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Rischio ambientale e industriale, i dati dell’Italia in pericolo

20 Ottobre 2015 9 min lettura

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Rischio ambientale e industriale, i dati dell’Italia in pericolo

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Articolo di Cronaca Italiana pubblicato in syndication con Valigia Blu

di Rosa Maria Di Natale e Lucia Schirru

Alluvioni, frane, esondazioni, smottamenti. E vittime, purtroppo. Basta guardare le cronache di questi giorni per capire come il cosiddetto "rischio idrogeologico" in Italia sia concreto e drammatico, con il tributo di vite e danni che ogni anno la popolazione è costretta a pagare. Ma che succede se questo rischio ambientale viene incrociato con un altro dato, quello della presenza di impianti produttivi pericolosi sul territorio? Quanto aumenta l'esposizione potenziale al pericolo per gli abitanti delle zone nelle quali i diversi elementi di criticità – quelli naturali e quelli creati dall'uomo – si sovrappongono? È possibile determinare un indice di pericolo complessivo?

Sono tre le regioni italiane, tutte del Nord, a salire sul poco invidiabile podio delle popolazioni esposte in contemporanea a più pericoli: la Val d’Aosta, la Liguria e l’Emilia Romagna. Ma tutta l'Italia deve difendersi da frane e alluvioni che spesso espongono al peggio persone, scuole o beni culturali, e anche dagli stabilimenti industriali con pericoli di incidente rilevante. E dai terremoti, impossibili da controllare.

Lo rivela il nostro indice di pericolo per la popolazione ottenuto elaborando, su base territoriale, i dati riportati sull'ultimo Annuario dei dati ambientali 2014 - 2015 redatto e presentato dall'Ispra, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza dal ministero dell'Ambiente.

Un lavoro capillare quello dell’Ispra, realizzato da un team di ricercatori e composto da migliaia di pagine, che permette di associare i dati della pericolosità naturale dovuta a frane e ad alluvioni, e il pericolo antropico dovuto alla presenza degli stabilimenti industriali suscettibili di causare un “incidente rilevante" (RIR), fotografando così l'esposizione globale di un territorio e della sua popolazione al pericolo. Affiancando infine la sismicità delle città, il quadro del pericolo italiano per la popolazione viene completato.

Perché sia importante incrociare i dati del pericolo naturale e di quello antropico in un territorio come quello italiano, lo spiega Francesco Astorri, esperto del servizio Rischio Industriale di Ispra: «Perché l’Italia,  a causa della sua  conformazione geologica-geomorfologica e socio economica, è  un Paese dove notoriamente sussiste una “coabitazione” di aree  esposte a pericoli di origine naturale (frane, alluvioni e terremoti), aree densamente popolate e  aree industriali che comprendono anche gli stabilimenti con pericolo di incidente rilevante».

Il Nord più esposto al rischio

Secondo l'indice di pericolosità per la popolazione, dunque, le tre regioni italiane più esposte devono fare i conti con un rischio maggiore, anche se per il solo pericolo alluvioni la testa della classifica spetta proprio all’Emilia Romagna (col 63,6% di popolazione a rischio). Ma la distanza tra il podio e le otto regioni che, in blocco, si susseguono nella classifica dell’indicatore, è veramente minima: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto, si trovano infatti sullo stesso livello di pericolosità, anche se a determinare il rischio non sono sempre gli stessi fattori. In Toscana a incidere sul valore è la percentuale di persone esposte al pericolo di alluvione (il 26%), mentre in Friuli e in Sardegna è il pericolo antropico ad avere un peso maggiore.

Eccezione tra le regioni del Nord è invece rappresentata dal Trentino Alto Adige. La popolazione corre infatti meno rischi rispetto alle regioni limitrofe, posizionandosi in coda alle classifiche di pericolo in due su tre degli indicatori che compongono l'indice.

C’è poi il caso Sardegna. Se la natura preserva il territorio sardo almeno dai terremoti,– si contano ancora i danni dell'evento alluvionale di pochi giorni fa e quello del 2013 che causò la morte di quasi 20 persone – l'uomo contribuisce invece a esporlo al pericolo.
La Sardegna è una regione con un livello di rischio naturale mediamente basso, ma un’elevata pericolosità antropica. Il numero di stabilimenti RIR, che in assoluto è abbastanza ridotto, diventa rilevante se rapportato alla popolazione residente. L'Isola è al terzo posto per rischio antropico, preceduta solo da Valle d'Aosta (altra regione a bassa densità di popolazione) e la Lombardia.

L’indice non tiene conto della distribuzione disomogenea degli stabilimenti RIR nelle varie regioni, ma nel Sud Italia la componente antropica del pericolo risulta comunque più bassa (ci sono meno stabilimenti), con un conseguente rischio totale anch'esso inferiore. Ciò è frutto del fatto che, nel Meridione e nelle Isole, gli stabilimenti RIR sono concentrati in corrispondenza dei grandi poli industriali; il che si traduce in una riduzione, in termini assoluti, della popolazione esposta al pericolo dovuto ad attività umane.

L'elemento che caratterizza uno “stabilimento con pericolo di incidente rilevante” (RIR) è la detenzione di quantitativi significativi di determinate sostanze che, per le loro caratteristiche, sono classificate come tossiche, o infiammabili, o esplosive, o comburenti, o pericolose per l'ambiente. O tutto questo insieme, o ancora variamente combinato.

Dentro la definizione si può trovare lo stabilimento di raffinazione petrolio, lo stabilimento chimico petrolchimico, il deposito gas liquefatti, ma anche produzione e deposito di esplosivi.
La normativa di riferimento è la direttiva europea "Seveso" (dal 1 giugno 2015 è scattata la Seveso III) che detta disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi al possesso di determinate sostanze pericolose o a limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente. Ed ecco che al pericolo legato ai processi naturali, ereditati, si aggiunge quello legato ai processi industriali, creati o scelti dall'uomo, con gli errori e gli incidenti causati dal mancato rispetto delle procedure o da malfunzionamenti di apparecchiature .

Anche in questo caso a pagarne le conseguenze è la popolazione, i lavoratori e l’ambiente, esposti a danni di ogni genere, anche mortali o irreversibili.
L’ultimo, drammatico incidente, si è verificato lo scorso 9 settembre nel Polo petrolchimico Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, con due operai morti mentre effettuavano lavori di manutenzione nell’impianto di etilene della Versalis, mappato come impianto RIR. Troppo presto per comprenderne le cause. Le indagini sono ancora in corso.

Ma è possibile stabilire se sul “fattore pericolo globale” nella Penisola pesi di più la conformazione geologica e geomorfologica del territorio, o l'azione dell'uomo quella che i ricercatori chiamano "pericolosità antropica"?

«Lo sarà quando sarà possibile valutare non il pericolo ma bensì il rischio associato agli stabilimenti RIR, sulla base degli esiti delle valutazioni e dei controlli effettuati su di essi, – continua Astorri – obiettivo a medio termine che Ispra intende ottenere attraverso l’Inventario Nazionale e con le nuove norme uscite di recente che tengono conto in modo più esaustivo dei pericoli di incidente indotti da cause naturali, come alluvioni, terremoti, ecc. Quanto conta la ricerca nella prevenzione? Utilissima, perché mette in evidenza le aree del nostro paese dove concentrare i controlli e le valutazioni e permette di calibrare un’adeguata comunicazione alla popolazione in ragione di una disponibilità non infinita di  risorse».

Stabilimenti a rischio di incidente: di più in Lombardia

Ma proviamo ad uscire fuori dall'indicatore per osservare i numeri dell’Ispra da più vicino. Secondo i dati dell'Inventario aggiornati al maggio 2015, gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante in Italia sono 1.102. Di questi, circa un quarto (il 26%) è concentrato in Lombardia, regione che da sola ha più stabilimenti di tutto il Sud, ma anche Veneto (9%), Piemonte (9%) ed Emilia-Romagna (8%) ospitano una significativa presenza di industrie a rischio.

Sono 726 i comuni italiani soggetti alla "Seveso", avendo almeno uno stabilimento sul proprio territorio. Le concentrazioni maggiori si evidenziano a Ravenna (con 27 stabilimenti) e Genova (con 13 stabilimenti), seguite da Venezia (11), Trecate (10), Livorno (9) e con 8 stabilimenti, a Brescia, Filago, Napoli, Brindisi e Roma. Sono in totale 41 i comuni in cui ci sono più di 4 stabilimenti.


Per rintracciare tutti i comuni interessati è possibile navigare la mappa:

Alluvioni e frane: sotto la media Veneto, Friuli, Sardegna

Sul fronte alluvioni, la stima ISPRA della popolazione italiana esposta è pari a 1.905.898 abitanti nello scenario di pericolosità idraulica elevata P3; a 5.842.751 abitanti nello scenario di pericolosità media P2 e a 8.641.815 abitanti nello scenario di pericolosità P1 (scarsa probabilità di alluvioni o scenari di eventi estremi). Emilia Romagna, Toscana e Liguria sono le prime tre regioni nella classifica del rischio specifico (utilizzando il rischio medio P2, disponibile per tutte le regioni italiane), e ancora una volta la Valle d'Aosta si pone tra le prime posizioni (la quarta), mentre in fondo alla lista c'è la Sicilia.

La stima della popolazione esposta a frane in Italia è di 1.019.939 abitanti. Un numero molto alto che richiederebbe un grado di analisi e prevenzione del danno di altissimo livello. La Valle d'Aosta è la Regione che presenta la percentuale più elevata di popolazione esposta a frane rispetto alla popolazione residente, seguita da Basilicata e Calabria. Sotto la media italiana ci sono invece Campania, Piemonte, Lombardia, Sardegna, Friuli, Lazio, Veneto e, in fondo, la Puglia.

Nei suoi rapporti, l’Ispra segnala anche le alluvioni degne di nota verificatisi in una prima fase tra metà gennaio e inizio febbraio 2014, in Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Veneto, Umbria e Sicilia; gli eventi più gravi si sono verificati a Modena, Genova e Roma (3 morti); la seconda fase ha invece riguardato le Marche a inizio maggio 2014 (3 morti); la terza ha coinvolto il Nord Italia nei mesi di luglio e inizio agosto (5 morti; l’evento più tragico a Molinetto della Croda di Refrontolo, Treviso); la quarta ha interessato l’area garganica all’inizio di settembre (2 morti); la quinta fase si è invece verificata tra la prima decina di ottobre e la seconda di novembre 2014, e ha riguardato più volte Genova (nei bacini del Fereggiano e del Bisagno), la Liguria più in generale, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e la Toscana, causando 12 morti e danni per parecchie centinaia di milioni di euro.

Ci sono regioni nelle quali il pericolo che incombe sulle scuole è però superiore a quello che corre la popolazione residente. È, ad esempio, il caso della Liguria, in cui il 27,8% delle scuole si trova in una zona a rischio alluvione mentre la percentuale di popolazione soggetta allo stesso rischio è il 16,1%. Il caso contrario invece si registra in Valle d'Aosta, dove il 10% dei residenti è a rischio alluvione, mentre non c'è alcuna scuola che, almeno in teoria, incorra nello stesso pericolo.

I beni culturali esposti a fenomeni franosi in Italia sono 13.935, mentre quelli esposti alle alluvioni, nel complesso, sono molti di più: quelli esposti a fenomeni di tipo frequente sono 12.496; quelli poco frequenti sono 28.483; quelli più rari sono 39.025.
La classifica regionale dei beni esposti alle alluvioni vede al vertice Emilia Romagna, Liguria, Toscana, ripetendo l'ordine di pericolosità a cui sono esposte le scuole. La Sicilia è ancora una volta ultima e il suo patrimonio culturale (ne possiede il 4% del totale italiano), può ritenersi al sicuro.

La terra trema da Nord a Sud. Sardegna isola felice

L'evento naturale meno prevedibile è sicuramente quello sismico. La Regione con più comuni classificati per classe sismica 1, ossia la zona più severa e dunque la più pericolosa, dove possono verificarsi fortissimi terremoti, è la Calabria con 264 comuni a rischio 1 (un imponente 64%,) a cui si aggiungono 148 comuni dove possono verificarsi terremoti giudicati comunque forti (il 36% dei comuni è in classe sismica 2, sismicità media).
Seguono altre regioni meridionali come Basilicata e Molise, entrambe con più del 30% dei comuni in zona 1 e il 60% in zona 2. Ma anche l’Abruzzo occupa una posizione di rischio considerevole; se i comuni del livello 1 sono il 30%, il 52% dei centri è invece al livello 2 di pericolosità.

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Nel 2003 sono stati emanati i nuovi criteri di classificazione sismica del territorio nazionale, in tutto quattro (calcolati in base al Peak Ground acceleration, picco di accelerazione al suolo), basati sull'analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. A tal fine è stata pubblicata l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3274 del 2003. Le zone meno rischiose sono la 3 e la 4 e fanno riferimento, rispettivamente, a zone di sismicità bassa o molto bassa. La Sardegna ha tutti i comuni in zona 4.

Terremoti, il rischio comune per comune
Per localizzare geograficamente il rischio sismico più elevato si può navigare la mappa con i dati a livello comunale pubblicati a marzo 2015 dalla Protezione Civile, incrociandoli con quelli dei confini amministrativi comunali dell'Istat, e aggiungendo il rischio antropico (misurato dalle concentrazioni di Stabilimenti RIR), ottenendo così un'informazione più completa.

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