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Cosa succede se il New York Times pubblica un “commento fascista”

7 Giugno 2020 9 min lettura

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Cosa succede se il New York Times pubblica un “commento fascista”

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L'editor della sezione Opinioni del NYT si è dimesso dal ruolo

Aggiornamento 8 giugno: Domenica l’editore del New York Times A.G. Sulzberger ha annunciato le dimissioni di James Bennet, editor della pagina Opinioni, dopo la pubblicazione dell’articolo del senatore Cotton. Anche a Jim Dao, vice editor della pagina che si era assunto pubblicamente la responsabilità di aver supervisionato l’editing del pezzo, sarà assegnato un nuovo ruolo in redazione. A guidare la sezione Opinioni per le elezioni del 2020 sarà Katie Kingsbury, anche lei vice editor. “Questa è stata una settimana dolorosa per l’azienda, ma ha scatenato un dibattito urgente e importante”, ha scritto Sulzberger in un messaggio allo staff del NYT.

 

Mercoledì pomeriggio nella sezione Opinioni del New York Times è stato pubblicato un articolo firmato dal senatore del Partito Repubblicano dell’Arkansas, Tom Cotton, dall’eloquente titolo “Mandate l’esercito”.

Il pezzo, con riferimento alle proteste contro il razzismo e la violenza della polizia scoppiate in seguito all’uccisione di George Floyd a Minneapolis, chiede al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di utilizzare i militari per sedare le manifestazioni: “Una sola cosa ripristinerà l’ordine nelle nostre strade: uno schiacciante dispiegamento di forze per disperdere, arrestare e scoraggiare chi trasgredisce la legge”.

In alcune città, le forze dell’ordine locali, secondo il senatore, “hanno un disperato bisogno di sostegno, mentre in altre politici deliranti si rifiutano di fare ciò che è necessario per sostenere lo stato di diritto”, ed è dunque venuto il momento di ricorrere all’Insurrection Act, che consente al presidente USA in casi eccezionali di mobilitare l’esercito federale e la Guardia Nazionale per compiti di polizia. Cotton chiama coloro che sono scesi in piazza “saccheggiatori”, “insurrezionalisti” e “rivoltosi” che hanno “gettato molte città americane nell'anarchia, ricordando le violenze degli anni '60” e sostiene che le rivolte siano state “un carnevale” per coloro che erano in cerca di un brivido e “altri attività criminali”. Nell’articolo vengono usate locuzioni come “orgia di violenza” e si fa riferimento a “schiere di radicali di sinistra come gli Antifa” che “si sono infiltrati nelle marce di protesta” - così come affermato da Trump e definito “disinformazione” dallo stesso New York Times.

La pubblicazione dell’articolo del senatore ha provocato le proteste di centinaia di giornalisti del New York Times. Più di 800 dipendenti hanno firmato una lettera indirizzata all’azienda, criticando l’opportunità di pubblicare l’articolo del senatore: “Crediamo che il suo messaggio svaluti il lavoro che facciamo, nella redazione news e in quella delle opinioni, e violi i nostri standard per un giornalismo etico, accurato e nel pubblico interesse. Inoltre, mette a repentaglio la capacità dei nostri giornalisti di lavorare in modo sicuro ed efficace per le strade”. La lettera, come riporta Vanity Fair, chiede al management del Times una serie di correzioni, nonché una nota, un follow-up o un ulteriore articolo che esamini le affermazioni false, le esagerazioni e le ipotesi contenute nel pezzo del senatore.

Le critiche dei giornalisti del NYT si sono diffuse anche su Twitter, nonostante la policy dell’azienda preveda che non possano prendere posizioni sui social.

In molti hanno pubblicato uno screenshot dell’editoriale accompagnato dalla frase “Pubblicare questo mette in pericolo i giornalisti neri del New York Times” o “Pubblicare questo mette in pericolo le persone nere, compresi i giornalisti neri del New York Times”.

Oltre 160 dipendenti hanno organizzato uno sciopero virtuale per venerdì mattina. Nella giornata di giovedì in molte redazioni si sono tenute videocall e riunioni, mentre molti giornalisti si sono messi in malattia per protesta. In un canale Slack usato dal NYT, riporta Nieman Lab, un giornalista ha scritto: “Non mi sono mai aspettato che ogni pezzo pubblicato dal New York Times confermasse la mia personale visione del mondo, ma non mi sarei mai aspettato nemmeno che il Times pubblicasse un articolo che incitasse alla violenza di Stato, usando molteplici affermazioni false e fuorvianti a sostegno”. Un articolo che “i nostri stessi giornalisti affermano possa incidere sulla loro sicurezza e sul loro lavoro”.

Anche giornalisti di altre testate si sono uniti alle critiche. Sewell Chan, ex editor della sezione Opinioni, ha scritto su Twitter che “il giornale più ricco, grande e potente in America” deve “esercitare discrezione e prudenza nell’uso della sua piattaforma. E questo non è stato fatto”.

Per tutta la giornata di mercoledì e fino a giovedì sera, il management del Times ha difeso la scelta di pubblicare l’articolo del senatore Cotton. Con una serie di tweet, James Bennet, editor della sezione Opinioni ha spiegato che la sezione “ha il dovere di mostrare ai suoi lettori argomentazioni contrarie, specialmente quelle di persone in posizioni di potere. Capiamo che molti lettori hanno trovato le argomentazioni del senatore Cotton dolorose, anche pericolose. Crediamo che questa sia la ragione per cui richiedano pubblico scrutinio e dibattito”.

La spiegazione non è servita a calmare le acque. Su Slate Ashley Feinberg riporta che secondo un dipendente del servizio clienti, tra le 4 e le 5 del pomeriggio di mercoledì scorso il giornale ha ricevuto 203 cancellazioni, il numero più alto più alto mai registrato in un’ora.

La giornalista del Washington Post Margaret Sullivan, ex public editor del NYT, ha affermato che non avrebbe mai pubblicato quel pezzo “per una moltitudine di ragioni”: “Le persone nere si sentono già sotto assedio e in pericolo; esistono dei limiti per ciò che è considerato accettabile pubblicare in questa sezione così influente, e questo articolo secondo me li oltrepassa; gli USA in questo momento sono una polveriera; Cotton può ottenere spazio per le sue idee (e spingere la sua campagna per il 2024) altrove”.

Secondo Jay Rosen, professore di giornalismo all’Università di New York, il punto del discorso non è se pubblicare o meno opinioni che consideriamo ripugnanti, quanto chiedersi se si vuole o meno dare amplificazione a quelle opinioni.

In un articolo pubblicato giovedì, Bennet ha affermato di essere fermamente contrario all’utilizzo dell’esercito, anzi, di esserne spaventato, ma ha ulteriormente elaborato la sua spiegazione delle ragioni della pubblicazione: “Ci siamo impegnati con i lettori del Times a fornire un dibattito su questioni importanti come questa. Metteremmo a repentaglio l’integrità e l’indipendenza del New York Times se pubblicassimo solo opinioni con cui gli editor come me sono d’accordo, e tradiremmo quello che penso sia il nostro scopo fondamentale: non dire ai lettori cosa pensare, ma aiutarli a pensare”.

Poi, nella serata di giovedì, il NYT ha rilasciato una dichiarazione affermando che l’articolo di Cotton non rispettava gli standard del giornale. “Abbiamo esaminato il pezzo e il processo che ha portato alla sua pubblicazione. Da questa revisione è emerso che un processo di pubblicazione frettoloso ha portato alla pubblicazione di un articolo che non rispetta i nostri standard. Di conseguenza, stiamo pianificando di prendere in esame modifiche sia a breve che a lungo termine, tra cui l'allargamento delle operazioni di fact-checking e la riduzione del numero di opinioni che pubblichiamo”, ha dichiarato Eileen Murphy, portavoce del giornale.

Come riportato da un articolo dello stesso NYT che ricostruisce tutta la vicenda, poco prima, durante un meeting con membri dello staff, Bennet ha ammesso in video di non aver letto l’articolo di Cotton prima della pubblicazione.

A.G. Sulzberger, editore del Times, aveva scritto in una nota allo staff giovedì mattina di credere “nel principio dell’apertura a diverse opinioni, anche a quelle con cui possiamo non essere d’accordo, e questo pezzo è stato pubblicato con questo spirito”. La sezione Opinioni esiste per offrire posizioni di diversa provenienza, “con un focus speciale su quelle che sfidano quelle prese dal nostro comitato editoriale”.

La sera stessa, in un messaggio su Slack, Sulzberger ha però cambiato tono, e iniziato a parlare di “processo editoriale frettoloso” che aveva portato alla messa online del pezzo di Cotton, anticipando quanto poi verrà ufficialmente dichiarato dal giornale: “La sezione Opinioni prenderà alcune decisioni per ridurre le probabilità che qualcosa di simile accada ancora”. Sulzberger ha anche aggiunto che sebbene il pezzo sia ancora online, verrà aggiunta una nota con la posizione dell’azienda.

L’articolo del New York Times ricostruisce tutto il processo di pubblicazione del pezzo di Cotton. Dell’articolo si era occupato un editor della sezione Opinioni, e sembra che molti altri componenti dello staff non ne fossero a conoscenza prima che fosse pubblicato. Durante il processo di editing, peraltro, c’erano state alcune discussioni tra l’editor e il photo editor. Quest’ultimo, infatti, senza sapere che il pezzo era già stato messo online aveva scritto sul canale Slack usato dai dipendenti che si trattava di un articolo “fortemente inappropriato”.

Nel pomeriggio di giovedì, in una riunione video della redazione Opinioni, Bennet e James Dao, il vice direttore della sezione, hanno riconosciuto che si era verificato un “intoppo” nel processo di pubblicazione, che il pezzo era stato verificato, ma che sarebbe dovuto essere verificato ancora. Anche Dean Baquet, il direttore della redazione del New York Times che si occupa della parte di news, ha saputo dell’articolo di Cotton soltanto dopo che è stato messo online.

Dopo la pubblicazione del comunicato in cui si diceva che il pezzo non rispettava gli standard del giornale, lo staff del senatore ha dichiarato di non essere stato contattato dal NYT, e che il processo editoriale era stato simile a quello avuto in passato con il Times e altre pubblicazioni. “Siamo curiosi di sapere quale parte del processo e di questo articolo non rispettano i loro standard”.

In una riunione con lo staff tenutasi venerdì mattina, Sulzberger ha detto inequivocabilmente che l’articolo di Cotton “non avrebbe dovuto essere pubblicato”.

Michelle Goldberg, giornalista della sezione opinioni del NYT, ha pubblicato venerdì un pezzo sulla vicenda dal titolo Tom Cotton’s Fascist Op-Ed
How should opinion pages respond to the right’s author: “Quando ho visto per la prima volta l’editoriale di Cotton non ero così inorridita come forse mi sarei dovuta sentire. Ho pensato che si fosse rivelato come un pericoloso autoritario. Ma quando ho visto la reazione angosciata dei miei colleghi, ho iniziato a dubitare del mio approccio aperto al dibattito sulla questione della pubblicazione di opinioni proto-fasciste (…) Il pericolo di cui twittavano i miei colleghi è reale. In giro per l’America durante la scorsa settimana, manifestanti pacifici e giornalisti sono stati brutalizzati da agenti di polizia in nome dell’ordine pubblico”.

Nella sua newsletter su Poynter, Tom Jones mette in luce alcuni problemi delle iniziali giustificazioni del giornale sull’opportunità di pubblicare quel commento. In particolare, se da un lato è ammirevole l’idea di dare spazio a posizioni diverse, dall’altro è Bennet stesso nel suo pezzo sul NYT a dire di avere paura che l’uso dei militari potrebbe portare ad altra violenza. “E questa è la paura di molte persone. E siccome la posta in gioco è così alta – letteralmente vita o morte – permettere a idee di questo tipo di trovare spazio sul Times mi sembra pericoloso e irresponsabile”.

Tra l’altro, spiega Jones, l’articolo del senatore non introduce un’idea nuova, non ancora presa in considerazione e quindi meritevole di dibattito. Perciò, “in questo momento di instabilità del paese, l’articolo di Cotton è più dannoso che utile”. Il senatore, peraltro, avrebbe potuto usare Twitter per esprimere un’idea del genere, e non essere amplificato da una delle più grandi media company del mondo.

Quando si verificano questi episodi, nota Jones, i giornali spesso fanno notare ai lettori che la redazioni dove si pubblicano i pezzi d’opinione sono separate da quelle di news – due dipartimenti completamente indipendenti che non si consultano tra loro. “I giornali possono ripetere questa cosa quante volte vogliono, molti lettori continueranno a non capirlo. Tutto quello che sanno è che qualcosa è stato pubblicato sul New York Times”.

Gabriel Snyder ha scritto sul Columbia Journalism Review che il problema di considerare il NYT come un forum aperto per idee di tutti i tipi è che il giornale rischia di diventare una piattaforma anche per coloro che sono ostili ai suoi valori fondanti e in aperto contrasto con la sua missione di “cercare la verità e aiutare le persone a capire il mondo”. “A me sembra che il problema principale dell’editoriale di Cotton non sia che i suoi argomenti sono gravi o pericolosi (nonostante lo siano), ma che è costruito su menzogne”, afferma Snyder, ricordando il modo in cui il senatore ha descritto le proteste.

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“A un certo punto il Times e la sua pagina delle opinioni dovranno imparare a parlare nei termini dei valori in cui credono, ed essere in grado di distinguerli da quelli a cui si oppongono”, aggiunge. “Il razzismo alla base delle proteste di migliaia di persone in questo paese è radicato nelle menzogne che i bianchi raccontano sui neri. Sostenere la verità – ed essere contro il razzismo – richiede che quelle bugie vengano smascherate. Il Times fallisce nella sua missione di ‘cercare la verità’ quando concede la sua piattaforma ad altri che la usano per dire menzogne”.

Foto anteprima via Wikimedia Commons

 

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