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Dossier sulla povertà in Italia

12 Luglio 2016 14 min lettura

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Dossier sulla povertà in Italia

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di Angelo Romano e Andrea Zitelli

Il tema delle marginalità sociali è stato una delle chiavi di lettura più utilizzate per spiegare l’esito delle ultime elezioni amministrative. In diverse città importanti, come Roma, Torino e Bologna, amministrazioni e leadership, che sembravano consolidate, sono state messe in forte discussione.

Le periferie, utilizzate in larga parte come metafora delle diseguaglianze sociali, sono divenute il simbolo di un punto di svolta politico e amministrativo. Le periferie estreme (ai limiti e oltre il Grande Raccordo Anulare) e quelle storiche (come Tiburtino, Tufello, Prenestino, Cinecittà) segnano la vittoria di Virginia Raggi a Roma, a Bologna, il candidato del Pd, Virgino Merola, sindaco uscente e poi rieletto, perde più consensi nelle sezioni delle aree più povere, a Torino, si è fatta strada la narrazione delle due città: la Torino che sfavilla e quella che soffre. Chiara Appendino, secondo le analisi del voto, sarebbe riuscita a essere credibile a tutti gli esclusi.

Già due anni fa, Luca Ricolfi, all’indomani delle elezioni europee, scriveva che i partiti erano incapaci di vedere sei milioni di deboli, di persone escluse dal mercato del lavoro, che per la loro bassa posizione sociale hanno scarso controllo sul proprio destino.

Proprio ieri, inoltre, è iniziata alla Camera la discussione del disegno di legge delega del governo sul contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Un primo testo che si pone grandi obiettivi ma che ha già avuto diverse critiche.

Povertà assoluta in Italia
Il rischio povertà in Italia
Cosa prevede la legge delega del governo
La povertà in Europa e il confronto con l'Italia

Povertà assoluta in Italia

Secondo l’Istat, nel 2015, ultimo dato disponibile, il 7,6% (cioè 4 milioni e 598mila cittadini) della popolazione italiana si trova in condizione di povertà assoluta (calcolata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale). Si tratta, specifica l'Istituto di statistica, del "valore più alto dal 2005". Una situazione che riguarda un milione e 582mila famiglie residenti in Italia.

Dopo che nel 2012 era salita al 5,6%, l’incidenza di povertà assoluta è rimasta stabile intorno al 6% negli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è in crescita in termini di individui (7,6% nel 2015, 5,9% nel 2012).

Dati leggermente più alti rispetto a quelli del 2014, che avevano registrato una stabilizzazione della povertà assoluta, portando il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ad affermare: «L'Italia ha oggettivamente svoltato ma c'è ancora tanto da fare». A questa valutazione ottimistica, Chiara Saraceno, sociologa che da anni studia il tema della povertà, aveva risposto, intervistata su Vice Italia, che la "svolta" ci sarebbe stata «con la diminuzione della povertà» mentre invece «questa è solo una battuta d'arresto di un trend negativo [...]. Anche perché veniamo da tre anni di aumento costante, e negli ultimi due anni questi aumenti erano stati sensibili».

I fattori che incidono: diseguaglianza Nord-Sud, famiglie numerose, titolo di studio di basso livello e giovane età

L’impatto della povertà assoluta, inoltre, non è lo stesso su tutta la popolazione coinvolta. Sono diverse le cause che incidono sullo stato di miseria di una famiglia o di una persona: zona geografica di nascita o residenza, numero di persone nel nucleo familiare, stato sociale, titolo di studio, ecc.

Il fenomeno, ad esempio, è più diffuso al Sud, rispetto al Centro e Nord Italia. Sono infatti 744mila le famiglie nel Mezzogiorno (l’9,1% del totale) – che corrispondono a circa 2 milioni di persone (il 47% del totale) – in stato di povertà assoluta, certifica sempre l’Istat.
Sempre riguardo il territorio italiano, cambiano inoltre le aree di disagio tra Nord e Sud: “in media, l’incidenza della povertà assoluta è più alta nei Comuni di area metropolitana. I valori più alti si registrano nel Mezzogiorno per i grandi Comuni, al di sopra cioè dei 50mila abitanti (9,8%), le periferie di area metropolitana (8,4%, quasi il 3% in più rispetto al 2014) e per gli altri Comuni (8,8%). Nel Centro per i grandi Comuni e le periferie di area metropolitana (6,4%), mentre nel Nord per i Comuni di area metropolitana (9,8%)”.

Secondo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), nel suo ultimo rapporto (del 2015) sullo stato dell’economia del Sud, questa disuguaglianza tra Centro-Nord e le regioni meridionali che dura da tempo e che si è ampliata negli ultimi anni per effetto della crisi iniziata otto anni fa che ha lasciato in eredità al Sud un vero e proprio tracollo occupazionale con 576mila posti persi nel solo Mezzogiorno rispetto agli 811mila complessivi spariti in Italia tra il 2008 e il 2015, “costituisce una determinante strutturale della disuguaglianza italiana complessiva” e può incidere nella crescita dell’Italia.

Per quanto riguarda le famiglie, l’Istat ha registrato che nei nuclei con più persone l’incidenza della povertà assoluta aumenta: “con cinque o più componenti (si arriva al 17,2%), soprattutto se coppie con tre o più figli (13,3%)". Peggiorano le condizioni delle famiglie composte da quattro persone (si passa dal 6,7% del 2014 al 9,5% del 2015), in particolare delle coppie con due figli (dal 5,9% all'8,6%).

Una situazione quindi che vede da una parte le coppie con più figli maggiormente in difficoltà economica rispetto a quelle con un solo figlio e al nucleo familiare formato da una sola persona anziana. Inoltre, denuncia l’Associazione Nazionale Famiglie Numerose “dal 2006 al 2014 l’incidenza di povertà assoluta per le famiglie con 3 e più figli minori è più che triplicata, passando dal 6% al 18,6%”.

Ci sono anche altri due fattori tra le cause dell’aumento della povertà nelle famiglie: la bassa età e il basso titolo di studio della persona di riferimento. L’incidenza di povertà assoluta, infatti, cala con l’aumentare dell’età e del titolo di studio della persona di riferimento.
Le conseguenze dalla contrapposizione tra giovinezza e vecchiaia non si fermano solo alle famiglie ma coinvolgono anche i singoli individui: gli over 65 infatti sono meno poveri dei più giovani.

Risultati dovuti anche al fatto che nel corso degli anni, soprattutto durante la recente crisi, l’incidenza e i profili della povertà assoluta si sono modificati: il cambiamento più evidente ha riguardato i giovani, anche al Centro-Nord, che hanno avuto difficoltà nel sostenere il peso economico della prima fase del ciclo di vita familiare. Una situazione dovuta alla scarsa e precaria domanda di lavoro.

Nello stesso tempo c’è stato un miglioramento della condizione degli anziani, tranne che per le donne con la loro pensione di importo modesto e che sempre più spesso vivono con figli che non riescono con facilità a raggiungere un’indipendenza economica. Dal 2009 al 2014 si è registrato infatti un aumento progressivo della quota di persone che vivono in situazioni di sovraffollamento abitativo: dal 23,3% si è passati al 27,3%.
“La presenza di trasferimenti pensionistici”, spiega l’istituto nazionale di statistica, “ha rappresentato un’importante rete di protezione, che in molti casi ha impedito il peggioramento della condizione economica delle famiglie”.

Inoltre, come documenta la Banca d’Italia, “l’incidenza della povertà è più elevata nelle famiglie nelle quali il capofamiglia è un disoccupato, ma avere un lavoro non mette al riparo dal rischio di povertà”. Si tratta dei cosiddetti working poor, cioè “i poveri da lavoro”. La sociologa Saraceno spiega che ci sono varie cause dietro questo fenomeno, non presente solo in Italia, anche se è più diffuso che nel resto d’Europa:

«Innanzitutto ci sono molti lavori pagati molto poco. Inoltre il nostro è un paese in cui le famiglie monoreddito sono più numerose della maggioranza dei paesi sviluppati, perché il tasso di occupazione femminile è più basso. Infine, non abbiamo un sistema universalistico di trasferimenti monetari alle famiglie, e quello che c'è non è nemmeno tanto generoso. Non a caso, sono le famiglie operaie che corrono più il rischio di essere working poor. In più con la crisi, ma questo è successo anche in altri paesi europei, è aumentato molto il part-time involontario e i lavori insicuri».

La povertà è più accentuata nelle famiglie di stranieri

Una situazione ancora più difficile invece la vivono le famiglie con stranieri. La povertà assoluta infatti è più diffusa rispetto a quelle formate da soli italiani: l’incidenza per queste ultime è pari al 4,4% (in miglioramento rispetto al 5,1% del 2013), mentre per le famiglie miste è il 14,1% (più 1,2% rispetto al 2014). Ancora peggiore è la condizione delle famiglie composte da soli stranieri: l’incidenza della povertà assoluta raggiunge in questo caso il 28,3%, segnando un aumento di quasi il 5% rispetto all'anno precedente. Ragionando a livello territoriale, la povertà tra le famiglie di stranieri è stimata essere al Nord 16 volte superiore e al Centro 10 volte a quella delle famiglie di italiani, nel Mezzogiorno risulta circa tripla.

In Italia vive 1 milione di minori in povertà assoluta

Di questo disagio economico a risentirne di più sono i minori all’interno delle famiglie. Nel 2014, certifica sempre l’Istat, il fenomeno ha riguardato 571mila famiglie: gli under 18 coinvolti sono stati 1 milione e 45mila, pari al 10% dei minori residenti in Italia. Un numero che è raddoppiato rispetto a cinque anni fa e triplicato se si guarda al 2008.

Nell’identikit di questi minori si legge che: la maggior parte vive al Nord e nel Mezzogiorno; la classe di età più coinvolta (l’11,2%) è quella dai 14 ai 17 anni, ma poiché i minori tra i 7 e i 13 anni sono più numerosi, è questa la fascia in cui si ha il numero maggiore di ragazzi in povertà assoluta; la quasi totalità ha genitori con un titolo di studio non elevato (nel 97% dei casi si tratta del diploma di scuola media superiore); la maggioranza ha un solo genitore occupato (60%), per lo più con un basso profilo professionale.
Infine, i minori stranieri rappresentano quasi i due terzi (il 63%) dei minori in povertà assoluta nel Nord e il 14% nel Mezzogiorno. In totale, su 1 milione e 45 mila minori, 430 mila sono stranieri.

via Lettera43
via Lettera43

Il rischio povertà in Italia

Più di una persona su quattro in Italia è a rischio povertà o esclusione sociale. Le stime dell’Istat si riferiscono al 2014 e riguardano il 28,3% della popolazione, circa 17 milioni di italiani: in particolare il 19,4% è a rischio povertà, l'11,6% vive in famiglie con grave deprivazione materiale e il 12,1% in famiglie a bassa intensità lavorativa.

Nel dettaglio, quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (cioè il 45,6%) è a rischio di povertà o esclusione sociale: “in tutte le regioni del Mezzogiorno i livelli sono superiori alla media nazionale, viceversa i valori più contenuti si riscontrano in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto”.

Cosa prevede la legge delega del governo

In Italia a livello nazionale, i governi non hanno mai affrontato il problema della povertà con una misura strutturale (a parte singole iniziative locali di Regioni e Comuni italiani e le ultime proposte, arrivate negli ultimi tre anni da diverse parti politiche, dell’introduzione di un reddito minimo garantito, cioè una misura che concede un sussidio limitato nel tempo in base al reddito e al patrimonio di chi ne fa domanda).

Come ricorda infatti Bankitalia, nel 2010 l’Italia si era impegnata a ridurre il numero delle persone in povertà a circa 13 milioni nell’ambito della strategia Europa 2020. Ma il sistema di protezione sociale italiano è tuttora privo di uno strumento universale di contrasto alla povertà: le misure esistenti, infatti appaiono poco efficaci e scarsamente mirate, sia nel caso dei trasferimenti monetari sia nel caso dei servizi.

Il governo, quindi, con questo disegno di legge delega, punta per la prima volta a un intervento strutturale. Il 9 marzo il Parlamento ha votato definitivamente il testo, che diventa legge. Ora il governo avrà sei mesi di tempo per:

a) Introdurre una misura nazionale di contrasto alla povertà e dell'esclusione sociale, da garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;

b) Riordinare le prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, escluse le pensioni di anzianità, vecchiaia e invalidità e le prestazioni a sostegno della genitorialità;

c) Coordinare gli interventi in materia di servizi sociali per garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni per i cittadini.

La misura nazionale di contrasto

La misura prevede l’erogazione di un beneficio economico e di servizi (mediante progetti personalizzati). Le persone potranno così beneficiarne dopo verifica dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e a patto che partecipino a un progetto personalizzato di inclusione sociale e lavorativa che consenta loro l’affrancamento dalla condizione di povertà.

Secondo quanto si legge nel testo, il provvedimento è inteso come il rafforzamento, l’estensione e il consolidamento dell’esperienza della carta di acquisti SIA (Sostegno per l’inclusione attiva), già sperimentata in 12 città con più di 250mila abitanti, il cui introito va ora da un minimo di 231 a un massimo di 404 euro mensili, a seconda della grandezza del nucleo familiare.

Inoltre, sulla base di quanto stabilito dalle legge di stabilità 2016, il provvedimento prevede un incremento del beneficio e l’estensione dei beneficiari, individuati prioritariamente tra i nuclei con figli minori, con disabilità grave, con donne in stato di gravidanza accertata o con persone con più di 55 anni in stato di disoccupazione.

I fondi

La misura verrà finanziata con le risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, istituito dal comma 386 della legge di stabilità 2016.

Al Programma sono destinati 600 milioni di euro nel 2016 (380 milioni di euro, incrementando il Fondo per i cittadini meno abbienti istituito dal decreto legge n.112/2008 e 220 milioni dall’incremento di spesa dell’assegno di disoccupazione (ASDI)), con un aumento di risorse pari a 1,03 miliardi di euro per il 2017 e 1,054 miliardi a decorrere dal 2018.
I progetti saranno potenziati anche da risorse afferenti ai Programmi Operativi Nazionali (PON) e Regionali (POR), utilizzando i fondi strutturali europei 2014-2020.

I progetti territoriali

L’omogeneità territoriale degli interventi sarà garantita dall’istituzione di un organismo di coordinamento presieduto dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, che dovrà monitorare e valutare di volta in volta l’attuazione dei progetti specifici. I progetti personalizzati saranno predisposti da un’équipe multidisciplinare costituita dagli ambiti territoriali interessati e dalle amministrazioni competenti sul territorio. Gli ambiti territoriali più efficienti nelle gestione dei servizi sociali saranno premiati con una maggiore distribuzione di risorse.

Le critiche alla legge

È stata in particolare l’Alleanza Italiana contro la Povertà a porre critiche sull’esiguità dei finanziamenti. Così come strutturato, il disegno di legge ha come orizzonte massimo la stabilizzazione di 3 poveri su 10, mentre le premesse erano quelle di una costruzione graduale di un sostegno rivolto a tutti coloro che si trovassero nella condizione di povertà.

Come ha dichiarato in un’intervista a Vita.it Francesco Marsico, coordinatore esecutivo dell’Allenza contro la Povertà, si tratta «di una misura di risorse insufficiente, sia per quanto riguarda la parte economica che noi stimiamo in un ammontare complessivo di risorse fra i 6-7 miliardi di euro».

L’onorevole Giulia Di Vita del MoVimento 5 Stelle, invece, punta l’attenzione sul rischio che il disegno di legge si riveli essere una misura assistenziale di sostegno al reddito più che uno strumento di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale. Inoltre per la deputata cinque stelle la legge mantiene un approccio di fondo non universale, che ancora ragiona per categorie come gli anziani, i disabili e i minori.

Alle critiche ha risposto la relatrice del disegno di legge, Ileana Piazzoni del PD, dicendo che per quanto restino ancora le categorie, l’obiettivo è arrivare a una misura universale: «Intanto credo che oggi si disegna la prima misura di reddito minimo che ci sia mai stata in Italia. È chiaro che lo stanziamento non è sufficiente. Un punto su cui abbiamo voluto fare chiarezza è la definizione della platea, indicata dalla povertà assoluta, con il riferimento alla “vita dignitosa”».

Per quanto riguarda i finanziamenti, Piazzoni spiega che il fondo non si basa solo sullo stanziamento strutturale e sull’assorbimento delle altre misure ma deve ricevere risorse anche da altri provvedimenti legislativi: «il nostro obiettivo è lo stesso dell’Alleanza contro la Povertà, aumentare nel tempo lo stanziamento».

La povertà in Europa e il confronto con l'Italia

Secondo le ultime rilevazioni dell’Eurostat, nel 2014, 122 milioni di persone (pari al 24,4% della popolazione totale) erano a rischio di povertà o di esclusione sociale nell’Unione europea. Tra i principali paesi dell’Ue l’Italia registra il dato più alto dopo la Spagna (29%), maggiori sono solo i valori di alcuni Stati dell’Europa dell’est come Romania, Bulgaria, Grecia, Ungheria e Lettonia.

Nello specifico, negli Stati membri dell’Unione europea si registra un tasso di basso potere di acquisto del 17,2% (in aumento dello 0,5% rispetto al 2013). Due punti percentuali sopra la media europea è il dato dell’Italia.

Fonte: Eurostat
Fonte: Eurostat

Sono 41 milioni le persone che vivono nei 28 paesi dell’Unione europea in condizioni di grave deprivazione materiale (l’8,2% della popolazione totale), cioè persone incapaci di poter pagare l’affitto e le spese di riscaldamento, di avere un’alimentazione adeguata e alcuni beni materiali come una lavatrice, un televisore o un telefono.
Per quanto riguarda l’Italia, sono 7 milioni gli italiani che vivono in condizioni di grave deprivazione materiale (l’11,5% della popolazione), facendo dell’Italia il paese europeo con più poveri in termini assoluti.

via Internazionale
via Internazionale

Il 10,7% della popolazione europea è, infine, nella condizione di bassa intensità lavorativa (vale a dire persone che lavorano in media meno di un quinto del tempo disponibile in un anno). Anche in questo caso, i valori variano tra i diversi Stati membri dell’Ue: si va dal 7% di paesi come Romania, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Norvegia, Islanda e Svizzera a percentuali oltre il 12% di Portogallo, Regno Unito, Danimarca, Ungheria, Croazia, Spagna, Grecia e Italia.

via Eurostat
via Eurostat

La povertà può essere ridotta mediante misure di protezione sociale. Confrontando gli indicatori di rischio di povertà prima e dopo i trasferimenti sociali, si vede che nel 2014 nei paesi Ue l’8,9% della popolazione non è più sotto la soglia di povertà. Nel dettaglio, emerge che l'impatto di queste prestazioni è stato bassa in Romania, Grecia, Bulgaria, Lettonia, Polonia, Estonia e in Italia.

via Eurostat
via Eurostat

Infatti, come sottolineato da Bankitalia, nonostante l’Italia impieghi per le misure di contrasto della povertà il 51,2% della spesa delle amministrazioni pubbliche, il 3% in più della media degli Stati dell’Unione europea e quasi il 2% dei paesi in area euro, la riduzione del rischio di povertà ed esclusione sociale dovuta ai trasferimenti sociali (pensioni incluse) è molto minore alla media degli altri paesi europei e dei principali paesi dell’area dell’euro.

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Osservando i dati nel dettaglio, ci si accorge che il nostro welfare è relativamente più sbilanciato (il 6% in più dei paesi Ue) a tutela dei bisogni tipicamente legati all’età (pensioni di vecchiaia e anzianità, malattia, disabilità) rispetto agli altri paesi europei. Spendiamo meno in sanità e istruzione (circa il 3%) e nei fondi per la famiglia e per la disoccupazione. La nostra spesa pro capite per famiglia, disoccupazione e abitazioni è in media di 709 euro (il 13% della spesa sociale in Italia), circa il 7% in meno alla media dell’area euro (corrispondente a 1160 euro).

[Foto anteprima via "Miseria Ladra"]

Aggiornamento 9 marzo 2017, ore 16:20 > Il testo è stato modificato per l'approvazione definitiva del disegno di legge delega di contrasto alla povertà.

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