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Sallusti, il carcere e la diffamazione. Ricapitoliamo

2 Dicembre 2012 5 min lettura

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Sallusti, il carcere e la diffamazione. Ricapitoliamo

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Visto che ancora oggi e con tutto quello che sta succedendo (arresti domiciliari, 'evasione' del direttore Sallusti, la polizia nella sede del giornale) si fa confusione su alcuni aspetti della vicenda ho pensato fosse necessario ricapitolare sinteticamente. Lo faccio soprattutto perché leggo e ascolto ancora troppi giornalisti, bravi e anche noti, parlare di reato d'opinione con immancabile citazione: 'Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere'. Che dire OLD è poco. Questo elenco l'ho postato ieri sulla mia bacheca di facebook:

1) carcere per il giornalista brutto, brutto (anzi colgo l'appunto che Bruno Saetta fa in questo post La Procura di Milano e la gestione ad personam del caso Sallusti e preciso: da tutelare è l'attività giornalistica non i giornalisti, altrimenti si generano privilegi tipici di una casta)

2) la legge è uguale per tutti

3) Sallusti non è stato condannato per un reato d'opinione ma per il reato di DIFFAMAZIONE

4) bastava rettificare anche e soprattutto per rispetto dei lettori

5) strumentalizzare la spinosissima questione legge diffamazione/carcere giornalisti è una cosa che non si può vedere.

 

Come Valigia blu ci siamo occupati della vicenda in più post, ve li riposto qui, possono essere utili per evitare confusione:

 

1) Sallusti è colpevole ma va valutato uno sconto di pena, all'interno trovate anche l'articolo per cui l'allora direttore di Libero è stato condannato.
In merito scriveva Michele Serra:

La pena è sproporzionata, ma questo non alleggerisce di un grammo le responsabilità morali e sociali di chiunque usa pubblicamente le parole; anzi le aggrava, perché l'esercizio della libertà di opinione circonfonde i giornalisti di un'aura di intoccabilità (di tipo castale, visto che va di moda dirlo)...

Ecco, mi chiedo possibile che tutti i giornalisti, che giustamente stanno prendendo posizione contro il carcere, non dicano una parola, non prendano una posizione forte anche sull'obbligo di rettifica? Poi se si viene percepiti come casta, inutile meravigliarsi.

Leggo le dichiarazioni dell'Ordine dei Giornalisti, della Federazione Nazionale della Stampa e non mi pare di aver visto una dichiarazione in merito. Non è affatto una questione secondaria. Con la parola si possono distruggere vite, sarà il caso di prendersi la responsabilità, di sentire l'obbligo direi morale di rettificare quando si sbaglia?
La rettifica, a mio avviso, non è un obbligo solo nei confronti della persona diffamata da un mio eventuale articolo sbagliato (in buona o in mala fede), ma è una forma di rispetto verso i lettori. E addirittura, come dice il mio amico Ciro Pellegrino, dovrebbe essere un punto d'onore per il giornalista.
E allora ripeto vanno bene e sono giuste le parole dei giornalisti contro il carcere, ma una parola sull'obbligo di rettifica?

 

2) E veniamo appunto alla rettifica, che non è mai stata fatta, argomentando questa scelte con motivazioni abbastanza fragili del tipo: 'la notizia era stata ripresa da La Stampa', e quindi? 'E ma la rettifica è arrivata all'Ansa e Libero non aveva l'abbonamento all'Ansa...' Ma per piacere.
In questo post  Siamo tutti Sallusti. Ma anche no, spieghiamo bene la nostra posizione. La vicenda Sallusti poteva essere una grande occasione, finalmente, per riaprire il dibattito per una riforma della legge sulla diffamazione. E invece abbiamo assistito a una grave strumentalizzazione.
Riporto alcuni passaggi fondamentali:

La vicenda, come ormai si è letto da più parti, riguarda fatti avvenuti nel 2007. L’ex direttore de Il Giornale, a quel tempo, a capo di Libero, aveva pubblicato un articolo firmato da un anonimo Dreyfus in cui veniva raccontata la storia di una ragazzina costretta ad abortire da un giudice in combutta con i genitori. Come poi ha appurato ieri la Cassazione, confermando la condanna in Appello del giugno 2011, quell’articolo non rispecchiava la verità della vicenda, stravolgeva i fatti e diffamava il giudice in questione.

...Proprio per questi motivi non si capisce perché i direttori dei più importanti giornali italiani parlino di «reato d’opinione» quando invece con la diffamazione a mezzo stampa non c’entra nulla. Nessuna libertà di parola è stata negata in questo caso, infatti. Si è ribadito che in uno Stato di diritto non vi è la libertà di commettere reati, cioè, in questo caso, di diffamare.

D’altronde lo stesso giudice querelante, Giuseppe Cocilovo, oggi, in un’intervista su La Stampa chiarisce che per fa decadere la querela e quindi la relativa condanna «sarebbe bastata una lettera di scuse ai lettori per una notizia errata pubblicata (…)». Una rettifica che però in 6 anni non è mai arrivata. Rettifica che tra l’altro, secondo la carta dei doveri del giornalista, dovrebbe essere pubblicata «con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta” quando le informazioni diffuse “si siano rivelate inesatte o errate, soprattutto quando l’errore possa ledere o danneggiare singole persone, enti, categorie, associazioni o comunità (…)».

3) Sulla differenza diffamazione-reato d'opinione vi consiglio il post di Bruno Saetta: La diffamazione non è un reato d'opinione: il caso Sallusti

Senza voler entrare nel merito della vicenda, e nella diatriba sull'opportunità o meno di applicare la pena del carcere alla diffamazione a mezzo stampa, ci preme correggere una grave imprecisione che si riscontra in molti articoli, cioè l'aver accomunato la diffamazione ai reati di opinione.
Alcuni commentatori hanno rilanciato l'idea che sia gravissimo che ancora oggi in Italia si vada in galera per un reato di opinione, come se fossimo in Cina, così chiedendo una riforma dei reati in questione. Peccato che, nonostante qualche raro parere discordante, la diffamazione non si può considerare un reato di opinione.

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In verità, reato di opinione non è una dizione molto chiara, e forse sarebbe più appropriato definirli come reati di comunicazione della propria opinione. Infatti, per fortuna non è ancora possibile condannare una persona per i suoi pensieri inespressi, per cui evidentemente la si può condannare per le sue opinioni solo nel momento in cui le comunica a terzi.
Quindi non è l'opinione in sé ad essere reato, ma la sua comunicazione.
Ovviamente non tutti i pensieri, se comunicati, sono soggetti a determinare un reato. Se così fosse nella categoria sarebbero ricompresi fin troppi comportamenti, tra i quali anche la diffamazione, la falsa testimonianza, la minaccia, la corruzione, ecc...
La categoria dei reati di opinione, invece, ricomprende il vilipendio (es. contro la religione), l'apologia, la propaganda (es. quella razzista).

4) Ribadendo che il carcere per i giornalisti per reati come la diffamazione andrebbe abolito e che è necessaria una riforma della legge, chiudo con un LOLLONE, sicura che la vicenda del direttore Sallusti si concluderà per il meglio.

Tutti pronti per il concertone? Giusto il tempo di prenotare il Palasport, e sarà Betulla&Friends.

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