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Il caso Vannacci: l’ennesimo tentativo di radicalizzare il discorso pubblico

23 Agosto 2023 14 min lettura

Il caso Vannacci: l’ennesimo tentativo di radicalizzare il discorso pubblico

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Prima di occuparci di Roberto Vannacci e del suo libro Il mondo al contrario è doverosa una premessa. Tutta una serie di argomentazioni, dibattiti imbastiti su giornali e tivù, persino proposte di legge annunciate come fossero campagne di instant marketing, andrebbero considerate e trattate alla stregua di barzellette vecchie, che non fan più ridere. Invece delle barzellette sui carabinieri, insomma, dobbiamo sorbirci le barzellette sulla libertà di espressione. E siccome vengono spinte tra tivù e giornali, dobbiamo mettere al centro dell’agenda mediatica questa barzelletta. Mentre fuori dalla bolla necrotica, per dire, se pensiamo ai problemi della libertà di espressione, vengono in mente casi come quello di Elena Kostyuchenko, la giornalista russa che è dovuta fuggire dal suo paese e che probabilmente è stata avvelenata nel cuore della civilissima Europa.

Restando dentro la bolla, invece, va registrato che non c’è una volontà politica forte di mettere al centro del dibattito la riforma delle legge sulla diffamazione, che è uno dei principali problemi in materia. Sono almeno dieci anni che l’Italia dovrebbe recepire legislativamente le sentenze della Corte di Strasburgo, mentre ne sono passati due da quella del 2021 della Corte Costituzionale secondo cui il carcere andrebbe previsto solo per i casi di massima gravità, posto che le cause civili e le richieste di cospicui risarcimenti hanno a loro volto un effetto intimidatorio. 

Il progetto Mapping Media Freedom presenta finora più di 500 segnalazioni di casi di censura e querele temerarie nel nostro paese, il numero più alto per l’Europa Occidentale. Il monitoraggio delle associazioni che si occupano di libertà di espressione raramente finisce in prima pagina e mai in apertura di telegiornale, ed è più che altro una voce che grida nel deserto. L’attuale presidente del Consiglio ha denunciato per diffamazione scrittori (Roberto Saviano) e giornalisti (Domani). Persino Brian Molko, il cantante dei Placebo, è stato denunciato dalla premier. Una strategia molto aggressiva che fuori dall’Italia ha destato più di un allarme.

Non c’è questa volontà perché leggi e consuetudini sono una pistola nel cassetto che parte consistente della classe politica preferisce tenere, e a vario titolo c’è chi è più o meno spregiudicato nell’allungare la mano verso il cassetto. Per cui quando nascono dibattiti come nel caso del libro di Vannacci, più che a un sistema funzionante, dove a una persona che, in virtù del ruolo ricoperto è richiesto di rispettare oltre a codici disciplinari l’articolo 54 della Costituzione (a prescindere dalle opinioni particolari), e quindi di rispondere del proprio operato, assistiamo invece a balletti di potere. Dove anche le migliori intenzioni vengono sovrastate dalle musichette e, soprattutto, da chi approfitta dei volteggi per tirare spallate o pestoni. 

Il caso del libro Il mondo al contrario 

Il testo al centro delle polemiche, Il mondo al contrario, è stato autopubblicato il 10 agosto scorso. L’autore, Roberto Vannacci, è un generale delle forze armate che ha ricoperto importanti incarichi, tra cui quello di comandante della “Folgore”. Inizialmente, del libro si è parlato più che altro su siti minori e/o legati al mondo militare, ma dopo Ferragosto è scoppiato il caso su scala nazionale, complici alcuni stralci del libro e, per l’appunto, il rango nell’esercito dell’autore. Al momento della pubblicazione Vannacci era a capo dell’Istituto geografico militare. Tuttavia, dopo le polemiche lo Stato maggiore dell’esercito l’ha rimosso dall’incarico. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, invece, ha annunciato un’indagine disciplinare. Nel frattempo, la notizia ha raggiunto anche la stampa estera, con titoli tutt'altro che lusinghieri. "Per il generale italiano Roberto Vannacci l'adozione gay è come il cannibalismo", titola il Times, quotidiano conservatore britannico.

Sulla problematicità degli stralci pubblicati non c'è molto da discutere. A voler considerare il testo un pamphlet, la tesi centrale è una difesa della “normalità” (“La normalità c’è. Esiste. Non per questo è buona o cattiva, migliore o peggiore, ma non la si può negare in nome di una artificiale e pretestuosa inclusività”), da ciò che normale non è, e che pretenderebbe di cancellare questo stesso concetto, creando un “mondo al contrario”, una “dittatura delle minoranze”. 

Il testo è un campionario di luoghi comuni che bersagliano in particolare persone LGBTQ+, persone razzializzate, attivisti climatici (“gretini”) e femministe, con uno stile grossolano che fa pensare a un testo scritto molto rapidamente, senza troppe revisioni, anche in virtù di vari episodi menzionati che riguardano la cronaca più recente (come l’elezione di Miss Olanda). Di seguito faremo alcune citazioni: data la natura del contenuto, suggeriamo di passare alla sezione successiva chi potrebbe sentirsi chiamato direttamente in causa dalle parole del testo.

In un passaggio, Vannacci menziona Orwell, il quale ricordava che “senza le parole non è possibile esprimere le idee e non è un caso che nella nostra ricca, antica, melodica e bellissima lingua sia stato ostracizzato ogni termine che descriva un omosessuale maschile”. Dopodiché l’autore cita sedici insulti, lamentando che “sono ormai termini da tribunale, da hate speech, da incitazione all’odio e alla discriminazione e classificati dalla popolarissima enciclopedia multimediale Wikipedia come ‘lessico dell’omofobia’”. Da notare che nel nostro paese la legge che voleva introdurre l’aggravante di omofobia, il DDL Zan, è stata affossata in Senato nell’ottobre 2021.

In numerosi passaggi, l’autore esemplifica il proprio concetto di normalità o tolleranza, marcando una divisione tra ciò che è “normale” e ciò che non può essere considerato suo pari, paragonando l’omosessualità ad altre “eccentricità”, come l’essere vegani, o masochisti, o il mangiar cani o gatti. Altrove l’autore è più esplicito e ricorre persino all’enfasi: “Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!”.

Quanto alle femministe, una delle loro colpe è di aver taciuto in tempi recenti vari casi di sopraffazione dei loro spazi da parte “di uomini”. Il riferimento è naturalmente ai casi di atlete transgender, come la nuotatrice Lia Thomas, o alla modella transgender Valerie Kollé, vincitrice di Miss Olanda. Non mancano i riferimenti alla Spagna che ha approvato la “Ley Trans”, diventando un paese dove ora si può cambiare sesso “come si cambia di bicicletta”.

Anche le persone razzializzate fanno parte di questa “dittatura delle minoranze”. Se da una parte si elogia il modello russo (“Il clandestino in Russia non lo vai a fare perché sai che non avrai vita facile”), dall’altra si ripresentano in forma raffazzonata discorsi tipici sulla categoria di bianchezza e sui tratti somatici "italiani". La pallavolista Paola Egonu, in passato bersagliata da episodi di razzismo, è citata come esempio di persona i cui “tratti somatici non rappresentano l’italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli etruschi sono giunti ai giorni nostri”. 

Secondo Michele Spina, esperto di diritto militare intervistato dall’Huffington Post, per Vannacci si può parlare di “comportamento improvvido” e “senza precedenti”. “Dire che la maggioranza è normale e la minoranza è anormale è in conflitto con tutte le regole della democrazia di questo mondo”, spiega Spina, per il quale tuttavia Vannacci rischia al più una “sanzione di corpo”, un provvedimento disciplinare ben più blando delle sanzioni di stato, che possono arrivare alla destituzione dal servizio e di cui resta traccia nel curriculum professionale”.

Per il generale Albino Amodio, ex consulente della Commissione difesa della Camera, la scelta di togliere l’incarico a Vannacci è stata giusta. Intervistato dal Sole 24 Ore, ha ricordato che

Il militare è un cittadino, abilitato però ad una funzione particolare: l’uso della forza militare. In nome di queste funzioni particolari non possiamo negare ai militari i diritti fondamentali riconosciuti ad ogni cittadino, la legge può però porre dei limiti su come esercitarli. Il militare può esprimere il proprio pensiero, anche per iscritto, e non ha bisogno di essere autorizzato. Non è però libero di recare offesa a nessuno. E meno che mai può farlo qualificandosi come militare.

La fiction su Roberto Vannacci martire della libertà di espressione

L’intervento dello Stato maggiore e di Crosetto sono stati molto tempestivi. Da una parte entrambi hanno cercato di mettere le forze armate al riparo da polemiche: di recente lo stesso Presidente degli Stati Uniti aveva puntato l’indice su come l’Italia, tra i vari problemi, sia indietro nel tutelare i diritti delle persone LGBTQIA+. Del resto, proprio il curriculum militare di Vannacci fa nascere prima di tutto una domanda che suona più o meno così: quante persone addestrate a sparare e a prendere ordini dividono il paese in normali e anormali, convinte di doversi in qualche modo difendere dai secondi?

Gli interventi messi in gioco finora hanno però cercato di tutelare lo stesso Vannacci e le possibili ricadute che il libro e la relativa esposizione mediatica potrebbero avere. Un libro di sproloqui (anche i militari sono “una minoranza” ma nessuno ne parla in termini di “anormalità”) può prima di tutto spingere a indagare nella carriera dell’autore, per vedere se sussistano o no episodi passati motivo di imbarazzo che sono passati sotto silenzio. Inoltre l’esposizione mediatica e le dichiarazioni rilasciate possono rendere a Vannacci più difficile difendersi nelle sedi opportune che gli sono garantite (ma l’azzardo qui sta anche nel voler influire a vario titolo in quelle sedi). Bisogna vedere infatti se la pubblicazione, la vendita e la promozione del libro rientrino o meno nelle attività extraprofessionali, le quali non devono entrare in conflitto con "il prestigio delle istituzioni militari e con l'immagine della PA".

Il caso ha perciò spaccato la galassia dell’ultradestra, tra politici, giornalisti e intellettuali, arrivando fino alla supposta “contro-informazione” dei vari Byoblu (che nel mondo “al contrario” dell’editoria italiana è autore per Rizzoli del libro Il disallineato). Il tema conduttore è naturalmente quello della libertà di espressione, o meglio, la chiamata alle armi contro i tentativi di censura. La quale, come vuole il balletto di rito, sarebbe promossa dalla sinistra, dalla dittatura del pensiero unico, dalla dittatura della minoranza, e così via. Il governo è sotto attacco, e bisogna difendersi, oggi tocca a Vannacci, domani? Manca solo una penna alquanto creativa capace di scrivere una roba alla Perché il generale Vannacci è il nostro Dreyfus. Intanto, il giornalista Fabio Chiusi ha raccolto un campionario esaustivo di questo filone in un thread su Twitter (o meglio, X).

“È più grave discriminare un uomo per le sue preferenze sessuali o un uomo per le sue idee?” si chiede Alessandro Sallusti, evocando il rischio che “tribunali del popolo possano decidere cosa un uomo possa odiare e cosa no”. Un quesito che, implicitamente, espone le parole di Vannacci come un discorso d’odio. Dalla difesa della libertà di espressione, insomma, siamo nel regno della libertà di odiare. O meglio, dell’impunità, perché come sappiamo nessuna libertà è assoluta ed esistono nel nostro ordinamento tutta una serie di paletti legislativi e di oneri che si accompagnano agli onori. “Il Pd vuole ancora i gulag?” si domanda Donzelli, che ha una concezione abbastanza relativa della libertà di espressione. Dove per "gulag" si intende l'aver fatto presente che forse un semplice trasferimento è poco.

Lo stesso Crosetto è finito sul banco degli imputati, tanto da aver dovuto far presente che i vertici militari sono stati più duri di lui. Più a destra di Fratelli d’Italia, del resto, c’è chi, come Alemanno, prova a cavalcare il caso per cominciare a raccogliere i delusi dall’attuale maggioranza. Mentre all’interno della stessa c’è chi, come Salvini, prova a smarcarsi per frenare l’emorragia di consensi. 

Il calcolo cinico dietro una strategia consolidata

I motivi di questa difesa a oltranza sono ovvi. Se prendiamo i messaggi contenuti nel Mondo al contrario, non sono poi così dissimili da quanto viene detto ogni giorno, ormai da anni, da quotidiani come Libero, Il Giornale o La Verità, o dagli esponenti della destra radicale quanto sentono di poter parlare a briglia sciolta. La difesa è prima di tutto rivolta verso sé stessi. Come fatto notare dal giornalista Lorenzo d’Agostino, dai banchi dell’opposizione nel 2019 Giorgia Meloni co-firmava con Alessandro Meluzzi un libro sulla cosiddetta “mafia nigeriana” dove si diceva ben di peggio. 

Ma ora che la destra è al governo, in assenza di un’egemonia culturale consolidata, certi toni e argomenti rischiano di risultare controproducenti. Si lavora, insomma, sul dosaggio. Sul volume della musica e sul testo, non sulle note. Il lavoro sporco è meglio lasciarlo agli altri, per poter dire, all’occorrenza, che hanno esagerato, e passare quindi persino come voci ragionevoli. O lanciare il sasso, smentire la mano, far passare un po’ di tempo e poi lanciare di nuovo il sasso, come per i balletti del ministro Lollobrigida sulla “sostituzione etnica”.

Rispetto al 2019, del resto, un certo tipo di atteggiamento tra il tollerante e l’apertamente ostile è ormai abbastanza trasversale su molti temi cari alla destra, soprattutto sui suoi bersagli. Pensiamo solo all’orrore giuridico della GPA reato universale, e al relativo dibattito; a come, di fronte alle famiglie arcobaleno che vedono la genitorialità strappata via, si riesca a oscillare tra l’indifferente e l’aperta ostilità (in nome, magari, della “biologia”, e della “natura”). Non è certo qualcosa confinato in uno steccato politico ben delimitato, e ancora una volta giova ricordare come, in particolare sui diritti delle persone LGBTQIA+, siamo tra gli ultimi in Europa. Una realtà che non è percepita come una rotta contraria da invertire, anzi.

Cinicamente, dunque, Vannacci può essere usato come ariete per sfondare ulteriormente l’argine del discorso pubblico e tutta una serie di architravi. Lo si manda allo sbaraglio, facendone una personalità mediatica e un simbolo, per poter dire “noi che ci riconosciamo in lui siamo la patria, la normalità. Loro no”. In ciò si asseconda quella visione secondo cui i diritti sono una concessione dall’alto organizzata gerarchicamente. E dove l’identità ha bisogno di un nemico da cui difendersi o da colpire. Ma il problema, in questo caso, è che abbiamo un militare che è stato rimosso da un incarico, e quella rimozione è stata decisa dallo stesso corpo di cui fa parte. Quel “noi e quel loro”, insomma, riguarda prima di tutto il mondo militare e le istituzioni, mentre sul piano ideologico chiama in causa il concetto di autorità del modello conservatore (più legato a una visione morale delle gerarchie) ed eventuali conflitti.

Se sono la fedeltà alla bandiera e alle istituzioni ad avere importanza, a Vannacci il ruolo dell’intellettuale controcorrente crea prima di tutto un danno professionale e di immagine; cozza col ruolo del militare, che è chiamato a difendere tutti i cittadini, a prescindere. Sempre il generale Amodio ricordava infatti che l'Italia è un paese NATO, alleanza di cui fanno parte diverse etnie, religioni, orientamenti sessuali e così via.

Dietro il solito sistema di accuse e vittimismi messo in campo dalla destra radicale passa ora un altro messaggio, o scontro. Chi è davvero fedele alla bandiera e alle istituzioni? Chi le difende davvero? Il generale trasfigurato a simbolo del tormentone “ormai non si può più dire niente” (intanto che lo si dice per l’ennesima volta) o i suoi colleghi e superiori che prendono provvedimenti applicando quelle regole che, come lo stesso Vannucci, hanno giurato di osservare?

A prescindere dall’esito di qualunque iter disciplinare, insomma, l’idea che ci siano dei “traditori della patria” all’opera, dei “nemici” di ciò che è “normale” qui diventa particolarmente pericolosa, perché va a toccare il principio che nessuno è al di sopra della legge, e lo fa per via simbolica, astratta, e quindi come principio spendibile a prescindere dal contesto. Va anche a suggerire che esistono delle gerarchie dove chi occupa le posizioni più basse deve stare attento a non alzare la cresta.

Pensiamo a un caso limite di questa strategia mediatica, che è utile proprio perché a una condotta ben più grave (stavolta un omicidio), corrisponde una mobilitazione che cerca di promuovere comportamenti specifici, rafforzando una contrapposizione ancora più esasperata. Prendiamo cioè un caso dove questo tipo di modello è ancora più evidente e spregiudicato, dove si usa strumentalmente un diritto (quello alla difesa in caso di processo) per reclamare impunità e mobilitare parte della popolazione contro determinate categorie. Mi riferisco al crowdfunding promosso in Francia per pagare le spese legali al poliziotto accusato lo scorso luglio di aver sparato al diciassettenne Nahel Merzouk, di origini franco-algerine. L’uccisione ha dato il via a rivolte in tutto il paese, mentre la famiglia della vittima, per pagare le spese legali e ottenere giustizia per la morte, ha promosso una raccolta fondi. In risposta a questa, Jean Messiha, figura mediatica della destra radicale francese che ha lavorato alle campagne elettorali di Marine Le Pen e Eric Zemmour, ha promosso una raccolta fondi in favore del poliziotto sotto accusa.

Il secondo crowdfunding è diventato quindi una campagna a sostegno di una certa idea di polizia e di ordine pubblico, un vettore di rivalsa verso specifici segmenti della popolazione. Il tutto per poter dire che alla fine quel poliziotto andava difeso perché “non ha fatto nulla di male”. Lo stesso Zemmour ha chiesto “sostegno alla famiglia dell'agente di polizia di Nanterre, Florian. M, che ha fatto il suo lavoro e ora sta pagando un duro prezzo”. Il crowdfunding di Jean Messiha ha così raccolto 1,6 milioni di euro (il quadruplo di quanto raccolto dalla famiglia della vittima), prima che GofundMe decidesse di sospendere la campagna perché le condizioni di utilizzo della piattaforma escludono la difesa legale per crimini violenti o reati d’odio. Il tutto in clima generale dove dalle stesse forze di polizia è arrivata senza troppi giri di parole la richiesta di impunità per la repressione attuata durante le rivolte.

Di fronte a simili dinamiche e tornando in Italia, guardare ai dati di vendita lascia il tempo che trova: tra venti anni non faremo i convegni su Roberto Vannacci saggista. Anche i discorsi alla “colpa vostra che ne parlate” non hanno senso, se non si interrogano i rapporti di potere e il peso effettivo dei media, dove, tra l’altro, si è intenzionalmente lavorato per favorire il riposizionamento di Fratelli d’Italia come un partito di centro-destra o al più di destra. L’inversione di responsabilità è una sottovariante della sabbia per struzzi, nel momento in cui si ignorano i meccanismi consolidati di una certa industria del risentimento che è funzionale alla propaganda politica di questa destra, alla volontà di sfondare uno spazio pubblico per plasmarne uno nuovo che si è pronti a occupare contro chi è appena stato spinto via.

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Non è tanto la gravità di un caso a determinare le mobilitazioni, ma la possibilità di usarle per spaccare l’opinione pubblica e porsi come custodi dell’ordine costituito, in un mondo dove le regole consuete non valgono più, e i valori da difendere sono sotto minaccia esistenziale - a voi indovinare, in questo schema, dove stanno i “normali” e dove gli “anormali”. Lo abbiamo visto innumerevoli volte con la presidenza Trump, lo abbiamo nel lento esautorarsi della democrazia ungherese - non a caso divenuto un modello per le destre radicali in giro per il mondo. Lo vediamo ogni volta che, di fronte ad accuse di condotte gravi, il politico di turno si affretta a dire che, "senza se e senza ma", “sta con le forze dell’ordine”, come se le leggi che regolano l’operato di questi corpi dello Stato fossero una minaccia.

Il fatto che questa dinamica si sia messa all'opera con un libro dozzinale, che per ABC dell'editoria, se qualcuno davvero volesse pubblicarlo, dovrebbe passare prima per una seria opera di revisione e anche per un parere legale, dimostra più che altro come certe dinamiche siano rodate e non temano il ridicolo. Avrebbe dovuto essere un caso di ordinaria amministrazione, altrimenti non esisterebbero regole pre-esistenti da applicare, ma ormai è pieno là fuori di cani di Pavlov che hanno imparato a suonare il campanello da soli, da quanto adorano sbavare.

Immagine in anteprima via virgilio.it

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