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La falsa abolizione delle Province e i risparmi non pervenuti

8 Aprile 2014 8 min lettura

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La falsa abolizione delle Province e i risparmi non pervenuti

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Aggiornamento 3 settembre 2014: Vive e vegete. Passati ormai cinque mesi dall'approvazione della riforma delle Province, a tutt'oggi questi enti restano attivi con tutte le loro competenze e funzioni. Un terreno ancora fertile per possibili accordi politici, come a Taranto, e per scontri e discussioni all'interno dei partiti in vista delle elezioni provinciali (di secondo livello) del prossimo 28 settembre - data che però potrebbe essere posticipata anche di un mese -. A far cadere la legge Delrio "in un limbo", come ha scritto Sergio Rizzo sul Corriere della sera poco più di una settimana fa, è stata  la mancanza dei decreti attuativi (che dovevano essere pronti a luglio, poi posticipati a non prima di settembre) tramite i quali una riforma prende vita.

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Dopo il controllo del rispetto delle scadenze delle promesse del governo Renzi, Valigia blu con questo post inaugura una serie di approfondimenti su alcune delle riforme che l'esecutivo guidato dall'ex sindaco di Firenze è pronto a varare. L'intento è cercare di capire, rimanendo ancorati ai fatti e fuori da ogni forma di propaganda.

• Cosa comporta la riforma Delrio?

Il 3 aprile è stata approvata definitivamente alla Camera la riforma delle Province. Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (e Roma che nella legge ha un capitolo a parte perché capitale) diventeranno città metropolitane dal 1 gennaio 2015. Il loro territorio coinciderà con quello della provincia omonima.

Gli organi della città metropolitana

Sono tre. Il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Hanno compiti differenti. Il sindaco del comune capoluogo è il sindaco metropolitano e, tra le varie funzioni, rappresenta l'ente, convoca e presiede il consiglio e la conferenza metropolitana. Il consiglio metropolitano rimane in carica 5 anni e ha il ruolo di indirizzo, controllo e ratifica di regolamenti e piani e approva anche il bilancio. Nelle città metropolitane con popolazione maggiore a 3 milioni è composto da 24 consiglieri. Diciotto in quelle con una popolazione compresa tra 800.000 e tre milioni di abitanti. In tutte le altre, i consiglieri sono 14. Il terzo organo è la conferenza metropolitana che ha invece «poteri propositivi e consultivi». È composta dal sindaco metropolitano, che la indice e presiede, e dai sindaci dei comuni della città metropolitana.

Lo statuto

È il fondamento che regola la città metropolitana. Viene redatto in una conferenza statuaria indetta e presieduta dal sindaco del Comune capoluogo. Il numero dei componenti si calcola come per il consiglio. Prepara la proposta di statuto che viene poi sottoposta al Consiglio metropolitano. Quest'ultimo poi lo presenta alla conferenza metropolitana che può adottarlo o respingerlo.

Le elezioni

Il consiglio metropolitano è «eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della città metropolitana» (articolo 1, comma 25). A essere eleggibili sono i sindaci e i consiglieri comunali in carica. Nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato per oltre il 60% del numero dei candidati. Il voto (anche tramite preferenza) viene calcolato sulla ponderazione (specificata al comma 37 dell'articolo unico) in relazione alla popolazione complessiva del proprio comune. In base a questo calcolo, il sindaco e il consigliere di un Comune con tanti abitanti avranno con la loro X un peso maggiore nella votazione (dal comma 104 al 141 la legge semplifica e favorisce l'unione e fusioni dei Comuni).
Stesso meccanismo di elezione per la conferenza statuaria. Il comma 24 specifica che in tutti questi organi (compreso il ruolo di sindaco metropolitano) l'incarico è «esercitato a titolo gratuito».

Nello statuto, come scritto nel comma 22, potrà essere inserita la possibilità di elezione diretta a suffragio universale del «sindaco metropolitano e del consiglio» (con sistema elettorale approvato da una legge statale). Condizione necessaria però è che il territorio del comune capoluogo sia stato articolato «in più Comuni» (con il conseguente aumento di cariche politiche ndr). Una suddivisione che per essere approvata deve ottenere la maggioranza in un referendum tra tutti i cittadini della città metropolitana.

Le funzioni

Le 10 città metropolitane acquistano le funzioni fondamentali delle province. In più, si occuperanno della pianificazione territoriale generale e della gestione e organizzazione dei servizi pubblici. Ai nuovi enti passano anche il «personale e le risorse strumentali della provincia (...) in tutti i rapporti attivi e passivi». Gianni Trovati, sul Sole 24 ore, ha fatto notare che nei bilanci delle Province ci sono 10,3 miliardi di euro di debiti. «Il passivo più grande – commenta il giornalista - arriverà a Roma, dove i 773 milioni di debito della Provincia apriranno un nuovo capitolo nella già ricca storia dei debiti del Campidoglio».

• Ma le Province che fine fanno?

Rimangono, passando da 107 a 97. In attesa della loro cancellazione che avverrà con l'abolizione del titolo V della Costituzione, vengono però riformate in enti di secondo livello e diventano assemblee di sindaci.

Come?

Il presidente non viene più eletto dai cittadini ma è scelto (con lo stesso sistema di ponderazione visto sopra) tra i sindaci della Provincia tramite il voto dei consigli comunali di quel territorio. Il periodo dell'incarico si abbassa di un anno, arrivando a quattro. Stessa procedura anche per il consiglio di Provincia (eleggibili in questo caso oltre ai sindaci anche i consiglieri comunali) che resta in carica per due anni, rispetto ai cinque precedenti. Il numero dei consiglieri provinciali si riduce, passando ad esempio nelle zone con una popolazione superiore a 700.000 abitanti da 28 a 16. Gli incarichi nei tre organi della Provincia – presidente, consiglio, assemblea dei sindaci – sono svolti a «titolo gratuito» (comma 84).

Le funzioni

Alle Province restano alcune funzioni come ad esempio la pianificazione territoriale e dei servizi di trasporto del proprio territorio e la gestione dell'edilizia scolastica. Nel passaggio ai nuovi enti il personale (quasi 60.000 persone) mantiene il medesimo contratto e la stessa busta paga.

• E quanto si risparmia?

Trentandue milioni, 160 milioni oppure due miliardi di euro? Il dibattito al riguardo in questi giorni è stato molto acceso. Simone Cosimi, in un articolo su Wiredha scritto che «la svolta raccontata dal governo Renzi fa leva più sul dato politico che su quello sostanziale degli enti». Il giornalista, basandosi su uno studio dell’Upi (Unioni delle Province d’Italia), mostra come rispetto a un costo del provvedimento di 2 miliardi di euro, il risparmio che si ottiene sia di 32 milioni di euro («la cifra corrispondente all’indennità degli amministratori», ha spiegato Antonio Saitta, presidente dell’Api). Inoltre, continua Cosimi, «secondo l’Upi, le spese per gli organi istituzionali, cioè per far funzionare la macchina provinciale italiana, ammontano ad appena 78 milioni di euro. Questo è quanto si potrebbe effettivamente risparmiare dalla loro abolizione». La spesa di questi enti invece si aggira sui 10 miliardi di euro e nello studio viene chiarito che questa cifra rimarrà intatta perché destinata a servizi essenziali per gli abitanti (edilizia scolastica, urbanistica e viabilità, tutela ambientale, ecc).

Numeri totalmente differenti sono stati forniti da Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri. Intervistato a dicembre dello scorso anno, quando ricopriva la carica di ministro degli Affari regionali nel governo Letta, parlò di 160 milioni di «risparmi certi dovuti al fatto che 5mila politici (3 mila secondo le ultime dichiarazioni ndr) non verranno più pagati», stimando anche ulteriori benefit per le casse dello Stato per via dello svuotamento di alcuni funzioni «come turismo, cultura, sport, promozione di fiere ». «Noi presumiamo - concludeva Delrio - risparmi attorno al miliardo di euro. Ma c'è chi, come l'istituto Bruno Leoni, ritiene anche di più (Il noto centro studi italiano ha pubblicato un focus dal titolo “Quanto costano le province?” in cui il risparmio stimato arriva ai due miliardi di euro ndr)».

Il 16 gennaio scorso, la Corte dei Conti si era espressa in audizione in commissione Affari istituzionali sul ddl Delrio. Nel capitolo della relazione “costi e risparmi attesi” i giudici contabili hanno puntualizzato come «nell’immediato, i risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi». Parere nel complesso già esposto nella stessa sede, un paio di mesi prima (il 6 novembre 2013):

«Sotto il profilo dei possibili risparmi è da evidenziare che le economie attese dovrebbero riguardare essenzialmente parte della spesa per gli organi di direzione politica nonché gli oneri per le consultazioni elettorali.
Solo per queste voci di spesa è possibile stimare, sulla base dei pagamenti registrati nel SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti pubblici) per quanto riguarda la spesa complessiva delle Province con riferimento all’anno 2012, un risparmio annuo oscillante tra i 100 e i 150 milioni di euro»

Nella stessa occasione la Corte aveva aggiunto che «ulteriori riduzioni sono ipotizzabili all’intera spesa della Funzione I del bilancio provinciale (funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo)» che, nel 2012, era stata di circa 2,1 miliardi. Tagli di difficile realizzazione perché, continuavano i giudici, si tratta di «un coacervo di voci di spesa indifferenziate».

• Le critiche

Dubbi e obiezioni alla riforma si sono concentrate in questi mesi di gestazione. LaVoce.info ha pubblicato il 3 aprile scorso un dossier sul ddl Delrio. All'interno si possono leggere dati, considerazioni che riassumono molte delle critiche che sono state mosse al testo di legge partito con il governo Letta e giunto al traguardo con l'esecutivo guidato da Matteo Renzi.

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Ad esempio, Luigi Olivieri, dirigente dell'area funzionale servizi alla persona e alla comunità della Provincia di Verona e collaboratore de laVoce.info, oltre a evidenziare l'«espropriazione per i cittadini della provincia della rappresentatività elettorale» nel suo post spiega come la legge non porterà una reale semplificazione, come più volte dichiarato dal sottosegretario Delrio, ma sarà causa di confusione tra il depotenziamento di province, la contemporanea nascita di 10 città metropolitane e la conseguente frammentazione dell’assetto istituzionale (rischi sollevati anche dalla Corte dei conti nella audizioni di novembre e gennaio scorsi).

Inoltre, sempre nel dossier si può leggere come il passaggio di funzioni, competenze e personale da un ente all'altro può portarsi dietro un aggravio per le casse dello Stato. Nella legge Delrio, ad esempio, al comma 135 dell’articolo unico, viene scritto che nei Comuni tra i 3000 e i 10.000 abitanti il numero di consiglieri aumenta. Risultato: migliaia di posti in più. L’operazione, specifica il provvedimento, non porterà con sé costi aggiuntivi, ma delega ai Comuni come evitarli (comma 136). «Lavoreranno tutti gratis? O gli altri consiglieri si faranno un’autoriduzione dei loro compensi?», si domanda l'economista Tito Boeri.

 

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