplomaticamente al fine che i diritti umani vengano ripettati.
Andrea
Mi dispiace dirlo, ma la linea di valigia blu su Gaza, e in particolare dei suoi principali collaboratori, è quantomeno problematica. E questo articolo lo sottolinea una volta di più. Ora, di fronte all'ipocrisia di certe realtà, i “trigger” e la necessità di sfogarli è qualcosa di assolutamente comprensibile: non vengono dal nulla e tutto questo è umanissimo. Però, se il risultato sono posizioni come quelle espresse in questo articolo, è chiaro che c'è qualcosa che non va. È in corso un genocidio che è il culmine delle politiche di occupazione israeliane e che produce risposte enormi da parte delle società civili. Invece di tenere il punto su questo, che è il baricentro del discorso, si preferisce letteralmente fissare il dito per non guardare la luna. Il fatto che chi abbia chiamato lo sciopero del 22 settembre siano realtà attraversate da profonde contraddizioni (anche gravi) non dovrebbe sminuire il portato di quanto sta succedendo. Abbiamo piazze in quasi 80 città italiane che hanno richiamato centinaia di migliaia di persone di età ed estrazioni molto diverse che semplicemente non accettano quanto sta accadendo in Palestina e che offrono sostegno all'iniziativa della Global sumud flottilla. Un’iniziativa che, insieme alle stesse manifestazioni, sta CONCRETAMENTE contribuendo a mettere in luce la barbarie israeliana e, soprattutto, a fare sì che vengano intraprese azioni per interrompere un genocidio, a partire dai governi. Ma invece di dire questo e di conseguenza sottolineare come in questo momento, proprio di fronte a un genocidio, queste piazze siano il posto dove stare (indipendente, ribadisco, dal carattere di chi le ha chiamate) si preferisce limitarsi alla denuncia dei soggetti promotori. Il risultato è che quanto detto sopra non esiste e, cosa di certo non meno grave, la questione palestinese finisce per essere minimizzata e usata in maniera pretestuosa, e nel caso di questo articolo presentata addirittura in modo distorto, dimostrando evidentemente di non capire di cosa si parla e/o di non concederle un credito sufficiente. In conclusione, se qualcosa non torna (o semplicemente non piace) forse è il caso di provare a cambiarla stando dentro i processi politici, e non forzare la realtà per dimostrare che tutto il processo politico è compromesso, in nome di un’unicità che non è scontato che i movimenti di massa possano avere, dal momento che ci saranno sempre le contraddizioni, i problematici etc. Ma stare in queste piazze è il modo per DETERMINARE qualcosa, sono momenti di democrazia vera. Anche perché, detto terra terra, ci sta SIA l'Ucraina SIA la Palestina. Proprio perché sono cose che non si escludono (e non si devono escludere) a vicenda non ha senso (ed è pure "suicida") contribuire a creare divisioni con discorsi come quelli presentati in questo articolo, quando servirebbe esattamente il contrario, ovvero cogliere le occasioni che si stanno presentando (Global sumud flottilla, sciopero generale etc.) per costruire qualcosa.
Matteo Pascoletti
Ciao, puoi dire direttamente a me, visto che sono l'autore dell'articolo, perché altrimenti con "la linea di Valigia Blu su Gaza, e in particolare dei suoi principali collaboratori" non si capisce bene a cosa ti riferisci nello specifico. Come linea, Valigia Blu ha pubblicato nel novembre 2023 questo, in ogni caso: https://www.valigiablu.it/israele-guerra-hamas-punizione-collettiva/ Rispondo naturalmente volentieri di critiche e osservazioni, nel pubblicare un articolo del genere è qualcosa che si mette in conto. Perciò prima di tutto vorrei rassicurare sul fatto che ogni parola dell'articolo è meditata e pensata, e assolutamente intenzionale. E passa prima per un processo editoriale, non è che uno dà sfogo ai "trigger", per capirsi. Lo specifico a beneficio di chi legge lo scambio, perché altrimenti pensare che questo sia un sito "di pancia" non restituirebbe il lavoro che c'è dietro. Detto ciò, tanto nell'articolo da cui parto parlando della Flottilla, quanto in questo ho evidenziato prima di tutto l'importanza di fermare i massacri in corso a Gaza e le violenze in Cisgiordania, che sono ormai da tempo un evidente piano di pulizia etnica in corso. Questo a dimostrazione del fatto che sono partito dalla Luna, e non dal dito. Ho espressamente detto che serve un movimento di resistenza civile di massa. Il punto è: per resistere a cosa e su che presupposti? https://www.valigiablu.it/global-sumud-flotilla-israele-palestina/ Ciò detto ribadisco un concetto basilare. Non possiamo ignorare le minacce che l'Unione Europea e quindi l'Italia si troverà ad affrontare: l'Ucraina questo ce lo ha insegnato, non possono essere affrontate con le manifestazioni e gli scioperi. Non mettere in conto la questione della difesa, una necessità che è stra-documentata e che oggi vede persino i cieli di paesi NATO sorvolati da aerei o droni russi, significa ignorare la possibilità stessa della sopravvivenza delle nostre istituzioni. Pensare che ignorare ciò agevolerà una qualche rivoluzione è roba da Terzo Periodo (cioè da 1928). Infine, questo tipo di critiche su certe realtà e sulla linea politica adottata vengono da lontano. Dire "siccome c'è un genocidio va tutto messo da parte" è un alibi. I minori ucraini deportati e "russificati" a decine di migliaia rientrano nei criteri con cui la convenzione del 1948 definisce il crimine di genocidio. Questi però non solo non hanno importanza nel dibattito e nelle iniziative politiche (oh, quanti documentari di propagandisti russi sono proiettati in Italia!), ma sono cancellati in nome di un ideologico e francamente imbarazzante sostegno alle autoproclamate repubbliche del Donbas, e quindi ai piani di Putin. Quindi da una parte si pone una questione oggettiva morale imprescindibile di genocidio che va fermato, a sentire le tue parole. Dall'altra si sminuisce, nega, si fa finta di nulla di fronte ad altri contesti genocidi che tra l'altro chiamano in causa direttamente questioni di sicurezza europea e nazionale; anzi sotto sotto si arriva persino a sostenere attivamente l'aggressore, oppure si tira acqua al suo mulino attaccandone gli organismi che potrebbero arginarlo. E quindi, in sintesi, per riprendere la metafora ci sono due lune, e se non ci occupiamo di entrambe rischiamo che una delle due ci cada in testa; a me che uno venga a dire "ma no, la seconda se cade va bene, guarda quanta gente manifesta sotto alla prima" pare una assurdità. Tutto qua.