I bambini ucraini rubati, deportati e sottoposti a russificazione
11 min lettura“I bambini non sono solo il presente, ma anche il futuro per cui l’Ucraina sta combattendo”: queste le parole pronunciate nel febbraio 2024 da Oleksandra Romancova, attivista ucraina per i diritti umani e direttore esecutivo del Centro per le libertà civili, organizzazione vincitrice del Nobel per la pace nel 2022, e che risuonano oggi più forti che mai.
Con lo scoppio dell’invasione su larga scala, infatti, ha preso piede un vero e proprio progetto genocidario da parte della Russia nei confronti dell’Ucraina. Oggi, oltre ai massicci bombardamenti costanti sui civili (intensificatisi di recente), lo Stato russo sta cercando di aumentare le risorse a disposizione per organizzare non solo la distruzione dei territori, ma anche degli ucraini stessi. In questo contesto rientra il progetto di cancellazione dell’identità ucraina che prevede il rapimento e la deportazione di minori ucraini verso le regioni della Federazione Russa e dei territori sotto occupazione, così da forzarne la russificazione, l’indottrinamento e la cosiddetta “passaportificazione” (ovvero l’ottenimento del passaporto russo).
Come riportato più volte anche da Valigia Blu, queste pratiche di deportazione forzata di bambini e minori ucraini sono state riconosciute come una violazione dei diritti umani dalle Nazioni Unite. Non si tratta, infatti, di episodi isolati né di un’opera di salvataggio, bensì è tutto parte di una strategia sistematica che viene impiegata all’interno della cosiddetta “operazione militare speciale” russa in Ucraina voluta da Vladimir Putin e con il coinvolgimento del regime bielorusso di Aljaksandr Lukašenka.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Bambini che diventano numeri nei colloqui di pace
Il tema della deportazione di minori è riemerso – cogliendo Mosca di sorpresa – nei colloqui di pace tra la delegazione russa e quella ucraina tenutisi a Istanbul lo scorso 2 giugno. In quella cornice, Kyiv ha consegnato a Mosca una lista di 339 bambini ucraini deportati con la forza, chiedendone al Cremlino il rimpatrio immediato.
Il capo della delegazione russa Vladimir Medinskij ha subito accusato l’Ucraina di “inscenare un teatrino per strappare una lacrima agli europei di buon cuore”, sottolineando che la lista contiene solo 339 nomi e “non milioni o migliaia” e affermando che “non ci sono bambini rapiti, ci sono solo bambini salvati dai nostri soldati”.
Secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite e forniti da Dariia Zarivna, responsabile del gruppo di lavoro internazionale “Bring Kids Back UA” e dei processi di scambio dei prigionieri di guerra, si stima che finora siano stati deportati oltre 19.545 minori ucraini verso i territori della Federazione Russa e dei territori attualmente occupati, probabilmente inseriti in famiglie adottive e indottrinati dalle autorità russe. Altri 2.245 sarebbero considerati dispersi. Si tratta, tuttavia, di casi specifici, sui quali esistono informazioni sufficienti e accertate; parrebbe quindi che in realtà le cifre siano molto più alte (già nel 2022 si parlava di oltre 232.000).
Ad oggi, solo 1.350 minori sono stati rimpatriati, e ogni rimpatrio è stato mediato da uno Stato terzo, in particolare da Qatar, Sudafrica e Vaticano, che hanno svolto un ruolo cruciale in queste operazioni.
La violazione dei diritti umani e la Convenzione sul genocidio
“Nella presente Convenzione, per genocidio si intende uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale. […] (e) trasferimento forzato di bambini del gruppo a un altro gruppo.” – Convenzione sul genocidio, art. 2, sezione (e).
Secondo l’articolo II della Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, il trasferimento forzato di bambini da un gruppo nazionale a un altro potrebbe essere considerato come una delle forme di genocidio. Su questa base legale si fonda parte dell’accusa mossa dalla Corte penale internazionale (CPI), che nel marzo 2023 ha emesso un mandato d’arresto contro Vladimir Putin e Marija L’vova-Belova, commissaria russa per i diritti dell’infanzia, per il presunto ruolo nel trasferimento illegale di minori dai territori ucraini occupati alla Russia.
Secondo il procuratore della CPI Karim Khan, questi trasferimenti potrebbero essere interpretati come una violazione del diritto internazionale umanitario e come una possibile strategia deliberata di assimilazione culturale e cancellazione dell’identità nazionale ucraina, con implicazioni gravi ai sensi della Convenzione sul genocidio. Organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International hanno espresso la necessità di ulteriori indagini per determinare se vi sia o meno un “intento distruttivo” che potrebbe qualificare tali atti come genocidio a tutto tondo.
“Rapire in massa dei bambini e cercare di assimilarli a una cultura straniera è un genocidio, secondo l’articolo 2 sezione E della Convenzione sul genocidio del 1948”, scriveva lo storico e saggista Timothy Snyder su X nel giugno 2022. Concetto ribadito il mese precedente anche da Andrij Jermak, a capo dell’Ufficio del Presidente dell’Ucraina, nel discorso d’apertura sui crimini di guerra russi nell’ambito del World Economic Forum di Davos.
Nell’aprile 2023, anche l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha riconosciuto che i trasferimenti forzati di bambini costituissero un atto di genocidio con 87 voti favorevoli alla risoluzione, 1 contrario e 1 astenuto.
Bambini scomparsi: numeri incerti, identità spezzate
Il commissario per i diritti umani del parlamento ucraino, Dmytro Lubinec, ha definito queste deportazioni “un crimine sistematico e pianificato che mira a cancellare l’identità ucraina” e ha sottolineato che, se si riuscisse a riportare a casa un solo bambino al giorno, servirebbero più di 50 anni per rimpatriarli tutti. Ha inoltre denunciato l’opacità totale dei canali di trasferimento: una delle maggiori difficoltà, secondo anche ONG come “Save Ukraine” e “Truth Hounds”, è la localizzazione dei minori, spesso portati in istituti russi o affidati a famiglie adottive sotto nuova identità e passaporto. “Molti bambini non ricordano nemmeno il proprio cognome ucraino”, ha dichiarato un operatore umanitario.
I racconti di chi è tornato sono spesso segnati da shock culturale e confusione: parlano solo russo, ricordano di essere stati “salvati” da un’Ucraina in guerra e mostrano diffidenza verso le famiglie biologiche. Illia, un ragazzino di 11 anni deportato da Mariupol’ e rintracciato solo grazie a un video di propaganda, riuscito a tornare in Ucraina dopo mesi trascorsi in un collegio russo vicino a Brjansk, ha confessato: “Mi dicevano che l’Ucraina non esiste più. Non capivo più perché volessi tornare”. (Qui le storie personali di alcuni bambini raccolte da “Bring Kids Back UA”)
Secondo gli psicologi coinvolti nella reintegrazione di questi minori, il danno più profondo è spesso invisibile: non si tratta solo di un trauma da guerra, ma di una vera riscrittura forzata dell’identità di un individuo.
La cittadinanza e il nome di questi bambini sono stati talvolta cambiati dalle autorità russe. Alcuni minori sono stati adottati illegalmente. Molti sono irrintracciabili e non hanno più alcun contatto con la loro famiglia. Tutti sono stati sottoposti a qualche forma di indottrinamento, più o meno forzata a seconda dei casi.
D’altronde, nulla sembra fermare Mosca nella sua determinazione a “russificare” i bambini ucraini e a impedirne il ritorno in patria, nonostante la mediazione internazionale e le iniziative sia del governo di Kyiv che della società civile ucraina. Sia che vivano nei territori ucraini occupati dall’esercito russo sia che siano stati deportati in Russia, i giovani ucraini sono costretti a frequentare scuole e programmi di “rieducazione”, che comprendono un programma di militarizzazione e fedeltà totale nei confronti della “nuova patria”, mentre quelli orfani o separati dai genitori stanno gradualmente scomparendo per una migliore assimilazione nelle famiglie affidatarie o d’adozione.
“La Russia non rispetta alcuna regola internazionale e non vuole restituire alcun bambino. Diventa sempre più difficile rimpatriarli. I servizi speciali russi stanno facendo tutto il possibile per impedirlo”, afferma Mykola Kuleba, direttore della ONG “Save Ukraine”. È così che la Russia sta cercando di rubare il futuro dell’Ucraina, cercando di cancellare l’identità di un’intera generazione di giovani, di riscrivere le loro origini, di togliere loro il diritto di essere se stessi e di trasformarli in qualcun altro.
Nonostante la storia di ciascun bambino sia unica, si possono ritrovare e descrivere in modo sintetico alcune pratiche comuni. Per esempio, se un bambino ha posizioni pro-ucraine evidenti, queste devono essere eliminate: spesso questi bambini vengono perquisiti fisicamente, gli viene chiesto di spogliarsi, i loro effetti personali vengono confiscati e poi li si convince che le loro opinioni non interessano a nessuno. Una manipolazione psicologica che richiede tempo, ma che viene supportata anche dall’imposizione massiccia di narrazioni filorusse: la lingua, l’inno, le canzoni patriottiche, gli incontri con ogni sorta di presunti personaggi sempre e solo russi. Tutto ciò avviene soprattutto in colloqui individuali, attraverso l’accompagnamento di un “educatore”.
Una campagna calcolata e sistematica
La Russia ha iniziato a deportare i bambini ucraini ben prima dell’invasione su larga scala, ma dal febbraio 2022 la loro deportazione e il trasferimento forzato sono diventati un’operazione coordinata. Un processo, dunque, lento e che va oltre l’uso della pura e semplice propaganda russa perché si infila nella vita quotidiana in ogni sua parte: la manipolazione psicologica è totale.
In seguito all’occupazione della Crimea e di parte del territorio delle repubbliche separatiste di Donec’k e Luhans’k nel 2014, il Cremlino ha imposto nuove regole in tutti i settori della vita in questi territori, dalla “passaportizzazione” forzata alla rieducazione negli asili e nelle scuole. La lingua, la cultura e qualsiasi espressione di identità nazionale ucraina sono diventate pericolose.
Nel 2022, questa pressione e questo controllo si sono intensificati e, con lo scoppio dell’invasione su larga scala, la cancellazione di tutto ciò che era ucraino nei territori occupati è divenuta sistematica. Il 18 febbraio 2022, sei giorni prima che i carri armati russi attraversassero i confini ed entrassero ufficialmente in Ucraina, le autorità controllate da Mosca nelle zone di Donec’k e Luhans’k hanno lanciato la prima deportazione di massa di bambini ucraini. Nel giro di pochi giorni, migliaia di minori sono stati prelevati da collegi e orfanotrofi, caricati su autobus e inviati in Russia – a Kursk, Taganrog, Rostov e altrove. La Russia ha chiamato questa operazione “evacuazione”, sostenendo di volerli salvare e portarli fuori dalle zone di guerra. Addirittura, nel maggio 2023, Putin ha firmato un decreto che semplifica il processo di concessione della cittadinanza russa proprio agli orfani ucraini, rendendo di fatto più facile la loro assimilazione.
Bambini e adolescenti hanno iniziato a essere militarizzati, deportati e trasformati in “russi” attraverso l’indottrinamento, costretti a credere che la loro cultura d’origine non esista affatto e incoraggiati a combattere per la Federazione Russa. Come spiega Karim Asfari, analista legale di The Reckoning Project, la loro mente viene in un certo senso resettata e, proprio per questo, il metodo di inquadramento all’interno del sistema scolastico e della vita quotidiana in Russia non è lo stesso di quello utilizzato per i loro coetanei russi, già nati e cresciuti in quell’ambiente.
Storie dall’occupazione: i documentari del Kyiv Independent e The Reckoning Project
L’unità investigativa sui crimini di guerra del Kyiv Independent ha stabilito i nomi dei funzionari russi nei territori occupati che hanno preso parte ai rapimenti e ha seguito le strade delle famiglie che hanno rischiato la vita per riportare a casa i propri figli. I giornalisti della testata hanno trovato 31 bambini portati in Russia nel maggio 2022, minori che non sono ancora stati restituiti all’Ucraina e che sono finiti in famiglie adottive all’interno della Federazione Russa. Tra loro Pylyp Holovnja, adottato illegalmente dalla stessa commissaria russa per i diritti dei bambini Marija L’vova-Belova, su cui oggi pende il mandato d’arresto della CPI.
“I bambini sono sacri. Li portiamo fuori dalle zone di conflitto per salvare le loro vite”, dichiara il presidente russo Vladimir Putin nel documentario realizzato dall’unità investigativa, disponibile a questo link nella versione integrale.
Anche la squadra di giornalisti e avvocati di The Reckoning Project, che abbiamo incontrato nell’ambito dei Docudays UA a Kyiv, si dedica a documentare, segnalare e raccogliere prove per indagare sui crimini di guerra. Dopo una lunga serie di ricerche – che continuano tuttora – sono riusciti a raccogliere alcune testimonianze di giovani cresciuti nei territori temporaneamente occupati, i quali hanno condiviso le loro esperienze di vita sotto il dominio russo, i programmi di rieducazione, la militarizzazione e lo sfollamento forzato. Queste storie sono documentate in “Children of the Occupation: Donetsk, Mariupol, Crimea”, film documentario disponibile online e presentato in anteprima il 31 gennaio 2025 su Current Time TV.
Nel corso dell’ultimo anno, il team di The Reckoning Project ha raccolto e documentato più di 200 testimonianze di partecipanti o testimoni di questo processo. Molte sono state presentate alle autorità ucraine e internazionali e sono state la base per oltre un centinaio di articoli giornalistici in decine di paesi in tutto il mondo. Sono le storie di Mariia, Nina e Saša, che hanno trovato il coraggio di parlare davanti alle telecamere di Jurij Šylov, regista del documentario, a raccontarci come la loro infanzia e adolescenza siano state rubate.
Mariia, 17 anni, ha vissuto per otto anni sotto occupazione a Donec’k, sottoposta a un programma di rieducazione per ‘acquisire’ l’identità russa. Dopo l’invasione su larga scala del febbraio 2022, la ragazza è riuscita a lasciare la città e si è trasferita a Charkiv.
Saša, 17 anni, viveva vicino a Mariupol’ ed è stato testimone dell’occupazione della città e delle operazioni militari. Costretto ad andarsene a causa della minaccia di una mobilitazione forzata nell’esercito russo, abita ora a Rivne, nell’ovest dell’Ucraina.
Nina, 15 anni, originaria della regione di Cherson, è stata portata in Crimea all’insaputa della madre. Lì, in un centro di riabilitazione, è stata costretta a frequentare corsi di addestramento militare. Attualmente vive a Kryvyj Rih.
Il problema della reintegrazione e il futuro dei bambini ucraini
La reintegrazione è una delle parti più difficili e delicate del lavoro svolto dal programma “Bring Kids Back UA”, lanciato su iniziativa del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.
Alcuni bambini tornano impauriti, altri sono completamente smarriti. Gli psicologi parlano spesso di “obbedienza estrema”, ovvero quell’istinto per cui bisogna semplicemente seguire gli ordini di qualsiasi adulto senza fare domande. La maggior parte di questi bambini ha trascorso mesi, se non anni, in un ambiente interamente russo, esposti a un indottrinamento sistematico volto a rimodellare la loro identità. Sono stati costretti a cantare l’inno la mattina appena svegli e a sventolare la bandiera della Federazione prima di sedersi composti dietro i loro banchi di scuola, a indossare uniformi militari e a vivere sotto costante pressione psicologica.
Il ritorno e la riabilitazione dei bambini deportati con la forza necessitano della creazione di un sistema completo di supporto psicologico e di un adeguamento della legislazione per il reinserimento dei minori. Solo attraverso gli sforzi congiunti dello Stato, delle organizzazioni internazionali e della società civile è possibile tutelare efficacemente i diritti e gli interessi dei bambini ucraini colpiti dalla guerra e garantire loro la possibilità di ritrovare la propria identità e riprendere in mano la propria vita.
Su una cosa si concorda all’unanimità: c’è una grossa differenza fra lo scambio e la reintegrazione dei prigionieri di guerra del Cremlino e dei bambini ucraini che sono stati rapiti dalle autorità russe o trattenuti nel territorio occupato. “Quando parliamo di bambini, deve esserci il ritorno immediato di tutti i bambini rapiti. Punto. Non si può assolutamente parlare di alcun tipo di trattativa. Non abbiamo nessuno con cui scambiare i bambini, non abbiamo bambini russi, non li rapiamo, non li tratteniamo”, mette in chiaro Dar’ja Herasymčuk, consigliere e commissaria per i diritti dei bambini e la riabilitazione infantile. Se parliamo di bambini, e anche di civili, insomma, non si può parlare di alcuna ‘trattativa’.
La situazione rimane grave: migliaia di bambini ucraini sono ancora dispersi, nascosti dietro altri nomi, chiusi in istituto o dislocati in famiglie adottive russe protette dal silenzio. Ogni giorno che passa rende più difficile il loro recupero, mentre si accumulano i danni invisibili: anni di rieducazione forzata, perdita della cultura d’origine, affetti cancellati.Sul piano internazionale, si sta assistendo a un’intensificazione della pressione per meccanismi di negoziazione multilaterale, interventi giudiziari da parte della Corte penale internazionale e sanzioni diplomatiche mirate. Tuttavia, finché non sarà possibile avere un accesso concreto ai registri e alle strutture in cui si trovano questi minori, ogni appello rischia di non avere l’effetto desiderato. Ancora una volta, giustizia non sarà fatta.
Immagine in anteprima: frame video Kyiv Independent via YouTube
