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Alluvioni in Emilia-Romagna: un disastro annunciato e perché c’entra anche il cambiamento climatico

19 Maggio 2023 9 min lettura

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Alluvioni in Emilia-Romagna: un disastro annunciato e perché c’entra anche il cambiamento climatico

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Sott’acqua. Così sono finite Faenza, Cesena, Forlì, alcune zone del Ravennate, alcune strade di Bologna, dopo le violenti piogge che hanno colpito l’Emilia Romagna e anche le Marche dal 16 maggio e che hanno provocato la morte di 13 persone, decine di dispersi, oltre 20mila sfollati. 41 i Comuni colpiti dall’alluvione, 24 quelli allagati, 22 i fiumi esondati. La Protezione Civile ha diramato una nuova allerta rossa per molti territori delle due Regioni fino al 19 maggio, sia per il rischio di frane, crolli o colate di fango, sia per possibili ulteriori allagamenti.

“Come impatti sul territorio probabilmente è l'effetto alluvionale più grave di almeno gli ultimi 100 anni. Come estensione delle aree interessate e quantità di precipitazione, così come per danni su più province, è qualcosa di devastante, gravissimo”, sottolinea Pierluigi Randi, presidente dell’AMPRO (Associazione meteo professionisti). “Un disastro annunciato, ma abbiamo ignorato i segnali”, ha commentato il meteorologo, Luca Mercalli.

“La portata della devastazione del maltempo è quella di un altro terremoto: saranno danni quantitativamente minori, ma saranno di qualche miliardo di euro”, ha affermato il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che aggiunge di aver stimato danni per 1 miliardo di euro. “Come per il terremoto ricostruiremo tutto: al governo abbiamo detto che abbiamo bisogno di tante risorse, ma anche di norme speditive, c'è bisogno di un commissario straordinario, adempimenti per i lavoratori, per prorogare scadenze, mutui rate, tanti investimenti”.

Particolarmente colpiti il comparto agricolo – per Coldiretti ci sono perdite per 300 milioni di euro, mentre il presidente di Orogel, Bruno Piraccini, ha parlato di raccolti e redditi di un intero anno di lavoro compromessi – e quello industriale: numerose imprese hanno dovuto sospendere la loro produzione per motivi di sicurezza.

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha assicurato la massima disponibilità a sostenere le zone colpite, probabilmente attraverso un decreto legge, mentre il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha annunciato che il Governo cercherà di attivare il fondo di solidarietà europeo. Nel frattempo, il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha annunciato che saranno sospesi gli adempimenti tributari per imprese e famiglie dei Comuni colpiti. 

E mentre si iniziano a contare i danni e imperterriti si cerca di portare in salvo persone rimaste isolate o intrappolate, ci si interroga sulle cause di questi eventi meteorologici estremi e su cosa fare per poter prevenire o almeno mitigare le conseguenze catastrofiche.

Cosa è successo?

Dalla mattina del 16 maggio varie aree dell’Emilia-Romagna e delle Marche sono state funestate da piogge torrenziali, con rovesci e impulsi temporaleschi, che hanno provocato frane, alluvioni, allagamenti e l’inondazione delle aree costiere. Si tratta del secondo evento meteorologico estremo che interessa l’Emilia Romagna nell’arco di due settimane. Tra l’1 e il 3 maggio la regione era stata infatti colpita da precipitazioni intense. Già allora si era parlato di un fenomeno per certi versi sorprendente per portata e durata. Questa volta, però, l’evento è stato ancora più intenso: è caduta quasi la stessa quantità di pioggia, ma in meno tempo e su un’area più estesa.

In poche ore, a seconda delle zone, sono cadute tra i 100 e gli oltre 200mm di pioggia, “quantitativi di pioggia enormi per la nostra climatologia delle precipitazioni”, osserva ancora il presidente di AMPRO, Pierluigi Randi: “È quella che cade di solito in una intera primavera. In un secolo non ci sono mai stati eventi estremi così vicini. La situazione è davvero preoccupante, anche per il futuro”. 

Il protagonista di questo evento drammatico “è stato un ciclone mediterraneo insolitamente intenso per il mese di maggio, nato sulle coste del Nord Africa, risalito lungo la nostra Penisola da Sud ad iniziare dalla Sicilia, per poi interessare in modo più diretto il Centro-Nord Italia”, spiega il meteorologo Edoardo Ferrara a Bologna Today. “L’Emilia orientale e la Romagna si sono trovate nella posizione più drammaticamente sfavorita. La perturbazione infatti già di per sé era piuttosto violenta con piogge vigorose (punte di oltre 80mm anche sulle alte Marche), ma una volta raggiunta l'Emilia Romagna le precipitazioni sono state ulteriormente esasperate dal cosiddetto ‘effetto stau’”. 

In sintesi, una massa di bassa pressione, sviluppatasi sul Tirreno meridionale e carica di umidità, è rimasta intrappolata sotto due aree d’alta pressione a Ovest ed Est, fermandosi sul versante emiliano-romagnolo e protraendo la perturbazione sempre sulla stessa zona. A questo si è sovrapposto il cosiddetto ‘effetto stau’. Nel momento in cui si sono scontrate con la barriera Appenninica, le correnti hanno continuato a salire. Salendo, le correnti tendono a condensare ancora di più e così hanno scaricato quantità di pioggia ancora maggiori, in modo costante, tutta nella stessa zona.

A esacerbare le precipitazioni potrebbero aver contribuito altri due fattori, spiega ISPRA in una nota: i forti venti di bora sulla costa e l’innalzamento del livello del mare, sempre a causa del forte vento, potrebbero aver ostacolato il deflusso delle acque dall'Appennino verso il mare Adriatico, favorendo ulteriormente l’inondazione delle aree costiere. 

Perché ci sono state le alluvioni?

L’Emilia Romagna è tra le regioni italiane con le percentuali di territorio potenzialmente allagabile e di popolazione esposta al rischio di alluvione più alte, sia per il suo reticolo idrografico sia per la fitta rete di canali artificiali di bonifica, scrive ISPRA. Inoltre, l’Emilia Romagna è la seconda regione in Italia, dopo la Lombardia, per diffusione ed estensione di frane sul proprio territorio Rapporto sulle frane in Italia. Le aree potenzialmente allagabili raggiungono il 45,6% dell’intero territorio regionale e la popolazione esposta supera ampiamente il 60%. Le province con maggiori percentuali di territorio inondabile sono Ravenna e Ferrara con percentuali che arrivano rispettivamente all’80% (87% di popolazione esposta) e quasi al 100% in caso di scenario di pericolosità media da alluvioni. 

Dagli Appennini partono diversi corsi d’acqua di solito diretti verso il mare, ma la portata delle piogge e il fatto che il suolo non fosse riuscito ad assorbire l’acqua accumulata a seguito delle precipitazioni occorse all’inizio di maggio ha fatto sì che l’acqua dei corsi non defluisse verso il mare provocando esondazioni dei fiumi, allagamenti, alluvioni e frane, proprio nei territori maggiormente esposti e dove si concentra gran parte della popolazione e delle attività economiche. Infatti tutte le zone più colpite si trovano nella pianura a ridosso dell’Appennino. 

A questo si aggiunge un ulteriore fattore, ovvero la composizione del terreno. Le pianure alluvionali come la Pianura Padana sono composte essenzialmente da un’alternanza di terreni argillosi, limosi e sabbiosi. Le rocce argillose sono tra le più impermeabili in natura e così l’acqua non riesce a infiltrarsi e finisce per rimanere in superficie.

C’entra il cambiamento climatico?

Premesso che ci vorrà tempo per attribuire questo evento meteorologico estremo al cambiamento climatico, ci sono alcuni elementi che convergono verso un ruolo del riscaldamento globale e della crisi climatica. 

1) C’è stato un cambiamento della circolazione delle correnti. Come spiega il fisico del clima Antonello Pasini, “oggi il riscaldamento globale di origine antropica ha fatto mutare non solo le temperature medie, ma anche la circolazione nel nostro Mediterraneo: mentre prima la circolazione era quasi sempre in direzione ovest-est, ora spesso questa circolazione si pone lungo le direttrici sud-nord o nord-sud”. Questo si traduce in periodi di ‘bel tempo’ e ‘brutto tempo’ che permangono ognuno per più giorni sullo stesso territorio. “Nel caso di piogge, queste hanno quindi il tempo di scaricarsi maggiormente su una stessa zona, potendo creare condizioni alluvionali anche nel caso in cui le precipitazioni non siano di per sé veramente eccezionali. È esattamente quanto accaduto nei giorni scorsi in Emilia-Romagna”.

2) Studi recenti mostrano come nel Mediterraneo cominciamo ad aspettarci cicloni più rari ma più “carichi” di precipitazioni e, dunque, più violenti. Inoltre, le temperature più alte del mare su cui impattano gli influssi che arrivano sul Mediterraneo creano le condizioni per precipitazioni più violente.

3) Infine, c’è sempre una maggiore alternanza tra periodi di siccità e altri di alluvione. Anche senza la siccità, l’intensità dell’evento meteorologico che ha colpito l’Emilia Romagna avrebbe fatto danni enormi. Ulteriori studi potrebbero confermare però che il ripetersi dell’alternanza tra periodi di siccità e alluvione è un effetto del riscaldamento globale.

Si poteva fare qualcosa?

Come nel caso delle alluvioni nelle Marche, lo scorso settembre, ci si interroga sulla possibilità reale di prevedere un evento di questa gravità e sullo stato delle misure di prevenzione adottate in questi anni da Regione e Comune per limitare l’impatto di eventi estremi, purtroppo sempre più frequenti ormai a tutte le latitudini.

“Bisogna essere sinceri: intervenire su fenomeni come questo è molto difficile”, commenta Giulio Betti, meteorologo del Cnr-Lamma. “Ci sono state zone in Emilia-Romagna in cui, dal punto di vista della gestione del territorio, eravamo anche piuttosto messi bene ma per quanto i sistemi fossero preparati a ricevere precipitazioni non possono contenere una quantità d’acqua del genere. Dobbiamo metterci in testa che serve ridisegnare le città e i sistemi di smaltimento delle acque, oltre chiaramente che lavorare in una direzione univoca per combattere la crisi del clima”.

Secondo i dati forniti dalla piattaforma Rendis di Ispra, in Emilia-Romagna sono stati messi in cantiere 529 progetti e opere dal 1999 al 2022 (il 4,7% delle opere totali a livello nazionale) di cui 368 risultano concluse (il 69,5%). L’importo totale dei soldi destinati alla prevenzione è stato di 561 milioni: di questi il 45% (258 milioni) è stato utilizzato per i lavori conclusi. 

Nel 2015 l’Emilia Romagna ha sottoscritto il ‘Subnational global climate leadership memorandum of understanding', un protocollo internazionale per il controllo delle emissioni in atmosfera che impegna la Regione a una riduzione del 80% delle proprie emissioni entro il 2050. Nel 2018 è stata approvata la "Strategia per la mitigazione e l’adattamento della Regione". Il documento contiene, oltre a una valutazione approfondita del quadro delle emissioni regionali e degli scenari di cambiamento climatico futuri e in atto, un’analisi settoriale delle principali vulnerabilità e le azioni da intraprendere per ciascun settore fisico-ambientale e economico.

Già nella Strategia, la Regione individuava un aumento della desertificazione, un maggiore rischio di frane e di dissesto idrogeologico, “in relazione al più facile innesco o ripresa dei movimenti franosi e alle più frequenti piene fluviali, soprattutto nei piccoli bacini pedecollinari connessi al tessuto urbano”. In parte, quello che è accaduto in questi giorni.

Tra le azioni, la strategia prevede il potenziamento degli interventi per l’adattamento del territorio,il raddoppio delle attività di manutenzione ordinaria e straordinaria, il mantenimento e potenziamento del sistema di allertamento, il contrasto dell’erosione costiera, il rafforzamento del portale “Allerta meteo Emilia-Romagna” (“piattaforma multimediale a disposizione sia dei sindaci che di tutti gli operatori del sistema di protezione civile, dalle Prefetture ai servizi regionali territoriali già tra le più avanzate a livello nazionale”, si legge nel documento) e azioni a livello di prevenzione e di formazione per “creare una ‘cultura del rischio’ quanto più ampia possibile a tutti i livelli istituzionali, economici e sociali” e “garantire la necessaria prevenzione e ridurre la vulnerabilità dei territori, delle imprese e dei cittadini”. Infine, si invitano “tutte le amministrazioni comunali a rinnovare i loro strumenti urbanistici, azzerando le previsioni di espansione e incentrando la nuova strategia su una rigenerazione urbana che incrementi nettamente la resilienza delle città e del territorio”. 

È proprio su quest’ultimo aspetto che punta Giulio Betti: “A livello di prevenzione servirebbe un cambiamento radicale delle infrastrutture, le fognature, la gestione del territorio. Cosa che prima o poi va fatta. Quando si parla di transizione ecologica ed energetica bisognerebbe infatti pensare a una transizione soprattutto infrastrutturale: è impensabile pensare di poter affrontare altri fenomeni come quello di queste ore con le infrastrutture che abbiamo adesso”. 

Secondo Vitalba Azzollini, il PNRR potrebbe consentire di recuperare i ritardi accumulati nella realizzazione degli interventi di messa in sicurezza del territorio, a causa anche di una “pubblica amministrazione anziana, depauperata di personale, carente di profili qualificata e poco attrattiva per i talenti”. Con un recente decreto legge è stata modificata la norma - già esistente - sui poteri sostitutivi che il Governo può esercitare in caso di mancato rispetto delle scadenze nell’attuazione del PNRR. “Perché tali poteri sostitutivi non sono stati attivati per impedire i ritardi che continuano a emergere o, comunque, per realizzare interventi urgenti”, si chiede Azzollini?

E intanto continuiamo ad aspettare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, puntualmente tirato in ballo dopo un disastro idrogeologico ma drammaticamente ancora fermo al punto di partenza. I ritmi sempre più incalzanti dei cambiamenti climatici non aspettano i tempi biblici delle istituzioni e così il piano d’azione, risalente al decennio scorso, diventa sempre più obsoleto.

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L’odissea tutta italiana del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici

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