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La Lega e il caso del Bahja Pool Party: ogni scusa è buona per l’islamofobia

5 Luglio 2023 7 min lettura

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La Lega e il caso del Bahja Pool Party: ogni scusa è buona per l’islamofobia

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La festa per sole donne alle piscine “Al Gabbiano” di Limbiate si sarebbe dovuta tenere sabato 8 luglio, ma l’Europa dei leghisti ha detto no. Questo è il riassunto, sarcastico ma non inesatto, di un intervento che a spacchettarlo ha dell’incredibile: nei giorni scorsi l’europarlamentare della Lega, Isabella Tovaglieri, ha deciso di investire il suo capitale politico per fare pressioni contro l’evento Bahja Pool Party, costringendo gli organizzatori ad annullarlo [ndr, gli organizzatori hanno detto successivamente che l'evento ci sarà ma la nuova località è ancora segreta]. Il motivo era la policy della festa: solo donne, ed evento “hijab-friendly”, quindi senza foto o telecamere di sorveglianza accese. 

Tovaglieri si è scagliata contro la festa (privata, lo ripetiamo perché si capisca: un evento come tanti, una location affittata come si può fare per qualsiasi compleanno, addio al nubilato o baby shower senza dover rendere conto del dress code o del criterio di scelta degli invitati) perché, a suo parere, indicherebbe una “pericolosa islamizzazione” dell’Europa. L’ingresso delle bambine con un biglietto a prezzo ridotto, inoltre, avrebbe costituito un tentativo di indottrinamento alla “segregazione e alla sottomissione”. Alla cancellazione dell’evento, Tovaglieri ha reagito con soddisfazione e card tonanti dal suo profilo Twitter, sbandierando il commento dei gestori della piscina che si dicevano non al corrente delle restrizioni richieste, contrarie ai loro “ideali”.

Non è la prima volta che i leghisti si scagliano contro le feste a cui non sono invitati: il “decreto anti-rave” promosso dal ministro Piantedosi e primo provvedimento di rilievo del suo dicastero è nato come reazione a un caso di cronaca (una festa in un capannone industriale abbandonato a Modena, che le autorità competenti stavano avendo problemi a sgomberare) e ha come oggetto specifico proprio i raduni musicali o aventi “altro scopo di intrattenimento”. Ne consegue, a essere proprio fiscali, che radunarsi senza autorizzazione si può, a patto che non ci si diverta o che dall’impianto di amplificazione nessuno trasmetta della musica, no, neanche i Modena City Ramblers. Incontratevi, ma tristi.

Quanto sopra non è del tutto vero, ovviamente (esistevano già delle leggi contro le occupazioni abusive di suolo pubblico o di proprietà privata, nonché delle norme in materia di sicurezza), ma è indicativo dell’indirizzo generale dei leghisti, la cui idea di sicurezza è strettamente legata al controllo e alla repressione della libera associazione, diritto garantito dalla Costituzione agli articoli 17 e 18. Nel caso della festa in questione, però, il problema della sicurezza non si poneva affatto, essendo il luogo designato una piscina a norma dotata di tutte le autorizzazioni. Difficile anche pensare che i gestori dell’impianto non avessero contezza delle richieste delle partecipanti, che non andavano in senso restrittivo (nessuna era obbligata a coprirsi, a portare il velo o il burkini: casomai il contrario, la festa era privata e organizzata fra sole donne proprio per sentirsi libere di stare a proprio agio e lontane dagli sguardi maschili) e che dovevano per forza essere chiare fin dall’inizio, dato che era stato richiesto lo spegnimento delle telecamere di sicurezza per rispettare la privacy delle invitate. 

Non si trattava nemmeno di una festa “per donne musulmane”, ma di una festa per sole donne, come ce ne possono essere migliaia in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo del paese. Ci si può immaginare che in un luogo come Limbiate, che non ha proprio l’estensione di New York, una festa del genere potesse prevedere la presenza delle amiche delle organizzatrici, alcune musulmane, altre no, e delle loro figlie, che presumibilmente vanno a scuola insieme e hanno già visto più volte le madri delle amiche con il velo in situazioni non balneari.

Si tratta, insomma, del solito caso di islamofobia istituzionale, un misto di ignoranza e demonizzazione di una religione e delle sue pratiche, anche e soprattutto quelle che riguardano l’individuo e non la collettività: come, appunto, la decisione di quanto del proprio corpo coprire o scoprire, per le motivazioni più varie ma sempre insindacabili. È difficile ignorare quanto sia diverso il trattamento della pubblica professione di fede fra le donne cattoliche e quelle musulmane: il cattolicesimo esibito, sfoggiato, sbandierato e imposto con la forza (o con le leggi) non viene certo trattato con la stessa diffidenza con cui si accoglie un velo indossato in pubblico.

“Le donne musulmane in Italia, in particolare le giovani, frequentano tutti gli spazi pubblici del paese”, commenta a Valigia Blu Sumaya Abdel Qader, autrice, sociologa ed ex consigliera comunale a Milano durante il primo mandato di Beppe Sala. “Dalle scuole, ai vari locali, alle spiagge, alle piscine alle palestre, vanno ovunque senza problemi che non siano quelli creati dagli altri. Quando si presentano nelle piscine pubbliche devono subire commenti disgustati e critici, e ci sono addirittura utenti che vanno a segnalare alla direzione la presenza di donne musulmane ‘che fanno il bagno vestite’. A volte si ritrovano a vedersi controllati gli indumenti che indossano, per verificare che siano di un materiale conforme alla legge. Al mare è difficile stare in pace senza subire anche lì i commenti di molte persone. È sempre faticoso poter essere chi si vuole.”

La questione della scelta (e della libertà di scelta) viene spesso affrontata dalla società occidentale in maniera unidirezionale: nel tentativo di affermare il (sacrosanto) principio dell’autodeterminazione, si nega che le donne di fede islamica – che scelgono di coprirsi il capo e il corpo al di fuori della sfera familiare – stiano compiendo una libera scelta. Una posizione che genera un paradosso, per cui la donna musulmana velata non può che essere oppressa e privata della possibilità di scegliere per sé come manifestare la sua fede, che finisce non solo per negare a queste donne la possibilità dell’autodeterminazione (perché se per vivere serena mi devo vestire come dici tu, allora non mi sto autodeterminando: sono solo legata a un altro standard), ma anche per marginalizzarle ulteriormente. Tutto questo senza entrare nel discorso molto più ampio su come ogni capo di vestiario che indossiamo sia pensato per coprire il corpo secondo la nostra definizione condivisa di pudore, ma il pudore non è una costante nelle epoche, e fino a cinquant’anni fa anche l’ombelico scoperto di Raffaella Carrà era considerato scandaloso. In ultima analisi, fra il fanatico religioso che ti impone di coprirti e il politico estremista che ti impone di scoprirti non passa alcuna differenza: entrambi ti stanno dicendo come devi gestire il tuo corpo.

La difficoltà di farsi accettare con le proprie specificità, dice Abdel Qader, è causa di segregazione e non rimedio. “Nessuna donna vuole auto-segregarsi, anzi. Ma si vuole poter stare tra donne una volta all’anno spensierate senza pensare agli sguardi malevoli. Non dobbiamo sempre essere esposte – ed esposti – a tutti: si possono anche volere momenti privati. Qui è stato usato un potere pubblico per colpire deliberatamente delle libere cittadine usando il subdolo metodo della confusione dei piani. La segregazione è ben altra cosa.”

Le situazioni di marginalità esistono, ovviamente, ed è bene che la politica se ne occupi: quella della festa al Gabbiano, però, è il contrario di una situazione di marginalità. È una festa, e come tutte le feste è un momento di socialità in cui le persone si incontrano, si parlano, si conoscono e hanno la possibilità di stringere legami. Nessuna donna è mai uscita da una situazione di violenza, oppressione ed emarginazione senza una comunità a cui appoggiarsi, e ammesso e non concesso che fra le bagnanti di Limbiate ce ne fosse qualcuna che aveva bisogno di riscattarsi da una situazione difficile (succede a tutte le donne, di tutte le religioni, ogni giorno), è più facile che avvenga quando è da sola fra altre donne, in uno spazio privato e lontano dagli uomini, piuttosto che chiusa in casa.

Esistono anche, da sempre e senza che nessuno abbia molto da dire, i circoli privati segregati per genere: in generale sono maschili, e in Italia ne esistono decine, se non centinaia. Sono associazioni con una lunga storia, luoghi in cui gli uomini di potere si aggregano per discutere di affari in assenza delle donne, che sono escluse per statuto. Nessun politico (leghista, o di altro orientamento, a essere onesti) ha mai tentato di desegregarli con la forza, nemmeno alla luce di un’evidente discriminazione di genere operata per statuto e che crea dei vantaggi concreti e misurabili per alcuni a danni di altre. Però una festa in piscina col burkini quella no, quella è intollerabile. A quando i raid alle feste di compleanno nelle case di riposo per suore?

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Alla fine, torna tutto all’islamofobia, come spiega anche Marwa Mahmoud, consigliera comunale a Reggio Emilia e responsabile Partecipazione e formazione nella segreteria del Partito democratico. “Quando una minoranza viene presa di mira da una forza politica, si crea una stigmatizzazione. In questo caso, a una riunione di donne musulmane è stata associata l’idea dell’illecito, di qualcosa che va contro la coesione sociale e addirittura contro la sicurezza. Di questa stigmatizzazione non fanno le spese solo le persone coinvolte direttamente, ma anche tutte quelle che si riconoscono negli stessi tratti identitari. In seconda battuta, c’è un attacco anche a chi ha organizzato la festa, che stava solo cercando di dare risposta a un bisogno delle donne di ritrovarsi insieme. Un’esigenza che va inquadrata nel contesto di un attacco sistemico alle donne, fra femminicidi ed espressioni sessiste e misogine utilizzate anche da persone che ricoprono incarichi pubblici. È anche per questo che le donne cercano forme di aggregazione lontane dallo sguardo sessualizzante e oggettificante degli uomini.”

In fondo è abbastanza semplice: l’aggregazione crea indipendenza, l’isolamento crea oppressione. Le destre non amano la prima e sfruttano la seconda. Se c’è qualcuno che non vuole che le donne islamiche escano da casa e siano libere è proprio chi ritiene che annullare una festa in piscina sia un grande passo verso l’integrazione.

Immagine in anteprima via rainews.it

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