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Crollo Ponte Morandi, il punto su: inchiesta giudiziaria, ‘revoca’ concessione, lavori ricostruzione

13 Settembre 2018 29 min lettura

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Crollo Ponte Morandi, il punto su: inchiesta giudiziaria, ‘revoca’ concessione, lavori ricostruzione

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Aggiornamenti

17 settembre 2018: l'articolo è stato aggiornato con la notizia secondo cui ci sarebbe stato un difetto di costruzione degli stralli del Ponte Morandi.
25 settembre 2018: l'articolo è stato aggiornato con il contenuto della relazione della Commissione ministeriale sul crollo del Ponte Morandi.
27 settembre 2018: l'articolo è stato aggiornato con il contenuto del decreto su Genova

Alle 11.36 del 14 agosto scorso una parte del "Ponte Morandi" di Genova, dove correva l'autostrada A10 sopra il torrente Polcevera, crolla. 43 persone muoiono tra le macerie.

La procura del capoluogo ligure sta portando avanti l’inchiesta che punta a far luce sulle cause e sulle responsabilità di quanto avvenuto. Da parte del Ministero dei Trasporti, guidato da Danilo Toninelli, è stata invece istituita una Commissione ispettiva per svolgere verifiche e analisi tecniche sul crollo. Il governo Conte ha inoltre avviato l'iter per bloccare la concessione tra lo Stato e la società Autostrade per l'Italia. In città intanto gli sfollati, che hanno dovuto lasciare le proprie case coinvolte nel crollo del viadotto, chiedono tempi certi nelle soluzioni e misure adeguate, mentre è ancora incerto a chi spetterà la ricostruzione del nuovo ponte.  

A un mese dalla tragedia proviamo a fare il punto su quanto accaduto, ricostruendo tutti gli aspetti di una dolorosa e complessa vicenda per offrire un quadro completo di tutto ciò che è finora emerso. Vicenda che continueremo a seguire.

L'inchiesta della magistratura (13 minuti)
A che punto è l’iter della decadenza della concessione ad Autostrade (5 minuti)
La situazione degli sfollati e la ricostruzione del ponte (2 minuti)

L'inchiesta della magistratura

  • Perché il ponte è crollato?

Francesco Cozzi, il procuratore capo di Genova, al termine di un primo sopralluogo nella zona del ponte, ha dichiarato che quanto accaduto «non è stata una fatalità»: «Noi dobbiamo rispondere a una sola domanda: perché è successo?». Cozzi ha specificato che il lavoro delle indagini sarebbe stato quello di «entrare nel vivo e accertare le possibili cause che hanno determinato il crollo della struttura», analizzando la fasi di progettazione, realizzazione e manutenzione dell'opera.

Il procuratore ha escluso innanzitutto ipotesi definite «deliranti e fantasiose», come quella avanzata da qualcuno di un attentato, perché «sulla base degli elementi noti e conosciuti non ci sono evidenze di esplosioni né sono state trovate tracce di bombole di acetilene».

Le prime supposizioni che emergono dal lavoro degli inquirenti e della Commissione ministeriale si concentrano su due ipotesi principali. 

“In primo luogo – ha scritto il Corriere della Sera – si pensa alla rottura di uno degli stralli (ndr cioè dei tiranti) del pilone numero 9 che avrebbe provocato la caduta del piano stradale e il successivo crollo del pilone. Cosa avrebbe provocato però il cedimento dello strallo precompresso (enormi cavi d’acciaio rivestiti in calcestruzzo) è ancora da capire”. La Commissione ministeriale elenca vari fattori concatenati che possono aver favorito questa situazione: «Invecchiamento della struttura e dei materiali, inquinamento locale come umidità e salsedine, e un aumento negli anni del traffico leggero e pesante sul ponte».

L’altra possibilità riguarda invece “un cedimento strutturale delle 'mensole' o 'seggiole' sulle quali appoggia l’enorme piano stradale del Morandi. Si tratta di strutture simili appunto a mensole sulle quali sono posizionati gli impalcati stradali. In questo caso sarebbe stato il cedimento di uno dei tratti di strada ad innescare un effetto domino e a provocare la successiva rottura dello strallo e il crollo del pilone”.

Nei primi giorni dell'indagine, tra le possibili cause del crollo, si è parlato anche della presenza di un carroponte che, secondo fonti della procura citate dai media, avrebbe potuto caricare ulteriormente una “soletta” già ridotta male. Questa ipotesi è stata respinta da Hubert Weissteiner, il direttore di Weico di Velturno, la ditta che stava lavorando alla manutenzione del ponte. Weissteiner ha dichiarato che il carroponte al momento del crollo non era ancora stato montato e che comunque il suo peso sarebbe stato "un quarto di un tir", quindi non eccessivo. Riguardo tale questione, il procuratore Cozzi ha poi affermato che si stava parlando solo di «un'eventualità» che «potrebbe essere stata del tutto irrilevante» e che sarà valutata dai consulenti tecnici. L’ipotesi del carroponte rientrava infatti nei quesiti che i pm hanno fornito ai consulenti tecnici chiedendo «di individuare i fatti che possano essere possibili cause».

Con il passare dei giorni si è fatta più solida l'ipotesi della rottura dello strallo del viadotto. Antonio Brencich, docente dell'università di Genova ed ex membro della commissione dei Trasporti ha dichiarato infatti che la rottura di uno dei tiranti «è un’ipotesi di lavoro seria», mentre altre come «la pioggia, (...) l’eccesso di carico» sarebbero ipotesi fantasiose e che pertanto «non vanno prese neanche in considerazione».

La stessa ipotesi è stata rilanciata anche dal New York Times, in base a quanto raccolto tramite “interviste con decine di soccorritori, investigatori ed ingegneri esperti, insieme all’esame dei video ripresi da droni ed elicotteri e alle macerie stesse”. Il giornale statunitense ha citato inoltre Vijay K. Saraf, ingegnere senior di Exponent, uno studio di consulenza per infrastrutture e costruzioni di Menlo Park in California: “Tutto ciò che è noto oggi suggerisce il cedimento degli stralli a Sud”. Possibilità che trova un riscontro anche nelle dichiarazioni di due testimoni oculari raccolte da Repubblica e Fanpage.

Secondo uno scenario fornito dai consulenti della Procura di Genova, a corrodere e arrugginire i cavi di acciaio all'interno dello strallo che ha ceduto sarebbe stata una bolla d'aria all'interno del tirante di calcestruzzo. Il difetto, riporta l’Ansa, sarebbe sorto durante la fase di "iniezione" del cemento che ingloba i trefoli, cioè i cavi in acciaio: “Già negli anni '80, lo stesso ingegnere Riccardo Morandi, in uno studio commissionato da Autostrade, aveva sottolineato corrosioni più sul lato mare che su quello monti. Una degradazione ‘più rapida di quello che ci si potesse aspettare’”.

via The New York Times

Lo stesso articolo del New York Times, nel ricostruire la storia del progetto dell’ingegnere Morandi, specifica che l’ideatore aveva deciso “di sospendere l’impalcato dagli stralli (...). L’ingegner Morandi pensava che con questo sistema si sarebbe ridotta l’oscillazione del ponte e gli ingegneri strutturali all’epoca sembravano d’accordo. Credeva anche che il rivestimento in cemento avrebbe protetto i cavi d’acciaio dai danni dell’usura. «Le strutture di calcestruzzo sembravano essere eterne», dice Majowiecki. «Quella era la mentalità di allora». Purtroppo, aggiunge, Morandi si sbagliava di grosso”.

Così, continua il quotidiano americano, “il calcestruzzo di allora risultò essere altamente vulnerabile al degrado e sul viadotto Polcevera la situazione era peggiorata ulteriormente dall’aria salmastra del mar Mediterraneo e dalle emissioni delle fabbriche vicine. Le fessurazioni nello scheletro di calcestruzzo permettevano all’acqua di penetrare e l’acciaio iniziò a corrodersi quasi in contemporanea con l’apertura al traffico del ponte nel 1967. In più, diversamente dai cavi scoperti, sul viadotto Polcevera la corrosione era nascosta all’interno del calcestruzzo e difficile da localizzare”.

Antonino Saggio, architetto e urbanista che insegna Progettazione Architettonica e Urbana all'università La Sapienza di Roma, specifica anche che proprio gli stralli erano «la parte più debole del ponte Morandi, tanto che negli anni '90 alcuni furono 'fasciati' e rinforzati e nel 2017 erano stati appaltati nuovi interventi”, non realizzati da Autostrade per l’Italia.

Inoltre, in base a quanto emerso da un report dei consulenti della Procura, negli stralli del ponte "potrebbero esserci difetti originari e una differenza fra ciò che era stato progettato e come questo è stato effettivamente realizzato", scrive il Secolo XIX: "Meno cavi di quelli previsti dal progetto originario. Un’assenza talmente diffusa di guaine protettive di quegli stessi cavi, in determinati punti, tale da far presumere un deterioramento completo, un utilizzo di materiali di montaggio quantomeno carente o addirittura una fase realizzativa dell’opera in cui si è passati sopra a componenti che, sulla carta, erano ritenuti fondamentali".

  • Sono state sottovalutate o ignorate criticità del viadotto?

Le indagini stanno accertando «se ci siano state sottovalutazioni» che hanno portato poi al crolloAd emergere infatti dalle prime analisi dei consulenti incaricati dalla Procura è che il viadotto era “malato” da tempo, sia nella parte Est che in quella Ovest. «È stato accertato – ha dichiarato il procuratore Cozzi – uno stato severo di degrado anche del moncone del lato ovest di ponte Morandi. Il grado di gravità del lato est è un risultato di una misurazione che era stata fatta dagli organi tecnici». Il magistrato ha specificato anche che lo stato di gravità della parte ovest di ponte Morandi «è precedente al crollo del viadotto».

via Ansa Centimetri

Tra le carte in mano agli inquirenti c’è anche un relazione del 1994 di un gruppo di ingegneri e tecnici presentata all’International Symposium & Exibition on Cable Stayed Bridge di Shanghai, in Cina, e intitolata “Il risanamento degli stralli del viadotto Polcevera”. A firmarla anche l’architetto Michele Donferri Mitelli, nominato poi direttore della manutenzione ordinaria, straordinaria e degli investimenti di Autostrade. Nel testo, riporta il Corriere della Sera, si analizzava lo stato di salute dei piloni del ponte.

Per quanto riguarda il pilone 11, messo in sicurezza nei primi anno ‘90,  venivano evidenziati i livelli di rischio valutando la «perdita della capacità portante», la «distribuzione delle tensioni» e la «perdita del tiro» di ogni singolo cavo. «In definitiva tale controllo ha evidenziato le differenti condizioni critiche di ogni strallo e ha permesso di calibrare gli interventi in relazione ai singoli stati di degrado». Sul numero 10 si legge che «gli interventi sono stati di carattere locale» poiché «la situazione critica era concentrata nella sezione di attacco della sommità della torre e quindi gli interventi sono stati limitati a queste zone». Riguardo invece il numero 9, quello crollato, nella relazione si leggeva che «poiché gli stati di corrosione erano più limitati sia nei cavi secondari che principali, non si è proceduto ad alcun intervento. Il monitoraggio nel tempo dello stato di conservazione dei cavi è assicurato dall’installazione di un sistema di controllo continuo (...)». Un controllo che avrebbe permesso di calcolare la velocità della corrosione con la condizione limite stabilita intorno al 2030.

Repubblica denuncia che questo “controllo continuo” per monitorare anche i tiranti della pila 9 e che si basava su di un sensore, installato da parte dei tecnici di Autostrade e delle società che effettuarono i lavori, non è più funzionante dal 1996 perché andò fuori uso e non venne sostituito. Il professore Gentile che nel 2017 lavorò al report del Politecnico di Milano sul Ponte Morandi afferma: «I sensori sul viadotto Polcevera non ci sono più. Erano collegati alla sede di Bologna che monitorava i dati. Nel 1996 vennero messi fuori servizio. Quando abbiamo eseguito nell'autunno scorso le nostre misurazioni non mi risulta ve ne fossero altri».

Sulla "salute" del viadotto, nel 2011 la stessa Autostrade, in un documento, aveva scritto di un intenso degrado della struttura causato quotidianamente da code di autoveicoli nelle ore di punta e dal “volume raggiunto dal traffico” che aveva portato a una manutenzione continua. L'opera, ha dichiarato ancora Saggio, era stata progettata e collaudata per sopportare carichi almeno 3-4 volte inferiori rispetto a quelli che sosteneva.

Nel giugno 2015 Autostrade per l'Italia avvia l’iter di lavori per un rinforzo complessivo del Ponte. Il dottor Mario Bergamo, ex capo della manutenzione del concessionario, affida il progetto alla Spea, azienda italiana che si occupa di ingegneria delle infrastrutture, del gruppo Atlantia (della famiglia Benetton). Prima però ancora di iniziare ad analizzare il viadotto, “Autostrade affida a una società esterna, la Ismes del gruppo Cesi, una consulenza per «l’analisi della documentazione sul ponte»”, racconta il Corriere della Sera. Riguardo questa circostanza, Fabrizio Gatti di Ismes/Cesi, in base a quanto riportato da Il Secolo XIX, durante l’interrogatorio avvenuto a fine agosto davanti agli inquirenti, avrebbe dichiarato che «furono chiesti servizi specialistici, assestment-validazione sistema di sorveglianza e verifiche strutturali... Facevamo verifiche periodiche e nel maggio 2016 abbiamo compilato e consegnato il report finale in cui abbiamo evidenziato asimmetrie di comportamento degli stralli e nel raggio di angolazione dei medesimi».

Due anni dopo, a settembre 2017, intanto, la Spea completa il progetto di rinforzo (“retrofitting strutturale"). A ottobre l'azienda chiede una consulenza al Politecnico di Milano. Nel report riservato – a cui lavorarono alcuni docenti del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano, guidati dal professore Carmelo Gentile – si evidenzia “un'allarmante disparità di tenuta fra i tiranti” del viadotto, racconta La Stampa: «È probabile – si legge nella relazione – che le differenze siano riconducibili a una diversa pre-sollecitazione generata, ad esempio, da fenomeni di corrosione nei cavi secondari, difetti di iniezione, ecc... in particolare gli 'stralli' del sistema numero 9 si presentano con deformata modale non del tutto conforme alle attese e certamente meritevole di approfondimenti teorico-sperimentali».

Stefano Della Torre, direttore del Dipartimento del Politecnico di Milano, in un’intervista a Repubblica, afferma: «Abbiamo sottolineato delle anomalie che potevano rappresentare delle criticità, e abbiamo fornito anche ulteriori consigli, poi stava ad Autostrade decidere come intervenire». Della Torre continua specificando che gli esperti suggerirono ad Autostrade «l'adozione di sistemi di monitoraggio degli stralli per controllare la situazione 24 ore su 24» ma che il consiglio non sembra fosse stato seguito, «o perlomeno venne preso in considerazione solo per il progetto di rinforzo». Inoltre, riguardo il contenuto dello studio, il professore Carmelo Gentile precisa che il gruppo non aveva «le informazioni necessarie per fare una qualsivoglia analisi di rischio».

Otto mesi dopo aver ricevuto il report, Autostrade per l’Italia pubblica un bando di gara da 20 milioni di euro per "interventi di retrofitting strutturale del Viadotto Polcevera al km 000+551 dell'Autostrada A10 Genova-Savona" che prevedono “il rinforzo degli stralli di pila n. 9 e 10 poiché quelli di pila n. 11 sono stati oggetti di rinforzo negli anni '90". I lavori sarebbero dovuti partire il prossimo ottobre.

Sugli stessi, Mauro Moretti, responsabile degli interventi di Autostrade per l’Italia, durante un incontro del 18 luglio scorso con i comitati dei cittadini che abitano sotto e intorno al viadotto, ha parlato di mali o danni nell’opera di cui si cominciavano «a vedere i primi segni» e che per questo era previsto «un intervento molto importante in futuro», che sarebbe andato «a risarcire il danno a oggi subito e i danni di possibile e futura generazione per quanto riguarda le opere di sostegno, quindi gli stralli, ovvero i tiranti, che lavorano all’inverso rispetto a quello che è il normale funzionamento delle strutture, e questo nel tempo ha generato grazie all’azione vuoi del carico, vuoi degli agenti esterni, necessità di manutenzione».

Fabrizio Gatti sull’Espresso denuncia però che a conoscere “la gravità del degrado del viadotto collassato” oltre ad Autostrade c’erano anche il Ministero delle Infrastrutture, la Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali a Roma e il Provveditorato per le opere pubbliche di Piemonte-Valle d'Aosta-Liguria a Genova: “Almeno sette tecnici, cinque dello Stato e due dell'azienda di gestione, sapevano infatti che la corrosione alle pile 9 e 10 aveva provocato una riduzione fino al 20% dei cavi metallici interni agli stralli, i tiranti di calcestruzzo che sostenevano il sistema bilanciato della struttura”. Nonostante questo, continua Gatti, in sei mesi da allora né il ministero né la società concessionaria hanno ritenuto di limitare il traffico o deviare i mezzi pesanti, per sicurezza e per alleggerire il carico e l'affaticamento della costruzione in attesa dei lavori di rinforzo previsti.

Il documento che attesterebbe ciò è un verbale della riunione "con cui il primo febbraio 2018 il Provveditorato alle opere pubbliche di Genova rilascia il parere obbligatorio sul progetto di ristrutturazione presentato da Autostrade”. Tra i firmatari del documento che aveva autorizzato i lavori di ristrutturazione del ponte, ci sono anche l'architetto Roberto Ferrazza, provveditore per le opere pubbliche di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, e Antonio Brencich, professore associato della facoltà di ingegneria dell'Università di Genova, entrambi inizialmente nominati (Ferrazza come presidente) dal Ministero dei Trasporti nella commissione di inchiesta ministeriale.

Nel verbale si possono leggere alcune criticità segnalate da Brencich e Ferrazza. “Brencich, in particolare, – racconta Repubblica – è netto: contesta i metodi utilizzati, i margini di errore altissimi, le tecniche utilizzate ormai abbandonate dal contesto scientifico. Ma in attesa di partire con il progetto, Autostrade può tirare dritto visto che specifica che «il ponte è in sicurezza fino ad una riduzione dell'area totale dei cavi del 50%»”. Nella conclusione del verbale si legge anche che il progetto di Autostrade appariva “ben redatto e completo in ogni dettaglio. Lo stesso risulta studiato in metodologicamente ineccepibile”.

Dopo le critiche ricevute per il doppio ruolo, cioè da una parte ispettore del disastro e dall’altra firmatario del parere positivo del Provveditorato alle opere pubbliche sul progetto di rifacimento degli stralli del ponte, Brencich ha poi lasciato la commissione. Per lo stesso motivo è stato revocato l’incarico a Ferrazza da parte del Ministero. Anche un terzo componente della Commissione, Bruno Santoro, dirigente del ministero dei Trasporti, si è dimesso dopo essere finito tra gli indagati. 

La procura di Genova ha sequestrato sia il report di novembre del Politecnico di Milano, sia il verbale di febbraio della Commissione del Provveditorato di Genova.

In cosa a quest'ultimo, spiega ancora Repubblica, c’erano delle prescrizioni sulle metodologie utilizzate per saggiare la consistenza del calcestruzzo, come quella del "tassello pull out": “Scrive la Commissione che «non viene precisato quale tassello sia stato impiegato… non è una notazione marginale, perché è documentato che determinati tasselli… potrebbero portare a sovrastime anche del 100%». In altre parole, il deterioramento del calcestruzzo poteva essere doppio rispetto a quello indicato sul referto. In base a queste osservazioni l'ipotesi degli inquirenti è che Autostrade abbia fornito dati errati sul deterioramento degli stralli poiché avrebbe utilizzato tecniche sorpassate di valutazione”. Inoltre, sempre Repubblica scrive che la società non consegnò copia del progetto originale di Morandi del 1967 – ora in mano alla magistratura – al Comitato del Provveditorato che fu chiamato a valutare il piano di rinforzo dei tiranti. Quindi “le valutazioni dei tecnici del Comitato furono (...) espresse senza la possibilità di confrontare gli interventi programmati con i dati e i disegni originari”. Su questo punto Autostrade per l’Italia ribatte però che il progetto originario è in realtà da considerarsi superato, perché negli anni ‘80 e ‘90 ci sono stati “importanti interventi di modifica strutturale” e di manutenzione.

L’Espresso pubblica inoltre una “lettera di allarme” sui problemi di sicurezza del ponte, del 28 febbraio scorso, – anch’essa tra i documenti in mano alla Procura – firmata dal direttore della manutenzione, Michele Donferri Mitelli, e indirizzata alla Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali, diretta da Vincenzo Cinelli, del Ministero dei Trasporti e al Provveditorato di Genova, in cui si chiede conto del ritardo dell’approvazione del progetto esecutivo di rinforzo del ponte e si sottolinea l’urgenza “che riveste la conclusione dell'iter approvativo dell'intervento”. Mitelli spiega infatti che il protrarsi dei tempi di approvazione “comporterebbe una serie di ripercussioni sia per la pianificazione economica che per l'incremento di sicurezza necessario sul viadotto Polcevera”. L’autorizzazione arriverà poi l’11 giugno, con circa 150 giorni di ritardo rispetto al termine previsto.

Autostrade per l’Italia ha risposto all’articolo del settimanale definendo la lettera “una ordinaria comunicazione con cui la competente direzione del Ministero delle Infrastrutture viene sollecitata per l’approvazione del progetto di miglioramento delle caratteristiche strutturali del viadotto Polcevera, per il quale era già stato prodotto il parere favorevole da parte del Provveditorato Interregionale, tenuto conto che il tempo di approvazione da parte del Ministero si stava protraendo oltre il termine dei 90 giorni”. Per questo motivo, specifica la società, “risulta, assolutamente fuorviante e non veritiera l'interpretazione del settimanale secondo cui si sarebbe trattato di una ‘lettera d’allarme’ che metteva in guardia sulla ‘non sicurezza’ del viadotto”. Autostrade precisa inoltre in una nota che in questo iter per l’approvazione con il MIT e il Provveditorato “nessuno ravvisò, analogamente al progettista, elementi di urgenza”. Il Fatto quotidiano scrive comunque che Autostrade per l’Italia inviò al Mit e al Provveditorato interregionale cinque lettere, tra febbraio e marzo, in cui si ribadiva di accelerare questo iter. Su questi vari solleciti, Autostrade ribadisce che non aveva “connotati dell'urgenza o della somma urgenza”: “Questo tipo di interlocuzioni con il Ministero è purtroppo una prassi necessaria per contenere i tempi di approvazione dei progetti che comunque – nonostante i solleciti – superano abbondantemente quelli previsti”.

Gli inquirenti hanno comunque sequestrato molto materiale (insieme anche a numerosi video del crollo), con blitz al Ministero dei Trasporti e alle sedi genovesi del Provveditorato. I sequestri hanno interessato anche le sedi di Roma, Firenze e Milano della Spea. Sono stati così acquisiti documenti, scambi epistolari, mail, progetti, scrive Repubblica. Al riguardo il procuratore Cozzi ha dichiarato: «Occorre accertare se Spea ha monitorato, se Autostrade hanno segnalato, se il Provveditorato ha svolto il suo ruolo e se il ministero ha vigilato». «L’analisi della documentazione che abbiamo acquisito – ha spiegato il magistrato – ci ha portato a raccogliere elementi utili che risalgono fino dagli anni ’80. (...) Posso dire che già da ora sia i nostri consulenti tecnici che i componenti della commissione del ministero dispongono di un consistente numero di reperti utili per accertare le cause del crollo del ponte Morandi. Lo dico come una nota positiva. L’attività dei nostri consulenti è fervida alacre e ci permette di aspettare risultati utili in tempi non molto lontani”.

    • Cosa dice la relazione della Commissione ministeriale

Con dieci giorni di ritardo, rispetto a quanto annunciato, la Commissione ministeriale presenta la relazione (suddivisa in cinque parti) sul crollo del Ponte Morandi. Nel testo si legge che in base alle informazioni ottenute nel corso della propria "indagine", la causa prima che ha portato al crollo non deve "ricercarsi tanto nella rottura di uno o più stralli, quanto in quella di uno dei restanti elementi strutturali (...) la cui sopravvivenza era condizionata dall'avanzato di corrosione presente negli elementi strutturali".

Riguardo poi la procedura di controllo della sicurezza del ponte da parte documentata da Autostrade per l'Italia, la Commissione denuncia che è inadatta (e lo è stata anche in passato) nel prevenire possibili crolli "e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso".

Nel documento si trova scritto anche che lo "stato di ammaloramento" (cioè di deterioramento) del viadotto Polcevera "si è evoluto nel corso degli ultimi 27 anni". Autostrade, a detta della Commissione, era a conoscenza dello stato di degrado del ponte "e in particolare delle parti orizzontali di esso che appalesavano deficit strutturali", ma "non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino e per di più non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela dell'utenza". Gli ispettori del Ministero scrivono anche che la valutazione di sicurezza del viadotto richiesta durante l’indagine della commissione è risultata inesistente perché non eseguita: "Contrariamente a quanto affermato nella comunicazione del 23 giugno 2017 della Società alla struttura di vigilanza, tale documento non esiste“.

La relazione mostra anche che "i costi dei lavori per interventi strutturali dell’intero viadotto del Polcevera dal 1982 a oggi sono pari a 24.610.500 euro. Il 98% dell’importo prima del 1999 (ndr l'anno della privatizzazione delle autostrade),", scrive Il Sole 24 Ore: "Si legge che l’investimento medio annuo è stato di 1,3 milioni nel periodo 1982-1999, per un totale in 17 anni di 24,14 milioni circa. L’investimento medio annuo scende a 23mila euro nel periodo 1999-agosto 2018, per un totale, in 19 anni, di 470mila euro circa. Per interventi non strutturali l’investimento medio annuo nel periodo 1999-agosto 2018, per interventi non strutturali, è stato pari a 423mila euro circa, per un totale nel periodo di 8,7 milioni di euro".

via Sole 24 Ore

Da parte sua Autostrade per l'Italia respinge le conclusioni della Commissione ministeriale: «Le responsabilità ipotizzate non possono che ritenersi mere ipotesi ancora integralmente da verificare e da dimostrare, considerando peraltro che il comportamento della concessionaria è stato sempre pienamente rispettoso della legge e totalmente trasparente nei confronti del concedente». Riguardo l'assenza del documento sulla valutazione di sicurezza, la società afferma che «tale documento è prescritto soltanto per infrastrutture situate nelle zone sismiche 1 e 2, mentre non è prescritto nelle zone 3 e 4 al cui interno è collocato il ponte Morandi». Inoltre, la comunicazione inviata dalla società al ministero nel 2017 e citata dalla relazione come addebito omissivo avrebbe avuto «tutt'altro oggetto», riguardando i «criteri di monitoraggio e non la valutazione della sicurezza». Autostrade nega anche le contestazioni sull'inadeguatezza delle procedure di controllo: «Il sistema di controllo è totalmente conforme con gli obblighi di legge e non è mai stato oggetto di alcun rilievo da parte del concedente».

  • Chi sono gli indagati e quali sono i reati contestati

Gli avvisi di garanzia arrivano dopo oltre 20 giorni di indagini. Venti persone, tra Autostrade (che risponde anche come società di responsabilità amministrativa) e MIT, risultano indagate finora: “Otto dirigenti di Autostrade: l'amministratore delegato Giovanni Castellucci, il direttore del Primo Tronco di Genova Stefano Marigliani e i suoi sottoposti Paolo Strazzullo e Riccardo Rigacci; il direttore centrale Operation Paolo Berti, Michele Donferri (direttore delle Manutenzioni), Mario Bergamo (l'ex direttore delle manutenzioni di Autostrade che per primo nel 2015 ritenne necessario l'intervento sul Morandi) e Massimo Meliani ( responsabili ponti e gallerie)”. 

Per quanto riguarda il MIT gli avvisi di garanzia sono arrivati “ai vertici dell'Unità di vigilanza, la struttura creata nel 2012 con compiti di controllo sui contratti, sulle tariffe e sui progetti: il direttore generale Vincenzo Cinelli e il suo predecessore Mauro Coletta e Bruno Santoro, capo Divisione tecnico-operativa della rete autostradale”.

Nelle indagini sono stati iscritti anche “tre ingegneri del Provveditorato ed uno dell'Ufficio ispettivo: il provveditore Roberto Ferrazza, i suoi collaboratori Salvatore Bonaccorso e Giuseppe Sisca, anche lui del comitato tecnico così come l'ingegner Antonio Brencich; Carmine Testa, capo dell'Ufficio ispettivo. L'elenco si chiude con altri quattro nomi con responsabilità minori”.

Per la procura, erano consapevoli delle criticità del ponte ma non hanno pianificato alcun intervento di manutenzione straordinaria, spiega il Corriere della SeraI reati a cui gli indagati devono rispondere a vario titolo sono: omicidio stradale colposo plurimo, omicidio colposo plurimo con l'aggravante della violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro e il disastro colposo. Sull’omicidio stradale, Cozzi ha spiegato che si tratta di «una ipotesi di indagine basata sull'assunto che la sicurezza stradale non comprende soltanto il rispetto dei comportamenti che prescrive il codice della strada, ma anche il rispetto delle regole di sicurezza delle infrastrutture».

Il ministero dei Trasporti ha dichiarato di avere "piena fiducia nella magistratura". Stessa cosa è stata anche affermata da Autostrade per l’Italia. L’amministratore delegato della società, Giovanni Castellucci, in un’intervista a La Stampa ha detto: «Sentiamo tutta la responsabilità e il dolore per essere stati i gestori del viadotto, con le nostre strutture tecniche e i nostri uomini. Il ponte era affidato a noi ed è crollato. Ma la colpa presuppone comprensione delle cause, che dovranno essere accertate al meglio».

La procura di Genova ha chiesto l'incidente probatorio (cioè l’anticipazione della formazione della prova nella fase delle indagini preliminari), che dovrebbe svolgersi entro fine settembre. Al riguardo, Cozzi ha spiegato«C’è un ponte non crollato di cui occorre verificare lo stato attuale sia perché può gettare luce su com’era prima del crollo sia perché è necessario farlo adesso, in quanto dovrebbe essere rimosso in tempi rapidi proprio per consentire la ricostruzione e il ripristino dei collegamenti che sono indispensabili. Il fare questo incidente probatorio adesso consente l’eventuale rapida rimozione delle parti di ponte non crollato».

  • Lo scambio di mail tra Autostrade per l’Italia e Isme e le chat sul Ponte

La sera del 14 agosto, dopo il crollo di parte del viadotto, Enrico Valeri, responsabile del coordinamento viabilità e operazioni di Autostrade, contattò Cesi, cioè l’istituto che nel 2016 realizzò uno studio sul Ponte Morandi. Valeri, racconta il Secolo XIX, chiese quella consulenza in cui si evidenziavano “asimmetrie di comportamento degli stralli”. A stretto giro, Autostrade ricevette una mail inviata dalla responsabile dell’ufficio marketing di Cesi che conteneva, oltre al rapporto, anche un messaggio riguardo le possibili cause del crollo che non erano da ricercare nelle problematiche dei tiranti ma su «probabili fatti collegati al progetto originario».

Valeri, dopo essere stato sentito dai pm, ha dichiarato: «Chiesi il rapporto perché era la sera del 14 agosto e avevo bisogno di averlo subito. Da parte di Autostrade non c’è stata alcuna pressione, né è stato chiesto di ammorbidire la versione dello studio; non si sarebbero mai prestati a una cosa come questa». Il responsabile di Autostrade ha aggiunto anche che «i commenti nella mail d’invio del documento in azienda non li hanno presi in considerazione anche perché fatti da una persona che non ha le competenze tecniche».

I pm stanno indagando anche su un’altra vicenda, emersa dopo il sequestro dei cellulari di alcuni manager, dirigenti e, tecnici di vario livello della società, spiega ancora il Secolo XIX: “Tecnici e dirigenti di Autostrade nelle ore precedenti o successive al crollo del Morandi hanno avviato conversazioni via chat in cui si faceva riferimento proprio al viadotto e al suo stato di criticità”. Una fonte qualificata ha detto al quotidiano che il contenuto di queste chat dovrà «essere necessariamente contestualizzato e chiarito».

A che punto è l’iter della decadenza della concessione ad Autostrade

Dopo il crollo del ponte di Genova, il ministro Toninelli, lo scorso 17 agosto, ha comunicato su Facebook di aver avviato la procedura per la decadenza della concessione ad Autostrade per l’Italia.

Leggi anche >> Cosa prevede la convenzione Autostrade – Anas

Luigi Olivieri, esperto di diritto amministrativo, sul blog Phastidio.net spiega che nella convenzione della concessione tra Autostrade per l’Italia e lo Stato (agli articoli 9 e 9-bis) sono previste quattro ipotesi di interruzione anticipata del rapporto: decadenza, recesso, revoca e risoluzione. In particolare, la decadenza opera sul piano amministrativo ed "è generalmente conseguenza dello spirare del termine o del venire a mancare delle condizioni soggettive od oggettive (..) necessarie per l’efficacia di provvedimenti amministrativi finalizzati a permettere ad un privato l’esercizio di attività o anche di concessioni. Ma la decadenza può anche conseguire ad inadempimenti gravi (...)" da parte del concessionario.  

Comunque, questi atti di interruzione di rapporti hanno un elemento comune e cioè "un iter procedurale che passa dalla comunicazione (...) dell’intenzione di avvalersene, con invito a rimuovere le situazioni che possono portare allo scioglimento del vincolo, per poi giungere successivamente all’adozione del provvedimento, nel rispetto dei termini previsti per consentire al concessionario di ‘controdedurre’ e giustificare il proprio comportamento". Inoltre, in base alla convenzione firmata, è previsto in ogni caso un indennizzo – che potrebbe essere a nove cifre – che lo Stato dovrà pagare al concessionario, cioè ad Autostrade per l’Italia.

Il 20 agosto Autostrade per l’Italia ha ricevuto la lettera di contestazione da parte del MIT. In base all’analisi di Maurizio Caprino sul Sole 24 Ore la lettera (qui il testo integrale) “è strutturata in forma tale da lasciare aperta al Governo ogni possibilità. Sia la decadenza della concessione per grave inadempimento del concessionario, seguendo l’iter previsto dalla convenzione Stato-Autostrade per l’Italia, che però nonostante la responsabilità della società prevede l’obbligo di pagarle i circa 20 miliardi di ricavi che prevedibilmente avrebbe conseguito fino al 2042 (termine della concessione). Sia altre azioni, di risarcimento danni o anche solo per impugnare proprio la clausola che obbliga lo Stato a pagare la ‘buonuscita’ al concessionario anche quando questi ha gravi colpe”.

Il 31 agosto la società ha risposto confermando “il proprio convincimento in merito al puntuale adempimento degli obblighi concessori da parte della Società”.

Lo scorso fine settimana, durante il Forum Ambrosetti, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato che sono arrivate le repliche di Autostrade per l’Italia alla lettera del MIT: «Discuteremo poi alla fine se decideremo di arrivare alla caducazione (ndr cioè all’annullamento della concessione), se ci sono gli estremi, decideremo serenamente cosa fare dopo». Pochi giorni dopo Toninelli ha dichiarato che l'obiettivo è di arrivare alla decadenza della concessione. 

  • La pubblicazione delle convenzioni autostradali e il caso delle “pressioni” ricevute dal MIT

Come spiega il Post “le autostrade italiane, comprese quelle gestite da Autostrade per l’Italia, sono un bene di proprietà dello Stato, ma sono state spesso gestite da società 'concessionarie' che gestiscono la rete autostradale e ne raccolgono i profitti pagando in cambio un canone allo Stato”, che per la società è del 2,4% dei proventi netti da pedaggio.

Via Ansa Centimetri

Sul ponte Morandi correva parte dell’autostrada A10, gestita, insieme ad altre autostrade, da Autostrade per l’Italia in base a una convenzione tra Anas (dal 2012 è subentrato il Ministero dei Trasporti) e la società, firmata il 12 ottobre 2007, e divenuta efficace l’8 giugno 2008, che stabilisce la scadenza del contratto al 2038, con una proroga prevista fino al 2042.

Repubblica Economia scrive che dai bilanci della società risulta che nel periodo 2013-2017, l'azienda ha generato utili pari a 4,05 miliardi di euro. Allo Stato, invece, sono arrivati, in basi ai bilanci consultati, 2,151 miliardi negli ultimi 5 anni (la cifra si compone dei proventi netti da pedaggio, più un sovracanone de destinare all'Anas).

via Repubblica Economia

Fino a gennaio dello scorso anno queste convenzioni erano secretate, poi però sotto il governo Gentiloni, con il ministro dei Trasporti guidato da Graziano Delrio, sono state rese pubbliche in parte (mancavano, specifica il Corriere della Sera, ad esempio, i piani economico-finanziari). A fine agosto il MIT ha infine desecretato tutte le parti mancanti delle convenzioni delle concessioni, compresi gli allegati.

Nel rivendicare questa atto, Toninelli, pochi giorni dopo alla Camera dei Deputati, ha dichiarato di averlo fatto «nonostante le pressioni interne ed esterne che abbiamo subito» al MIT. Questa dichiarazione ha scatenato la reazione delle opposizioni che hanno chiesto di sapere i nomi di chi avesse fatto queste pressioni, visto la gravità di quanto denunciato dal ministro.

Il ministro, il giorno successivo a La7, ha dichiarato che a fare queste pressioni è stata Aiscat (cioè l’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori) che al Ministero aveva detto di non pubblicare i documenti delle convenzioni delle concessioni autostradali avvertendo che erano possibili fattispecie di reato come l’aggiotaggio. Aiscat ha però negato di aver esercitato pressioni né sul Ministro né sul MIT, ma che, riguardo la pubblicazione degli atti concessori allegati alle convenzioni autostradali, ha risposto a una richiesta di parere dello stesso Ministero. L’associazione ha inoltre specificato che la propria posizione era “analoga a quanto registrato in altri paese europei che, pur senza uno specifico obbligo normativo, hanno pubblicato sui propri siti istituzionali solo i contratti di concessione e non i relativi allegati, nel rispetto delle norme in materia di riservatezza, segreto commerciale e industriale”.

Come risposta Toninelli pubblica sui social le immagini di documenti ricevuti dal suo ministero lo scorso 11 gennaio e 7 marzo, quando lui non era ancora ministro,  e inviati da Aiscat (il documento era stato già pubblicato dall’associazione) e Autostrade per l’Italia, affermando che “sono parole che ovviamente hanno influenzato le strutture anche sotto la mia gestione”.

L’agenzia di stampa Reuters Italia, ricostruendo l’intera vicenda, ha spiegato che in realtà, per quanto riguarda il primo documento citato dal Ministro, “Aiscat risponde a una richiesta di parere di Vincenzo Cinelli, a capo della direzione del ministero che vigila sulle concessionarie, durante la gestione Del Rio che poi a febbraio 2018, pubblicherà sul sito i contratti, ma senza gli allegati più sensibili, come quelli sulle percentuali remunerazione del capitale”.

Sulla lettera di Autostrade, che Reuters ha visionato integralmente, si tratta di una corrispondenza “tra la società, il ministero e in copia anche l’autorità anti corruzione che aveva chiesto di rendere pubblici anche i piani finanziari (Pef), assieme ai contratti, per consentire ‘il controllo sull’effettivo perseguimento dell’interesse pubblico’ e ritenendo non sufficiente la motivazione addotta per la mancata pubblicazione del Pef. Il ministero aveva chiesto ad Aspi di spiegare le ragioni giuridiche ‘che rendono non ostensibile il Pef, nonché gli elementi comprovanti la tutela di un interesse superiore’”.

Come risposta il capo della direzione legale di Autostrade spiega quali sono le ragioni che impongono la riservatezza: ‘I dati contenuti nel Pef hanno un’innegabile valenza economica e commerciale e, in ragione di tale valenza, non possono essere divulgati senza violare gli interessi economici e commerciali dei concessionari autostradali, espressamente tutelati dall’art 5-bis del d.lgs n. 33/2013’. La lettera continua parlando del rischio di ledere la riservatezza industriale delle società, tanto più alto, “‘quando si tratti di dati prospettici che riguardano società concessionarie che fanno capo a società quotate in Borsa’ perchè una lettura distorta potrebbe essere strumentalizzata, dice la società di Atlantia, paventando anche fattispecie di reato come l’aggiotaggio”.

La situazione degli sfollati e della ricostruzione del ponte

 

via Repubblica

Il crollo di parte del Ponte Morandi ha reso inagibili gli edifici situati sotto il pezzo di ponte rimasto intatto e quelli nelle vicinanze: oltre 600 persone sono state sfollate. Il 20 agosto il governatore di centrodestra della Liguria, Giovanni Toti, ha annunciato che 16 persone avrebbero avuto una casa e che entro metà novembre sarebbe stato dato un tetto a tutti. Queste tempistiche sono state anche confermate dal ministro Toninelli.

Non sono comunque mancate le proteste. Il 4 settembre decine di sfollati hanno manifestato in Regione, con diversi cartelli, chiedendo rispetto e pretendendo risposte certe sulle demolizioni e sulla possibilità di andare a prendere le proprie cose nelle case che sono stati stati costretti a lasciare.

Al 7 settembre, ha comunicato il governatore, le case pubblicate assegnate sono state 100, aggiungendo che sono state seguite ed evase anche "133 domande di contributo per l’autocollocazione, di cui le prime 31 già pagate dal Comune".

Il sindaco di Genova Marco Bucci ha dichiarato che «se ci danno tutte le autorizzazioni, i tempi tecnici» per l'apertura del cantiere per la demolizione di quanto resta del ponte Morandi «sono che a fine mese, prima settimana di ottobre si può cominciare la demolizione».

Una volta demolito l’intero ponte, si dovrà costruire quello nuovo (nei giorni scorsi Renzo Piano ha presentato la sua idea). A chi devono essere affidati i lavori di ricostruzione è al centro di uno scontro politico tra il governatore Toti e il Movimento 5 Stelle sul possibile ruolo di Autostrade per l’Italia. Per Toti non si può escludere la società «perché per legge deve essere Autostrade ad aprire il cantiere». Il governo invece punta a tenerla fuori dai lavori.

Il ministro Toninelli, in audizione alla Commissione ambiente alla Camera, ha dichiarato che l’obiettivo del governo è non permettere ad Autostrade di ricostruire il viadotto. Per il ministro infatti «sarebbe inaccettabile e incomprensibile da parte delle famiglie e degli italiani che venga ricostruito da chi lo ha fatto crollare». Toninelli ha così chiarito  che «sono in corso delle riunioni a Bruxelles per verificare se si possa derogare al Codice degli Appalti» in modo da «fare l'assegnazione immediata senza gara ad un soggetto pubblico come Fincantieri». Il 13 settembre il Consiglio dei Ministri approva un decreto legge specifico su Genova, con la formula "salvo intese", perché restano ancora da sciogliere diverse questioni, come ad esempio chi sarà il commissario per la ricostruzione. «Il nome non c'è – ha dichiarato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in conferenza stampa –.  Ci riserviamo di farlo in futuro, sarà indicato con un decreto». 

Cosa dice il decreto legge su Genova

Dopo una serie di problemi legati alle coperture, il decreto, approvato a metà settembre, viene bollinato dalla Ragioneria dello Stato. Il 28 settembre il Presidente della Repubblica lo firma.

Nel testo arrivato al Colle e pubblicato da diversi media si legge all'art. 1 che, sentito il Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, il Commissario straordinario sarà nominato "entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto" e avrà un incarico di un anno, con la possibilità di una proroga per "non oltre un triennio dalla prima nomina". In un primo momento, secondo alcuni media, il governo aveva trovato una convergenza sul nome di Claudio Gemme, presidente e amministratore delegato di Fincantieri Sistemi Integrati. L'accordo sul nome di Gemme non è stato però alla fine raggiunto. Il 4 ottobre, poi, dopo circa 50 giorni dal crollo, il governo nomina come Commissario il sindaco di Genova Marco Bucci.

Inoltre, il decreto stabilisce che Autostrade, cioè il concessionario, "in quanto responsabile del mantenimento in assoluta sicurezza e funzionalità" del viadotto Polcevera "ovvero in quanto responsabile dell’evento" (cioè del crollo), per far fronte alle spese di ricostruzione dell’infrastruttura, verserà su una contabilità speciale l'importo che sarà provvisoriamente determinato dal Commissario medesimo. Nel caso in cui Autostrade non pagasse o ritardasse le spese, "il Commissario straordinario può individuare (...) un soggetto pubblico o privato che anticipi le somme necessarie alla integrale realizzazione delle opere". Per questo motivo, per assicurare un avvio rapido delle attività del Commissario, il governo autorizza una garanzia pubblica di 360 milioni di euro fino al 2029 (30 milioni annui, a partire da quest'anno).

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Il testo nega inoltre ad Austostrade la possibilità di partecipare al ripristino del sistema viario: "Il commissario straordinario affida, ai sensi dell’articolo 32 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, la realizzazione delle attività concernenti il ripristino del sistema viario, nonché quelle propedeutiche e connesse, ad uno o più operatori economici che non abbiano alcuna partecipazione, diretta o indiretta, in società concessionarie di strade a pedaggio, ovvero siano da queste ultime controllate o, comunque, ad esse collegate (...)".

Il Sole 24 Ore scrive che, si dovranno ora capire le mosse di Autostrade "che già si era detta pronta a rivolgersi ai giudici se fosse stata decisa una sua esclusione d'imperio": "Al momento, infatti, l'articolo 3 della Convenzione (ndr firmata con lo Stato) le assegna il compito di provvedere non solo alla manutenzione delle infrastrutture concesse, ma anche alla loro 'riparazione tempestiva'".

Foto in anteprima via ANSA/LUCA ZENNARO

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