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Come non parlare di stupro in televisione: Avanti Popolo e l’intervista di Nunzia de Girolamo

8 Novembre 2023 5 min lettura

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Come non parlare di stupro in televisione: Avanti Popolo e l’intervista di Nunzia de Girolamo

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L’intervista di Nunzia De Girolamo ad Asia, la diciannovenne che ha denunciato lo stupro subito da sette coetanei a Palermo il 7 luglio 2023, è un compendio di tutto quello che non bisognerebbe fare quando si parla di violenza sessuale in televisione. Se come affermazione sembra un po’ forte, aggiungiamoci che la Commissione pari opportunità della Rai e la sigla sindacale USIGRai hanno presentato un esposto alla presidenza dell’Ordine dei giornalisti del Lazio in cui stigmatizzano la “superficialità e incompetenza” con cui l’episodio è stato trattato.

Tutto sbagliato, lo dice l’esposto e lo ripetiamo anche qui. Fra tutti i reati, la violenza sessuale è quello che più spesso viene usato per fare audience e spettacolo, senza il minimo riguardo per le vittime o garantismo nei confronti degli imputati, che anche nell’evidenza di una condotta criminale hanno diritto a regolare processo. Quando a dominare le cronache erano le accuse di stupro ad Alberto Genovese (“imprenditore”, precisavano i titoli dei giornali: guai a far mancare a un uomo la giusta qualifica professionale), poi condannato, la trasmissione Non è l’Arena condotta da Massimo Giletti su LA7 dedicò svariate puntate all’analisi dell’accaduto, non mancando di torchiare in diretta le donne che avevano denunciato Genovese. È la dinamica classica del talk show, che introduce la logica dello scontro anche nei punti in cui il dibattito dovrebbe essere del tutto assente per assenza di conflitto su valori condivisi. Anche in questo caso partì un richiamo, presentato dall’AGCOM, e l’Ordine dei Giornalisti del Lazio ne fece materia per un corso di formazione.

Lo stupro attira attenzioni morbose, è utilizzato come snodo di trama in film e serie televisive, è assimilato e sovrapposto al rapporto sessuale; la responsabilità dello stupro grava sempre su chi lo subisce, allo stupratore non viene mai chiesto conto delle sue azioni. L’assunto implicito è sempre lo stesso: la stuprata è debole, lo stupratore è forte. La stuprata è vittima, lo stupratore è paragonato a un animale: un “lupo” (nella versione di Andrea Giambruno) o parte del “branco”, come fa anche De Girolamo. Non un uomo, o un ragazzo, quindi: non uno come tanti, ma uno diverso, dotato di caratteristiche ferine, facile da distinguere dagli uomini “normali” e quindi anche facile da evitare.

Asia, che compare a volto scoperto e del tutto riconoscibile (come anche sui suoi social), viene introdotta da De Girolamo senza cognome. Non è minorenne, è a tutti gli effetti responsabile di sé stessa, ha scelto di farsi intervistare: eppure non viene trattata come una donna adulta. Omettere il cognome delle donne significa infantilizzarle: e anche se ci sono casi in cui questa omissione è giustificata da una necessità di anonimato, non è questo il caso. È successo anche a Valentina Mira, scrittrice e giornalista, che chiamata a parlare di violenza sessuale a Filorosso, su Rai 3, si è vista cucire addosso la parte della vittima di violenza, trattata con paternalismo e delegittimata dal punto di vista professionale.

Ma se Mira ha 33 anni, è una donna adulta ed è in grado di decostruire sia la violenza sia la vittimizzazione secondaria derivante dalla spettacolarizzazione del racconto della violenza, Asia non sembra essere altrettanto strutturata. De Girolamo si rivolge alla ragazza con il tono di una madre affettuosa, portandola a raccontarsi come una persona vulnerabile, fragile, già vittima di violenza, disorientata e incapace di comprendere che quel ragazzo che le piaceva poteva trasformarsi in aguzzino.

Dopo averla portata a esporsi, raccontando il suo privato (che nulla ha a che vedere con la violenza che ha subito, né la giustifica in alcun modo: la violenza non è qualcosa che accade, ma un’azione che qualcuno compie ai danni di qualcun altro), De Girolamo apre il fuoco. Prima costringe Asia a ripercorrere minuto per minuto gli eventi di quella serata, una pratica che è considerata ritraumatizzante anche per persone che hanno avuto anni per elaborare la violenza subita. Poi le legge i messaggi (rivoltanti) dei ragazzi accusati di averla stuprata, chiosando con “Sono loro a doversi vergognare”. Il sottinteso è che Asia debba provare vergogna per quello che le è stato fatto: tutte le vittime di violenza si vergognano, lo stupro è una macchia sulla loro reputazione, un danno incancellabile che le riduce a merce difettata.

In caso non fosse così, ecco un bel servizio con le voci dei palermitani, selezionate fra quelli che ritengono che la ragazza se la sia cercata, con le sue azioni, le sue scelte, gli abiti che indossa e anche per essere uscita di casa. “Vuoi dire qualcosa a queste persone?” Domanda De Girolamo, invitando Asia ad approfittare del mezzo televisivo. Tutto è verticale su di lei, su quello che le è stato fatto: nessun cenno alla natura sistemica della violenza, anzi, De Girolamo non manca mai di ricordare che “molti uomini” hanno dato sostegno ad Asia nei giorni in cui il caso era su tutti i giornali. Dalla conduttrice di Ciao maschio! non ci si aspettava niente di meno. Il tutto finisce con un abbraccio, un appello a dare lavoro ad Asia, e una rassicurazione: “In me avrai sempre un’amica”.

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Contenuti come questo possono avere un solo effetto, e non è da escludere che siano pensati e realizzati con uno scopo preciso: ricordare alle donne che denunciare una violenza è rischioso. La gogna – sociale e mediatica – è praticamente garantita. Asia ha dovuto lasciare la sua città: è sola, sradicata, sovraesposta, definita dal suo status di vittima, e per giunta deve ancora affrontare l’ordalia del processo. Praticamente un manifesto di quello che attende le ragazze e le donne prive di una rete di sostegno, nonché un segnale di via per gli uomini che volessero colpirle. Il tutto con il solo fine di risollevare gli ascolti di un programma non esattamente di successo: Avanti popolo rimane fanalino di coda dello share, assestandosi fra il 2,5 e il 2,6%.

Dalla pubblicazione del Manifesto di Venezia, che elenca una serie di buone pratiche orientate a un trattamento migliore e più equilibrato delle questioni di genere nei giornali, sono passati quasi esattamente sei anni: il documento porta la data del 25 novembre 2017, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Da allora alcune cose sono cambiate, ed è sicuramente cambiato il dibattito intorno alla violenza di genere: ma non abbastanza, e non al punto di sconsigliare la messa in scena di processi mediatici alle vittime di violenza sessuale, ma anche di teatrini melensi con lacrima e abbracci finali.

Immagine in anteprima via RaiPlay

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