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La politica come arma di distrazione: la destra italiana usa la comunità LGBTQ+ per evitare di affrontare le vere emergenze

17 Giugno 2023 6 min lettura

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La politica come arma di distrazione: la destra italiana usa la comunità LGBTQ+ per evitare di affrontare le vere emergenze

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Il mancato patrocinio al Roma Pride 2023 è forse, ad oggi, uno degli ultimi passaggi di una specifica strategia da parte della destra al potere. Strategia che mira a sobillare gli animi su questioni “altre”, che riguardano temi molto polarizzanti. Con l’effetto, però, di distogliere l’attenzione da fatti politici molto più problematici per il paese.

Sia ben chiaro: non penso affatto che la tutela dei diritti civili sia una questione secondaria, anzi. Una società è felice quando è anche libera, oltre che caratterizzata dal benessere diffuso. E se i temi economici sono fondamentali, per costruire la felicità materiale di una società, i diritti di cittadinanza sono l’altra faccia della moneta. Quella della libertà, appunto, individuale e collettiva. Se manca l’una, manca l’altra. E questo è forse il più grosso limite di quella sinistra che, storicamente, ha trattato il tema dei diritti come “parente scomodo” e divisivo, nella sua azione politica.

Oggi una parte di opinione pubblica (di area progressista e liberale) sembra molto sensibile alla questione della libertà delle minoranze e delle donne: libertà sotto attacco da parte dell’estrema destra al potere. Ma sembra, appunto, che la destra voglia creare clamore su tali questioni facendone un’arma di distrazione di massa. Ottenendo due risultati: non si parla delle difficoltà oggettive del governo rispetto ad alcuni fatti di natura economica, da una parte;  dall’altra, l’esasperazione del dibattito alimenta un clima di ostilità sociale – tra l’elettorato “conservatore”, soprattutto – sui temi LGBTQ+.

Va ricordato che l’attuale maggioranza è popolata da quegli stessi attori politici che – ai tempi del ddl Zan, nella precedente legislatura, e sulle unioni civili e le stepchild adoption in quella precedente – derubricavano l’agenda arcobaleno come tema inessenziale, di fronte alle reali (e presunte) emergenze dell’Italia. Salvo poi, una volta giunti al potere, fare di tali tematiche vere e proprie bandiere ideologiche al centro di specifiche scelte politiche. Argomento che sicuramente ha trovato una sponda anche nel cosiddetto campo progressista e liberale-moderato, sebbene va anche registrato che in quell’area politica si sono tentate timide proposte politiche per legiferare a favore della comunità arcobaleno. Lo stesso non si può dire della destra attualmente al governo.

Certo, non è l’unico fronte di guerra quello sui diritti civili: dal decreto anti-rave alle politiche migratorie, passando per la difesa della lingua italiana dai forestierismi e le polemiche sulla farina di insetti e sulla carne sintetica, sembra che tali questioni siano preminenti. E ci si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso, visto che fino al 2021 (anno in cui venne fatto naufragare il ddl Zan) i problemi – dicevano loro – “erano altri”.

La situazione attuale, dunque, sembra essere il punto di arrivo di una narrazione di medio periodo che dal 2014 – con le polemiche sulla cosiddetta “legge Cirinnà” – si è concentrata contro i diritti delle famiglie arcobaleno e della comunità trans. Già nei mesi scorsi dalle latitudini “conservatrici” sono partiti attacchi molto duri, contro quest’ultima.

Come ha fatto notare Simone Alliva, in un suo articolo su l’Espresso, Giorgia Meloni in persona si è scagliata contro la questione transgender su Grazia, nei primi di marzo. “La Presidente del Consiglio” ricorda il giornalista “attacca in una sola intervista l'identità di genere (‘Le donne sono le prime vittime dell'ideologia gender. La pensano così anche molte femministe’) e la comunità trans (‘No al diritto unilaterale di proclamarsi donna’)” oltre alla legge 194 e l’omogenitorialità.

Ancora a metà marzo, durante il secondo giorno degli Stati generali della Natalità a Roma, Meloni dichiara

L’obiettivo primario delle teorie gender non è la lotta alle discriminazioni, ma un individuo indifferenziato che poi tanto indifferenziato non è, è maschio. Il problema mi pare sia l’identità della donna e della madre, il grande valore simbolico della maternità.

Lo spettro del genere indifferenziato non è argomento inedito, per Meloni. Nel suo famoso discorso del 2019, durante la manifestazione “Orgoglio italiano”piazza San Giovanni a Roma, parlò di “gioco del pensiero unico”. Il quale, secondo la leader di FdI, mirerebbe a distruggere l’identità (nazionale e individuale) per poter meglio controllare coscienze e corpi. Rimase celebre il suo: “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana” continuando con “non me lo toglierete”.

Tale retorica della “rapina identitaria” torna, dunque, cavalcando il timore della cancellazione dell’identità femminile. Quando, però, il pericolo di cancellazione reale lo corre la comunità transgender. Dagli attacchi alla carriera alias, alle aggressioni fisiche: il caso di Bruna, della cui aggressione sono accusati quattro agenti di polizia. E in questo frangente, alcuni esponenti di Fratelli d’Italia e Lega hanno difeso le forze dell’ordine, invece di condannare quelle violenze.

Di stringente attualità politica, e parlamentare, è invece il tentativo di legiferare contro la maternità surrogata già vietata nel nostro paese, e con pene severe, dalla famigerata legge 40. Il salto di qualità starebbe nel rendere “reato universale” una pratica che però è legale altrove. La discussione è attesa in aula il 19 giugno, nel cuore del Pride Month. Data per nulla simbolica. Ma c’è di più: il dibattito che si sta creando attorno a questa proposta di legge rischia di essere lesivo solo della dignità delle persone LGBTQ+ e dei padri omosessuali nello specifico.

Si mettono, infatti, in un unico calderone situazioni molto differenti: la condizione delle gestanti in Ucraina (dove possono recarsi solo coppie eterosessuali) è decisamente diversa da quella delle donne americane e canadesi (paesi prescelti dai padri arcobaleno). Queste ultime, per legge, devono essere economicamente indipendenti al fine di evitare situazioni di sfruttamento. Eppure, a seguire il dibattito sui social e le dichiarazioni di questo o quell’esponente politico, non si va molto lontani dal supermercato di infanti strappati a donne povere incapaci di autodeterminarsi. La “clientela” secondo tale narrazione sembrerebbe quasi esclusivamente omosessuale, quando invece la stragrande maggioranza di utenti è formata da eterosessuali che non possono procreare.

Le conseguenze di tale narrazione, come già detto, sono molto pesanti e pericolose: la legge contro “l’utero in affitto” sembrerebbe inapplicabile, come dichiara Filomena Gallo in un’intervista su Huffington Post, sebbene alcune ricadute potrebbero interessare proprio i figli e le figlie delle coppie che ricorrono alla GPA. “Per incriminare chi ricorre alla GPA oltre i confini nazionali”, ha scritto su Valigia Blu Vitalba Azzolini “tale pratica dovrebbe essere considerata reato non solo in Italia, ma anche nello Stato ove è compiuta”. Ma, se come sembra ci troviamo di fronte a un ircocervo giuridico, sul piano simbolico getterebbe ulteriore discredito sulle famiglie arcobaleno, viste come acquirenti di infanti e sfruttatrici di donne.

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E ancora, sempre sul piano simbolico, occorre soffermarsi su un aspetto di non poco conto: sia gli attacchi al “gender”, sia la narrazione sulla GPA e sulle famiglie omogenitoriali contribuiscono a consolidare una demonizzazione incentrata sul rapporto tra comunità LGBTQ+ e infanzia. Il mantra “giù le mani dai bambini”, ripetuto ossessivamente quando si parla di tali questioni, è tristemente evocativo. E dunque "utero in affitto", "gender" e omogenitorialità in senso lato diventano questioni agitate come elemento identitario negativo: la comunità LGBTQ+, attraverso essi, attenterebbe appunto all'infanzia (alla sua innocenza, alla sua salute psico-fisica, alla sua felicità). E quindi attenterebbe al futuro della società nella sua interezza. Un ulteriore passaggio, nel processo di demonizzazione della nostra comunità è l’allusione reiterata alla pedofilia, strategia retorica già utilizzata ampiamente sia negli USA, sia nel Regno Unito.  

Mentre tutto ciò accade, si distrae l'opinione pubblica da altri fatti, come le difficoltà della maggioranza e del governo sul PNRR. O il rovinoso calo delle vendite del comparto alimentare, dove si registra “una significativa flessione della domanda, che lascia intravedere un secondo semestre dell’anno molto difficile” secondo i dati dell’ISTAT. E di fronte a tutto questo, sembra che la preoccupazione della maggioranza sia quella di sobillare l’opinione pubblica contro un pericolo che esiste più nella narrazione in atto che nei dati concreti. Strumentalizzando la comunità LGBTQ+ come capro espiatorio e come soggetto da attaccare. Ciò si configura, come già accennato, come arma di distrazione, perché non si affronta il nodo dell’economia: passaggio analogo a quanto accade sempre in Gran Bretagna, di fronte agli effetti disastrosi della Brexit. E diviene infine un modo per plasmare la società in modo repressivo secondo determinati valori, che possiamo definire, recuperando il linguaggio meloniano, come “conservatori”: nell’ottica di una società in cui non c'è spazio per quelle categorie percepite come "devianze" (altro termine recentemente sdoganato dal programma elettorale del partito di Giorgia Meloni) se non come problema da gestire e risolvere, e non come soggetti politici.

Immagine in anteprima: Frame video Il Sole 24 Ore via YouTube

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