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Dai pipistrelli al laboratorio: le ipotesi sull’origine del nuovo coronavirus. Cosa dice la scienza

25 Aprile 2020 28 min lettura

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Dai pipistrelli al laboratorio: le ipotesi sull’origine del nuovo coronavirus. Cosa dice la scienza

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Due studi pubblicati su Science avvalorano la tesi dell’origine naturale del nuovo coronavirus: la pandemia sarebbe partita da molteplici spillover al mercato di animali selvatici Wuhan e non per un errore di laboratorio

Aggiornamento 28 luglio 2022: Due nuovi studi pubblicati su Science in questi giorni hanno portato nuove evidenze a sostegno della tesi dell’origine naturale del virus: secondo questi studi il mercato di animali selvatici di Wuhan sarebbe all’origine dei contagi nel 2019 in Cina.

Il primo lavoro ha mappato l’andamento spaziale dei primi 174 casi di COVID-19 identificati a dicembre 2019 scoprendo che 155 di essi si trovavano a Wuhan. I primi casi erano geograficamente raggruppati intorno al mercato di Huanan a Wuhan. Alcuni dei primi pazienti, che non avevano frequentato il mercato nei giorni precedenti alla diffusione dei primi contagi, vivevano molto vicini ad esso. Al mercato venivano venduti vivi animali selvatici come volpi rosse, tassi e procioni, tutti possibili vettori del nuovo coronavirus.

Sono stati prelevati diversi campioni positivi da una bancarella che vendeva mammiferi vivi e lo scarico dell'acqua vicino a questa bancarella, così come altre fognature e una vicina bancarella di animali selvatici sul lato sud-ovest del mercato, sono risultati positivi. “Questi risultati suggeriscono che gli animali infetti erano presenti nel mercato di Huanan all'inizio della pandemia, tuttavia, non abbiamo potuto avere accesso a campioni di animali vivi delle specie interessate”, scrivono i ricercatori. “Ulteriori informazioni, tra cui i dati di sequenziamento e la strategia di campionamento dettagliata, sarebbero preziose per verificare questa ipotesi in modo completo”.

Il secondo studio ha scoperto che all'inizio della pandemia esistevano due lignaggi, A e B, del virus, che circolavano già al mercato di Wuhan e hanno generato due distinti eventi di trasmissione interspecie nell'uomo. “La prima trasmissione zoonotica ha probabilmente coinvolto i virus del lignaggio B intorno al 18 novembre 2019 (tra il 23 ottobre e l’8 dicembre 2019), mentre l'introduzione separata del lignaggio A si è probabilmente verificata nelle settimane successive a questo evento. Questi risultati indicano che è improbabile che il SARS-CoV-2 si trasmettesse già diffusamente tra gli esseri umani prima del novembre 2019 e definiscono la stretta finestra tra il momento in cui il SARS-CoV-2 è entrato per la prima volta nell'uomo e quando sono stati segnalati i primi casi di COVID-19. Come per altri coronavirus, la comparsa del SARS-CoV-2 è probabilmente il risultato di molteplici eventi zoonotici”.

Tutto questo fa ritenere che il mercato di Wuhan non fosse, dunque, un semplice luogo di superdiffusione del virus, che già circolava tra gli essere umani, ma il luogo dove è avvenuto lo spillover dagli animali all’uomo. “La presenza prolungata di una potenziale fonte di trasmissione del virus nella popolazione umana alla fine del 2019, plausibilmente da mammiferi vivi infetti venduti al mercato di Huanan, offre una spiegazione ai nostri risultati e alle origini della SARS-CoV-2”, spiegano i ricercatori. “Lo schema dei casi di COVID-19 riportati per il mercato di Huanan, con i primi casi nella stessa parte del mercato in cui venivano venduti gli animali selvatici e l'evidenza di almeno due introduzioni, è molto simile alle molteplici trasmissioni interspecie di SARS-CoV-2 osservate successivamente durante la pandemia dagli animali all'uomo negli allevamenti di visoni e dai criceti infetti all'uomo nel commercio di animali domestici”.

Per lo studio i ricercatori hanno utilizzato una tecnica chiamata “analisi dell'orologio molecolare” che conta le mutazioni genetiche per costruire una linea temporale dell'evoluzione.

Tra i coautori di entrambe le ricerche c’è il biologo evoluzionista Michael Worobey dell'Università dell'Arizona, tra coloro che in passato aveva esortato la comunità scientifica a prendere maggiormente in considerazione la possibilità che il virus si fosse diffuso in seguito a un errore in laboratorio.

Worobey ha detto che le recenti scoperte lo hanno spinto “a pensare che la via più plausibile per la trasmissione del virus è attraverso il commercio di animali selvatici al mercato di Wuhan”. I risultati, ha aggiunto un altro dei coautori, Kristian Andersen, professore del Dipartimento di Immunologia e Microbiologia allo Scripps Research, sempre negli Stati Uniti, non smentiscono la tesi dell’errore in laboratorio, ma forniscono una spiegazione plausibile per la trasmissione del virus nell’uomo. “Tutte queste prove ci dicono la stessa cosa: puntano al mercato nel centro di Wuhan”, ha detto Andersen. “Io stesso ero convinto della tesi dell’errore in laboratorio finché non ci siamo occupati della questione con molta attenzione e l'abbiamo analizzata più da vicino”.

Occorre ora compiere il massimo sforzo per chiarire gli eventi a monte che potrebbero aver portato il nuovo coronavirus al mercato di Huanan, dando origine poi alla pandemia di COVID-19, concludono i ricercatori. “Per ridurre il rischio di future pandemie dobbiamo capire, e quindi limitare, le vie e le opportunità di diffusione del virus”.

A giugno, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva dichiarato, con la massima fermezza, che era necessaria un'indagine più approfondita per stabilire l’origine della pandemia.

Missione OMS in Cina sull’origine del virus: «Non siamo ancora in grado di stabilire l’esatta origine della pandemia ma riteniamo altamente improbabile l’ipotesi dell’incidente in laboratorio»

Aggiornamento 12 febbraio 2021: «Non siamo in grado di stabilire, almeno per ora, l’esatta origine della pandemia ma riteniamo altamente improbabile l’incidente in laboratorio e non suggeriamo ulteriori ricerche al riguardo». Dopo quattro settimane di permanenza a Wuhan, in Cina, gli esperti internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e le loro controparti cinesi hanno comunicato in una conferenza stampa l’esito delle loro indagini in attesa della pubblicazione del rapporto finale. 

In queste quattro settimane, il gruppo di 17 esperti dell’OMS, provenienti da 10 paesi diversi, ha visitato ospedali, mercati (compreso quello di Huanan da cui si è ipotizzato che possa essere partita l’epidemia), l’istituto di virologia e il Wuhan Institute of Virology, chiamato in causa per l’ipotesi del virus fuoriuscito per un incidente in laboratorio.

Il prof. Peter Ben Embarek, esperto di sicurezza alimentare e zoonosi e capo della missione OMS, la professoressa Marion Koopmans, virologa a capo del dipartimento di Viroscienza presso l’Erasmus University Hospital di Rotterdam, e il prof. Liang Wannian dell’Università Tsinghua, leader del gruppo di esperti cinesi che ha coadiuvato gli esperti dell’OMS, hanno dichiarato di aver vagliato quattro ipotesi sull’origine dei contagi e di non essere riusciti ancora ad aver identificato né l’animale che possa aver causato la malattia, né l’ospite intermedio che possa aver portato poi al salto di specie. Non viene esclusa nemmeno la pista della diffusione del nuovo coronavirus tra gli esseri umani attraverso il commercio dei prodotti surgelati. «Sappiamo che il virus può sopravvivere nei cibi surgelati, ma non sappiamo ancora se da questi si può trasmettere all'uomo. Su questo servono più ricerche», ha precisato Embarek. 

L’ipotesi più condivisa continua a essere quella del passaggio dal pipistrelli all’uomo attraverso una specie intermedia. «È la strada più probabile ed è quella che richiederà studi più specifici e ricerche mirate», ha detto Embarek. «Collegata a questa ipotesi – ha aggiunto – c’è la trasmissione del virus attraverso i prodotti surgelati della catena del freddo» ed è percorribile anche la possibilità del contagio diretto da una fonte animale agli esseri umani. Per tutte queste ipotesi si raccomandano approfondimenti, fatta eccezione, come detto, per l’incidente in laboratorio: «non è un’ipotesi che implica il suggerimento di studi futuri per il nostro lavoro di comprensione dell’origine del virus», ha concluso Embarek.

La missione non ha trovato prove che dimostrassero che il virus circolava a Wuhan prima del mese di dicembre 2019 ma non è riuscita a escludere che SARS-CoV-2 fosse presente in altre aree del paese o che sia arrivato in Cina attraverso lo scambio di merci. 

Non è possibile neanche stabilire come il virus sia arrivato al mercato di Huanan. È probabile che il mercato sia stato un cluster importante che ha avuto un ruolo di amplificatore dei contagi ma non è possibile determinare se la trasmissione di SARS-CoV-2 a Wuhan sia partita da lì. 

Nei giorni scorsi ha fatto molto rumore una ipotesi sollevata da un articolo del Washington Post e poi ripresa da altri media internazionali: il nuovo coronavirus sarebbe fuoriuscito da un laboratorio cinese dando origine al contagio in tutto il mondo. Sebbene smorzata praticamente sul nascere dal generale dell’esercito americano, Mark Milley, che ha detto che sono state svolte delle indagini che non hanno portato a nulla di concreto, questa ipotesi è stata tenuta in piedi dall’amministrazione Trump.

In un’intervista all’emittente ABC, il 3 maggio, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha affermato che esistono “evidenze enormi” che l’epidemia del nuovo coronavirus ha avuto origine in un laboratorio cinese, senza però fornire nessuna di queste prove.

Durante la trasmissione “This Week”, Pompeo ha detto che “i migliori esperti al momento sembrano essere concordi sul fatto che il virus sia stato creato dall’uomo”. Ma quando la giornalista Martha Raddatz ha sottolineato che sia il mondo scientifico sia l’intelligence statunitense abbiano escluso la manipolazione in laboratorio del virus, il segretario di Stato americano ha risposto di essere d’accordo con loro, di aver visionato i documenti dell’intelligence e di non avere ragioni per pensare che le loro analisi siano errate, ma che “tutto questo va contestualizzato. Il Partito Comunista cinese ha avuto l’opportunità di prevenire tutte calamità che hanno colpito il mondo”.

Sempre il 3 maggio, a Fox News, il presidente degli USA Donald Trump ha annunciato che presto il governo pubblicherà un rapporto “conclusivo” sull’origine cinese della pandemia e ha aggiunto di avere pochi dubbi sul fatto che Pechino abbia ingannato tutto il mondo sulla pericolosità del virus prima che diventasse una pandemia globale. Secondo quanto riportato da Associated Press, i funzionari statunitensi sembrano convinti che la Cina abbia coperto l'entità dell'epidemia, in parte, per accaparrarsi le forniture mediche necessarie per rispondere al contagio. 

In una nota ufficiale, il 28 aprile, l'intelligence USA aveva dichiarato di continuare "a esaminare rigorosamente le informazioni emergenti per determinare se l'epidemia è iniziata attraverso il contatto con animali infetti o se è stata il risultato di un incidente in un laboratorio a Wuhan" e di concordare "con l'ampio consenso scientifico sul fatto che il virus COVID-19 non è stato creato dall'uomo o geneticamente modificato".

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Contestualmente, anche la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron, pur prendendo le distanze dalle posizioni di Trump, secondo quanto riportato dal South China Morning Post, hanno chiamato in causa la Cina, chiedendo al governo cinese di fare luce su alcune opacità soprattutto sulla gestione immediata del contagio dopo che sono stati rilevati i primi casi a Wuhan. 

“In Cina ci sono chiaramente delle cose che sono successe di cui non sappiamo nulla”, ha affermato Macron al Financial Times. Le sue dichiarazioni sono arrivate in risposta a un articolo sul sito web dell'ambasciata cinese in Francia che metteva in risalto le lacune nella gestione della pandemia da parte dei paesi occidentali, criticati in particolare di aver lasciato morire gli anziani nelle case di cura. Dopo la pubblicazione dell’articolo, il ministro degli Esteri francese ha convocato l’ambasciatore cinese a Parigi per esprimere la propria disapprovazione per i contenuti riportati, mentre Macron ha sottolineato come sia “ingenuo” sostenere che la Cina abbia contrastato meglio la diffusione del nuovo coronavirus visto che ci si trova di fronte a una società in cui non tutte le informazioni sono di dominio pubblico. Lunedì scorso Angela Merkel ha dichiarato, invece, che "più la Cina è trasparente sull'origine del virus, meglio è per tutti nel mondo, perché avremo più informazioni per conoscerlo". 

Il governo cinese è accusato, in particolare, di aver trattenuto per sei giorni informazioni chiave a sua disposizione, secondo un’indagine di Associated Press, consentendo al virus di diffondersi senza alcuna misura di contenimento e di aver sottostimato il numero dei decessi. Alcuni giorni fa la Cina ha rivisto al rialzo del 50% il bilancio delle vittime da COVID-19 (1.290 in più rispetto a quelle conteggiate in precedenza). Il governo di Pechino, tuttavia, ha negato che la correzione sia dovuta alla volontà di nascondere informazioni sulla diffusione del contagio e ha voluto precisare che l’errore nel conteggio è legato alle insufficienti capacità di ricovero negli ospedali, messi sotto pressione nel momento in cui l’epidemia era al suo culmine.

In quegli stessi giorni il quotidiano tedesco Bild aveva dichiarato che la Cina avrebbe dovuto provvedere al pagamento dei danni provocati dal coronavirus nel mondo. Alla richiesta di scuse dell’ambasciata cinese in Germania, il direttore del giornale, Julian Reichelt, ha pubblicato un video in inglese diretto al presidente Xi Jinping in cui ha accusato il governo cinese di controllare l’informazione e i cittadini, di fare affari rubando la proprietà intellettuale, di non aver divulgato in tempo le informazioni in possesso sul nuovo coronavirus, di non garantire la sicurezza dei laboratori che fanno ricerca a Wuhan sui virus nei pipistrelli e di pianificare il rafforzamento della posizione della Cina nel mondo grazie all’esportazione di una malattia.

Negli Stati Uniti, invece, il procuratore generale dello Stato del Missouri, Eric Schmitt, ha comunicato di voler denunciare la Cina, il Partito Comunista e alcuni funzionari cinesi, per non aver fermato la diffusione del virus e aver provocato ingenti perdite economiche alla comunità. Ma una eventuale causa, hanno spiegato diversi esperti, non ha basi legali e potrebbe costare tanti soldi ai cittadini dello Stato.

Le teorie sull’origine del virus sono state formulate in questo clima politico molto teso di reciproche accuse. Anche in Cina, riporta il Washington Post, sono state diffuse teorie prive di fondamento come quella secondo la quale sarebbero stati i soldati americani a portare il virus nel paese asiatico durante una visita a ottobre, come insinuato pubblicamente anche dal portavoce del ministro degli Esteri, Lijian Zhao.

Dopo le discussioni anche sulla nostra pagina Facebook, abbiamo deciso di analizzare le diverse ipotesi avanzate finora. Sono sostanzialmente tre: quella del salto di specie (dai pipistrelli all’uomo passando per un animale intermedio) e dell’origine naturale del virus; la realizzazione del nuovo coronavirus in laboratorio, sfuggito per errore; la tesi della fuoriuscita dal biolaboratorio ad alta sicurezza, il Wuhan Institute of Virology (WIV), in Cina, che stava studiando un virus di origine naturale nei pipistrelli per prevenire eventuali nuove pandemie dopo la diffusione di SARS circa 20 anni fa.

Gli esperti concordano nel sostenere che lo scenario più attendibile è quello dell’origine naturale del virus anche se potrebbe esserci l’eventualità che non riusciremo mai a tracciare l’intera catena di trasmissione, riporta Live Science. La tesi della realizzazione in laboratorio del virus e che SARS-CoV-2 sia stato geneticamente modificato è priva di fondamento mentre, al momento, non è possibile escludere con certezza l’ipotesi che gli scienziati cinesi stessero studiando un coronavirus naturale che poi è fuoriuscito dal laboratorio, per quanto tale scenario sia tutto da verificare. 

Anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato lo scorso 21 aprile che tutte le evidenze a disposizione suggeriscono che il nuovo coronavirus abbia avuto origine naturale e portano a escludere una manipolazione genetica o una sua realizzazione in laboratorio. “Molto probabilmente i primi vettori sono stati i pipistrelli. È ancora da scoprire come il virus è arrivato all’uomo”, ha spiegato la portavoce dell’OMS Fadela Chaib, che non ha voluto commentare le domande sulla tesi del virus fuoriuscito inavvertitamente da un laboratorio.

Il salto di specie dai pipistrelli all’uomo potrebbe essere avvenuto anche prima dei casi rilevati a fine 2019 e non essersi verificato nei mercati selvatici di animali vivi a Wuhan, ha detto a Live Science Gerald Keusch, direttore associato del Boston University National Laboratory di malattie infettive emergenti. In questo caso, prosegue Keusch, il mercato di Wuhan potrebbe aver agito da amplificatore delle infezioni che si sono poi diffuse in modo rapido e massiccio: "La cronologia della trasmissione del virus è sfocata e non abbiamo dati reali per stabilire quando è iniziato tutto, in gran parte perché le informazioni iniziali non sono state condivise immediatamente". 

Ciò su cui gli esperti concordano è che una pandemia del genere non era inaspettata. Gli scienziati, riporta Science Alert, avevano avvisato da anni i governi che dopo SARS e MERS c’era la possibilità della diffusione di un nuovo coronavirus. Ma, nonostante questo, molti paesi si sono fatti trovare impreparati. Ad esempio, già nel 2017, il direttore dell'Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie infettive degli Stati Uniti (NIAID), Anthony Fauci, attuale consulente dell’amministrazione Trump, aveva esortato il governo a prepararsi a possibili “focolai a sorpresa”, memori delle esperienze avute con Zika e HIV, migliorando i sistemi di sorveglianza sanitaria globale, investendo nella ricerca e mettendo da parte fondi per l’emergenza. L'amministrazione Trump, invece, non solo non ha creato questo fondo, ma ha anche ridotto il finanziamento alle agenzie federali responsabili di individuare e prepararsi a eventuali epidemie. 

“Qualsiasi sia l’origine del virus, se trasmessa dagli animali o inavvertitamente fuoriuscita da un laboratorio – spiega sempre Keusch a Live Science – “le contromisure da adottare per contrastare l’epidemia sono sempre le stesse”. 

L’ipotesi dell’origine animale

La tesi su cui gli studiosi concordano è l’origine naturale del nuovo coronavirus. Come sintetizza l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dalle analisi genetiche e dai confronti con le sequenze di altri coronavirus da diverse specie animali SARS-CoV-2 sembra essere originato dai pipistrelli. Due coronavirus dei pipistrelli condividono, infatti, l’88% della loro sequenza genetica con quella di SARS-CoV-2. Il nuovo coronavirus condivide, invece, il 79% della sua sequenza genetica con quella di SARS e il 50% con MERS, le due gravi sindromi respiratorie che negli scorsi decenni hanno provocato molte vittime.

In particolare, si pensa che SARS-CoV-2 sia strettamente correlato ai coronavirus presenti in alcune specie di pipistrelli che vivono nello Yunnan, in Cina, a circa 1.600 chilometri da dove sono stati rinvenuti i primi casi nell’uomo, a Wuhan, esattamente in un mercato dove sono venduti animali e pesci selvatici, anche se sin dall’inizio ci sono state persone contagiate che non avevano legami con il mercato di Wuhan, come rilevato da uno studio pubblicato su Lancet lo scorso 15 febbraio.

Inoltre, secondo quanto riportato dal South China Morning Post, il primo vero caso rilevato di positività al nuovo coronavirus risalirebbe al 17 novembre: un residente di 55 anni nella provincia di Hubei. Da quel momento in poi, sono stati segnalati da uno a cinque nuovi casi ogni giorno, ma gli operatori sanitari non sapevano di avere a che fare con un nuovo virus fino all'esplosione dei contagi a fine dicembre. "Alcuni casi diagnosticati nel 2019 sono stati probabilmente retrodatati dopo che le autorità sanitarie hanno testato campioni prelevati da pazienti sospetti", si legge nell'articolo.

A metà marzo, il gruppo di ricerca in scienze biomediche californiano Scripps Research, guidato dal professore associato in immunologia e microbiologia Kristian Andersen, ha pubblicato uno studio su Nature Medicine secondo il quale, “alla luce dei dati disponibili, si può stabilire con certezza che SARS-CoV-2 ha avuto origine attraverso processi naturali”. Il team di ricerca ha utilizzato per le sue analisi le sequenze genetiche del nuovo coronavirus messe a disposizione sin dal 12 gennaio dagli scienziati cinesi. 

In particolare, gli scienziati hanno analizzato il modello genetico della proteina superficiale del coronavirus che funge da recettore (le punte o “spike” del virus) e consente al virus di agganciarsi ai recettori delle cellule del nuovo ospite, di rompere la parte esterna per poi replicarsi al suo interno. Lo “spike” di SARS-CoV-2 ha un “uncino molecolare”, chiamato porzione RBD (ndr, receptor-binding domain, la parte più variabile del genoma dei coronavirus), un recettore in grado di legarsi (binding) con alta affinità al recettore ACE2 (coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna) di esseri umani, furetti, gatti e altre specie con recettori molto simili. Gli studi hanno evidenziato questa alta affinità tra la porzione RBD del nuovo coronavirus e il recettore ACE2 umano, nonostante le simulazioni al computer suggerissero un’interazione non ideale tra proteina spike e ACE2 in presenza di un RBD diverso da quello della SARS. In altre parole, il nuovo coronavirus ha saputo adattarsi in natura molto meglio – e in modo completamente diverso – di quanto avrebbero potuto pianificare gli scienziati attraverso simulazioni al computer.

Inoltre, prosegue la ricerca pubblicata su Nature Medicine, la spina dorsale di SARS-CoV-2 differisce sostanzialmente da quella dei coronavirus già noti ed è molto simile a quella di altri virus a lui correlati trovati in pipistrelli e pangolini. Questo porta a escludere che il nuovo coronavirus sia stato realizzato in laboratorio. Se qualcuno stesse cercando di progettare un nuovo coronavirus come patogeno, lo avrebbe costruito a partire da spine dorsali di virus già noti per la loro infettività. L’affinità tra la porzione RBD e il recettore ACE2 e i dati sulla spina dorsale di SARS-CoV-2 – concludono i ricercatori – sono le prove evidenti che il nuovo coronavirus è il frutto di una selezione naturale e non il prodotto di una manipolazione intenzionale. I dati sul genoma mostrano, infatti, che il virus non deriva da nessuna struttura virale utilizzata in precedenza.

Appurata l’origine naturale, dove si è modificato il virus nella sua attuale forma patogena? Gli autori della ricerca propongono due scenari: 1) Il virus si è evoluto in un vettore animale intermedio per poi saltare nell’uomo; 2) Il virus si è evoluto nell’uomo dopo il salto di specie da un animale.

Il primo è il caso dei precedenti focolai di coronavirus, quando l’uomo ha contratto il virus da zibetti (SARS) e cammelli (MERS). Per quanto riguarda SARS-CoV-2, i ricercatori suggeriscono che il virus sia stato trasmesso da un pipistrello a un altro vettore animale intermedio (probabilmente un pangolino, secondo studi in attesa ancora di conferma) per poi passare all’uomo. Non ci sono, infatti, casi documentati di trasmissione diretta dal pipistrello all’uomo e questo fa pensare a un vettore intermedio. Secondo questo scenario, il contagio è stato rapido e immediato una volta che l’uomo è stato infettato perché il virus aveva già sviluppato le caratteristiche che lo rendono patogeno.

Tuttavia, nonostante le tante ipotesi fatte (dai serpenti ai pangolini, alcuni hanno fatto anche l’ipotesi dei cani, riporta Live Science, sebbene non ci siano evidenze forti a sostegno di questa tesi e i dati degli studi fatti al riguardo non corroborino le conclusioni cui sono giunti gli autori stessi di queste ricerche), i ricercatori non sono riusciti a individuare l’animale che è servito da trampolino tra i pipistrelli e l’uomo.

Nel secondo scenario, il virus si sarebbe evoluto solo dopo essere stato trasmesso all’uomo. Ad esempio, alcuni coronavirus presenti nei pangolini, mammiferi simili agli armadillo trovati in Asia e in Africa, hanno una struttura di RBD molto simile a quella della SARS-CoV-2. Il nuovo coronavirus potrebbe, dunque, essere saltato dal pangolino direttamente all’uomo tramite la particolare “struttura a uncino” e, una volta entrato nel nuovo ospite, avrebbe iniziato a evolversi trasmettendosi tra gli esseri umani in modo invisibile senza che nessuno se ne accorgesse anche per anni o decenni, come ha commentato Francis Collins, direttore del National Institute of Health degli Stati Uniti.

A questo punto, ha spiegato Andrew Rambaut, co-autore dello studio, è difficile, se non impossibile, stabilire quale dei due scenari sia quello più probabile. Nel primo caso, potrebbe aumentare la probabilità di nuovi focolai futuri poiché il ceppo del virus che causa la malattia potrebbe ancora essere in circolo tra gli animali e potrebbe saltare nuovamente nell’uomo. La situazione sarebbe più controllabile nel caso di un coronavirus entrato nell’uomo nella sua forma non patogena e che poi si è sviluppato successivamente nel passaggio tra esseri umani.

Di sicuro, concludono i ricercatori, riuscire ad avere sequenze correlate del virus da fonti animali consentirebbe di avere quelle informazioni che ora mancano per riuscire a tracciare nella sua completezza la catena di trasmissione che ha portato a SARS-CoV-2 nella sua attuale forma patogena nell’uomo. Ulteriori dati scientifici consentirebbero di propendere per una ipotesi invece che un’altra sulla base di evidenze scientifiche. Allo stato attuale, si legge nella parte conclusiva dell’articolo su Nature Medicine, per quanto tutte le prove raccolte dimostrino che il nuovo coronavirus non è stato manipolato intenzionalmente in laboratorio, è impossibile provare o confutare le altre teorie sulla sua origine sebbene, per le caratteristiche stesse del genoma del virus, non appaiano plausibili.

Le ipotesi della costruzione in laboratorio del virus

Sin dall’inizio della pandemia sono state diffuse teorie di una possibile realizzazione in laboratorio del nuovo coronavirus.

A fine gennaio si era fatta strada la tesi che SARS-CoV-2 fosse il frutto di un “esperimento batteriologico” finito male e poi propagatosi a Wuhan e da lì nel resto della Cina. A divulgare questa teoria era stato il Washington Times, un quotidiano conservatore statunitense poco affidabile, fondato nel 1982 dal predicatore coreano Sun Myung Moon, leader del movimento religioso della Chiesa dell’Unificazione nato in Corea del Sud nel 1954, che aveva riportato le parole di Dany Shoham, biologo ed ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, esperto di armi batteriologiche in Medio Oriente e Asia.

Secondo quanto raccolto dal Washington Times, a Wuhan ci sarebbe un laboratorio dove il governo cinese avrebbe portato avanti un programma segreto di sviluppo di armi chimiche e gli scienziati avrebbero sviluppato SARS-CoV-2, sfuggito poi al controllo in seguito al contagio di un tecnico. 

Questa tesi – come ricostruito da Pagella Politica – era stata poi smentita dallo stesso Shoham al fact-checker Pavel Bannikov (del sito di fact-checking kazako factcheck.kz). L’esperto di armi batteriologiche aveva precisato di aver detto al Washington Times che non c’erano prove di un incidente nel laboratorio di Wuhan e che l’ipotesi più probabile era quella dell’origine naturale del contagio.

La teoria dell’esperimento batteriologico e dell’incidente nel laboratorio di Wuhan era stata rilanciata in Italia dal direttore del Tgcom24, Paolo Liguori. Secondo il giornalista di Mediaset, il Coronavirus sarebbe stato creato in un laboratorio militare (dove si studia la diffusione di virus come la SARS, situato poco distante da Wuhan, e sul quale alcuni scienziati avevano espresso il timore per un’eventuale fuga di agenti patogeni), di cui avrebbe parlato anche un articolo pubblicato nel 2017 su Nature da David Cyranoski. In realtà, nell’articolo citato da Liguori a sostegno della sua tesi, si parla del Wuhan National Biosafety Laboratory, ma da nessuna parte si fa riferimento a un laboratorio militare né tanto meno a programmi “segreti” per sviluppare “armi batteriologiche”.

Il National Biosafety Laboratory di Wuhan non è, infatti, un laboratorio militare ma è stato il primo laboratorio cinese a raggiungere nel 2015 il più alto livello di sicurezza internazionale nell’ambito della bioresearch (livello BSL -4), riservato a quelle strutture che si occupano dello studio di agenti patogeni dal rischio collettivo più elevato per i quali i trattamenti efficaci o preventivi sono limitati o non esistenti (come ad esempio il vaiolo o ebola, mentre le sindromi respiratorie come SARS e MERS rientrano tra i gruppi di rischio di livello 3). Il laboratorio – si legge in un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 2017 – è l’esito di un memorandum d’intesa con la Francia che ha partecipato attivamente alla realizzazione del progetto secondo standard internazionali di sicurezza, mentre nella formazione del personale sono state coinvolte le università di Francia, Stati Uniti e Australia.

A fine marzo è stata la volta della tesi del “super-virus”, creato nel 2015 sempre nel laboratorio di Wuhan e poi sfuggito al controllo, dando origine così alla pandemia. Questa teoria era stata rilanciata sui suoi canali social anche dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Per suffragare questa ipotesi era stato ripreso il video di un servizio del TgR Leonardo del 2015 che parlava della creazione in laboratorio in Cina, per motivi di ricerca, di un supervirus polmonare, realizzato innestando una proteina presa dai pipistrelli sul virus della SARS, ricavato da topi. Si trattava di uno studio condotto da Ralph Baric, dell’Università della North Carolina, che attraverso la realizzazione di un virus chimera – realizzato facendo esprimere a un coronavirus adattato nei ratti la proteina che funge da recettore del virus dei pipistrelli – voleva capire se in Cina nei pipistrelli circolavano ancora dei virus in grado potenzialmente di infettare. 

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La riproposizione di un video di 5 anni prima è stata sufficiente per rilanciare l'ipotesi del virus creato in laboratorio dai cinesi diversi anni fa senza che si facesse nulla sulle conseguenze pericolosissime per l'uomo.

Ma, come hanno spiegato diversi esperti, tra cui anche Antonio Lanzavecchia, direttore dell’Istituto di biomedicina all’Università di Bellinzona, tra i partecipanti alla ricerca condotta da Baric, il virus chimera, ingegnerizzato in laboratorio, non aveva nulla a che vedere con il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 per diversi motivi: 1) Il genoma del virus chimera è stato pubblicato per intero e non è lo stesso del nuovo coronavirus; 2) Le sequenze, le analisi che in modo sofisticato studiano come funzionano questi virus dimostrano che sono diversi, hanno origine diversa e che SARS-CoV-2 è emerso probabilmente sempre dai pipistrelli ma da un ceppo di virus completamente diverso da quello studiato in laboratorio; 3) «SARS-CoV-2 presenta un certo di numero di differenze rispetto ai suoi progenitori in pipistrello. Affinché queste differenze si siano evolute c’è bisogno di due cose: o un grandissimo numero di pipistrelli o di un grandissimo numero di anni perché le mutazioni sono un fatto casuale. In laboratorio non abbiamo avuto né abbastanza tempo né abbastanza pipistrelli», come spiegato da Enrico Bucci, biologo della Temple University a Philadelphia, negli Stati Uniti, e dottore di ricerca in Biochimica e Biologia Molecolare al Leibniz Institute on Aging, in Germania, con una tesi sul virus a RNA come il nuovo Coronavirus, intervistato dal TgR Leonardo lo scorso 26 marzo. 

Inoltre, ha aggiunto il professor Lanzavecchia sempre al TgR Leonardo, il virus creato in laboratorio non era affatto un “super virus”, come è stato erroneamente riportato, ma un virus in grado di vivere solo in laboratorio.

Infine, la scorsa settimana, ha fatto molto discutere la posizione di Luc Montagnier, premio Nobel 2008 per la medicina, per aver isolato per primo l'HIV nel 1983, insieme alla dottoressa Françoise Barré-Sinoussi e al dottor Robert Gallo. 

Secondo Montagnier, il coronavirus sarebbe stato fabbricato in un laboratorio di Wuhan che stava studiando un vaccino contro l'AIDS a fine 2019 e poi rilasciato per errore. Lui stesso, insieme al collega Jean-Claude Perez, avrebbero analizzato il genoma del nuovo coronavirus trovando sequenze di HIV (questi studi a doppia firma però ad oggi non risultano pubblicati).

A sostegno della sua tesi, il premio Nobel ha citato una ricerca pubblicata su una rivista indiana che è stata poi ritirata, in seguito alle critiche ricevute, mentre Perez ha pubblicato un suo studio sulla rivista "International journal of research granthaalayah", che risulta nell'elenco delle riviste predatorie (ossia pubblicazioni open access di articoli scientifici dietro compenso, che non forniscono i servizi e i processi di peer review tipici delle riviste scientifiche accreditate). 

Ma, come ha dichiarato a Le Monde, Gaëtan Burgio, genetista a capo della Australian National University, "vi è troppo poca somiglianza tra SARS-CoV-2 e la sequenza del virus dell'HIV per concludere che esiste uno scambio significativo di materiale genetico". Sulla stessa lunghezza d’onda, l’immunologo e studioso dei virus, Trevor Bredford, che in un lungo thread su Twitter ha mostrato come non sia possibile parlare di scambi tra il genoma del nuovo coronavirus e le sequenze dell’HIV:

"Il lavoro indiano a cui si fa riferimento – ha spiegato Ettore Meccia, biologo molecolare – confrontava la proteina “Spike” del SARS-CoV-2 con quelle del virus SARS del 2003. I due virus sono molto simili ma non uguali, però entrambi utilizzano la proteina Spike per legarsi al recettore umano ACE2 per cui si suppone che quella regione debba essere molto simile”. In quella regione, i ricercatori dello studio indiano hanno trovato nel genoma di SARS-CoV-2 quattro piccoli frammenti che mancano nel virus SARS. Chiedendosi da dove potessero provenire, hanno scoperto che quei frammenti si ritrovano nel genoma di HIV. 

Tuttavia, spiega ancora Meccia, “quei quattro frammenti non si trovano solo nel genoma di HIV, ma allo stesso modo anche in quello di molti altri virus, microrganismi, batteri e organismi superiori. Sono piccoli frammenti che non hanno alcuna specificità di organismo o di funzione, la loro presenza è puramente casuale. È come se qualcuno nel testo che ho scritto notasse che la parola 'testo' che ho usato si trova in un altro libro, uno in particolare, e mi accusasse di averlo copiato. Mentre la parola 'testo' si trova in mille altri libri”.

La teoria della sequenza HIV inserita nel genoma del nuovo coronavirus è stata smentita anche da uno studio specifico pubblicato su Emerging Microbes & Infections.

L’ipotesi del virus fuoriuscito inavvertitamente dal laboratorio

Una decina di giorni fa il Washington Post ha rilanciato l’ipotesi che il nuovo coronavirus, seppure non ingegnerizzato, possa essere fuoriuscito da uno dei laboratori di Wuhan, che da anni testano i coronavirus dei pipistrelli sugli animali, a causa delle carenti condizioni di sicurezza, e da lì abbia poi contagiato tutto il mondo.

A sostegno di questa tesi il Washington Post cita due dispacci diplomatici inviati nel gennaio 2018 da due funzionari dell’ambasciata americana a Pechino dopo alcuni sopralluoghi al Wuhan Institute of Virology (WIV), dove si trova il Wuhan National Biosafety Laboratory, il primo laboratorio cinese a raggiungere, come detto, il più alto livello di sicurezza internazionale nell’ambito della bioresearch (livello BSL -4). Nei dispacci i funzionari si dicevano preoccupati per le condizioni di sicurezza del laboratorio che stava svolgendo alcune ricerche sui coronavirus presenti nei pipistrelli, sotto la guida di Shi Zengli, autrice di diverse ricerche sui coronavirus dei pipistrelli e che nel novembre 2017 aveva pubblicato uno studio su alcuni pipistrelli presi in una grotta nella provincia di Yunnan, molto probabilmente dello stesso gruppo di quelli che avevano generato SARS, nel quale faceva notare che altri coronavirus simili alla SARS, scoperti in quella caverna, avevano usato il recettore ACE2 per infettare le cellule e avrebbero potuto "replicarsi in modo efficace nelle cellule primarie delle vie aeree umane".

Nello studio, Zhengli e il suo gruppo di ricerca sottolineavano la necessità di proseguire nell’analisi dei coronavirus SARS per cercare di prevenire un'altra pandemia e l’importanza delle indagini sierologiche sulla popolazione per capire se fosse già in atto uno spillover e pianificare eventuali interventi per evitare la comparsa di nuove malattie”. In questo filone di ricerca rientravano anche gli studi svolti nel 2015 per la realizzazione del virus chimera di cui si era occupato il TgR Leonardo cinque anni fa.

All’epoca i dispacci inviati dai funzionari USA non ebbero seguito (anche perché, ricostruisce il Guardian, in quel momento la presidenza degli Stati Uniti stava tagliando i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie all'estero), ma negli ultimi due mesi l’ipotesi della “fuoriuscita” del virus dal laboratorio ha iniziato a prendere credito all’interno dell’amministrazione Trump.

In particolare, quando si è cominciato a parlare per la prima volta a Wuhan del nuovo coronavirus, il vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Matthew Pottinger, notoriamente avverso alla Cina e tra i principali sostenitori della chiusura del traffico aereo dal paese asiatico, è stato tra i primi a sospettare che il governo cinese stesse nascondendo qualcosa e a insinuare il dubbio che il virus possa essere nato in uno dei laboratori cinesi dove si studiano questi patogeni e da lì essersi diffuso per un incidente. A metà gennaio, secondo quanto riportato dal New York Times, Pottinger chiede alle agenzie di intelligence di indagare per trovare evidenze a sostegno di questa teoria. Ma, come spiegato dal generale dell’esercito americano, Mark A. Milley, nonostante le «molte voci e speculazioni su diversi media, blog e siti, alla fine le indagini si sono rivelate inconcludenti» e le evidenze raccolte propendono per un’origine “naturale” del nuovo coronavirus, trasmesso da un pipistrello all’uomo tramite un animale intermedio. Posizione ribadita anche dal segretario alla Difesa Mark Esper che ha dichiarato alla NBC: «È ipotesi sotto osservazione da un po’ di tempo, ma i risultati dell'indagine sono finora inconcludenti».

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Nonostante le dichiarazioni di Milley ed Esper, Trump non ha chiuso la vicenda. Nel corso di una conferenza stampa, il presidente USA ha detto che gli Stati Uniti stanno verificando se il virus si sia diffuso “non come un’arma biologica” ma per un “errore umano”, rifiutando però di rispondere a chi gli chiedeva maggiori dettagli.

La tesi del virus fuoriuscito accidentalmente dal laboratorio di biosicurezza di Wuhan è stata respinta da diversi esperti che hanno sostenuto l’ipotesi del salto di specie dai pipistrelli all’uomo attraverso un vettore intermedio. Per quanto non impossibile, l’idea del salto di specie avvenuto direttamente in laboratorio non è suffragata da nulla di fondato se non da speculazioni, ha affermato Jeremy Konyndyk, esperto di salute pubblica presso il Center of Global Development. “Non sappiamo come si sia originato questo virus, ma tutte le evidenze portano allo spillover da un vettore naturale, che si tratti di un pipistrello o di altre specie intermedie, pangolini o altro. Portare avanti la tesi dell’incidente di laboratorio, senza alcuna prova a sostegno, ostacola gli sforzi per determinare effettivamente l'origine del virus. È irresponsabile riprendere acriticamente dispacci segreti senza interpellare un virologo o un ecologo per comprenderne la plausibilità e il contesto scientifico”, ha aggiunto Angela Rasmussen. 

Tuttavia, ha commentato il dott. Alex Greninger, professore presso il Dipartimento di Laboratorio Medicine e vicedirettore del Clinical Virology Laboratory al Washington Medical Center, non basterà solo lo studio del genoma del virus per riuscire a capire come si è originato il contagio. “Per questo è importante sapere che cosa si stava studiando nel laboratorio di Wuhan”, spiega Greninger. 

L’analisi delle sequenze genomiche non rivelano interventi di ingegneria genetica che hanno manipolato artificialmente il virus, ha detto Nikolai Petrovsky, professore al Collegio di Medicina e Salute Pubblica della Flinders University, in Australia. Questo, però, non esclude l’intervento umano sul virus, aggiunge Petrovsky: “Ad esempio, si può prendere un coronavirus di un pipistrello non infettivo per l’uomo e forzare le sue trasformazioni coltivandolo con cellule che esprimono il recettore ACE2 dell’uomo, aumentando contemporaneamente la forza del suo legame con questo recettore e riducendo quella con l’ACE2 del pipistrello”. A lungo andare, “il risultato di questi esperimenti potrebbe essere un virus altamente virulento nell'uomo ma sufficientemente diverso da non somigliare più al virus originale del pipistrello. Poiché le mutazioni vengono acquisite casualmente per selezione, non ci saranno i segni della manipolazione genetica, ma ci troveremmo di fronte a un virus creato ancora dall'intervento umano”.

In ogni modo, il coronavirus presente nei pipistrelli sul quale stava lavorando il laboratorio di Wuhan si chiama RaTG13. “Il livello di divergenza nella sequenza del genoma tra SARS-CoV-2 e RaTG13 – spiega il virologo evoluzionista Edward Holmes, del Charles Perkins Center e del Marie Bashir Institute for Infectious Diseases and Biosecurity dell'Università di Sydney – equivale a una media di 50 anni (e di almeno 20 anni) di cambiamento evolutivo. Questo significa che in natura occorrerebbero circa 50 anni affinché questi virus si evolvano per essere così diversi come sono attualmente”.

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Il WIV ha negato che il virus possa essersi originato al suo interno e da lì poi essere fuoriuscito. Zhengli ha dichiarato di aver svolto un’indagine approfondita non appena ha saputo dei primi casi a Wuhan, la notte del 30 dicembre 2019, di essersi messa al lavoro per sequenziare i genomi di SARS-CoV-2 dai pazienti infetti e confrontare i risultati con i dati degli esperimenti fatti in questi anni, ma di non aver trovato alcuna corrispondenza tra i virus sui quali stava facendo ricerca il suo team e quelli trovati nelle persone contagiate. “Mi sono davvero tolta un peso, non avevo dormito per giorni”, ha detto la ricercatrice a Scientific American.

All'inizio di febbraio, Zhengli aveva inviato un messaggio su WeChat per rassicurare i suoi amici che non c'erano collegamenti: "Lo giuro sulla mia vita, [il virus] non ha nulla a che fare con il laboratorio".

Immagine in anteprima via Washington Post

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