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Cecenia, aggrediti la giornalista russa Elena Milashina e l’avvocato per i diritti umani Aleksandr Nemov

5 Luglio 2023 4 min lettura

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Cecenia, aggrediti la giornalista russa Elena Milashina e l’avvocato per i diritti umani Aleksandr Nemov

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Ieri mattina, nei pressi dell’aeroporto di Grozny, capitale della Cecenia, il taxi dove si trovavano la giornalista di Novaya Gazeta Elena Milashina e l’avvocato Aleksandr Nemov è stato fermato e circondato da tre automobili, da cui sono scesi alcuni uomini vestiti di nero e armati. Calci, colpi al volto e al corpo dei due passeggeri, una coltellata sferrata alla gamba di Nemov: l’azione era volta a fermare il lavoro della giornalista e dell’avvocato in Cecenia. “Qui difendi troppa gente, difendila a casa tua” urlavano gli uomini mentre si avventavano su Nemov, racconta Elena Milashina, il viso sfigurato dalle botte e dalla zelyonka, l’antisettico dal colore verde gettato addosso agli oppositori del potere russo e ceceno. 

Alla giornalista vengono fratturate le dita della mano, e come lei stessa ricostruisce, la matrice sembrerebbe essere evidente, per le modalità dell’aggressione e per quanto detto dagli uomini in nero: le critiche a Ramzan Kadyrov e al suo sistema di potere, e in particolare la copertura data al processo contro Zarema Musaeva, colpevole di essere la madre dei fratelli Abubakar, Ibraghim e Baysangur Yangulbaev, attivi nella denuncia delle torture e delle sparizioni messe in atto in Cecenia. Musaeva è stata condannata ieri a 5 anni e mezzo di colonia penale, un verdetto in grado di minacciarne la vita.

La famiglia Yangulbaev è stata presa di mira da Kadyrov nel 2015, quando Ibraghim ha creato un gruppo, Wolves Creed, sul social network russo Vkontakte, dove pubblicava foto disponibili su internet delle guerre cecene e criticava, nemmeno tanto aspramente, il regime ceceno. La reazione anche in quell’occasione fu violenta: Saydi Yangulbaev, padre dei fratelli e giudice della Corte suprema della Repubblica di Cecenia, Abubakar e Ibraghim vennero prelevati da casa e portati alla residenza del leader ceceno, dove vennero picchiati a sangue, Saydi fu costretto a presentare le dimissioni dalla corte, e Ibraghim restò in mano degli uomini di Kadyrov per alcuni mesi, prima di esser liberato. 

Era solo l’inizio, perché Ibraghim venne arrestato nel 2016, poi liberato per la depenalizzazione dell’articolo 282 del codice penale russo sull’incitamento all’odio etnico (di cui era stato accusato), e l’attività di Abubakar nel Comitato contro la tortura, organizzazione non governativa attiva nel denunciare la situazione in Cecenia e per questo dichiarata agente straniero, venne legata al canale Telegram 1ADAT, bollato da Grozny come sostenitore del terrorismo islamico. La famiglia Yangulbaev nel frattempo riesce a scappare dalla repubblica caucasica e si stabilisce a Nižnij Novgorod, da dove però nel gennaio 2022 unità della polizia cecena arrestano Zarema Musaeva, diabetica e affetta da una serie di patologie vascolari, per portarla via: un mese prima Abubakar aveva denunciato la sparizione di ben 40 parenti, pratica attuata dal regime di Kadyrov per terrorizzare gli oppositori.

Musaeva resta senza insulina per giorni, viene mostrata alle telecamere priva di coscienza, e persino le richieste del Consiglio presidenziale per i diritti umani restano inevase, mentre Kadyrov organizza manifestazioni imponenti dove si lanciano maledizioni contro i Yangulbaev, il deputato della Duma Adam Delimkhanov minaccia su Instagram di tagliar la testa ai parenti e a chiunque si frapponga alla vendetta contro i fratelli, ma l’interrogazione parlamentare del deputato comunista Nikolaj Arefeyev cade nel vuoto. Le dichiarazioni del portavoce di Putin Dmitrij Peskov sul caso della Musaeva e sulle minacce di Delimkhanov sono emblematiche a proposito del rapporto tra il Cremlino e il potere ceceno: Kadyrov può chiamare chiunque terrorista e minacciarlo, mentre riguardo alla situazione attorno ai Yangulbaev si tratta di questioni non di competenze del presidente, queste le parole di Peskov all’epoca.

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Elena Milashina e Aleksandr Nemov sono stati portati, dopo l’aggressione subita, in ospedale a Beslan, in Ossezia del Nord, perché in Cecenia non vi erano condizioni di sicurezza. Solo nella notte tra il 4 e il 5 luglio un aereo sanitario, con a bordo il premio Nobel Dmitrij Muratov, direttore di Novaya Gazeta, e l’ex direttore della radio Ekho Moskvy Aleksej Venediktov, è partito da Mosca per trasferire la giornalista e l’avvocato nella capitale. Kadyrov ha promesso di “indagare”, il direttore del Comitato investigativo della Federazione Russa Aleksandr Bastrykin ha dato mandato alla sede cecena di metter in moto le indagini, Dmitrij Peskov ha auspicato che vengano date delle risposte: dichiarazioni di rito e che mettono solo in risalto come la Cecenia sia, ormai da tempo, un’entità al di fuori del controllo dal centro, unita alla Russia solo dalla fedeltà di Kadyrov a Putin, suo protettore da sempre. Un ulteriore tassello che permette di comprendere come la stabilità del paese continui ad essere minacciata proprio dalle modalità di gestione del potere da parte del Cremlino.

In un comunicato stampa, l'organizzazione Human Rights Watch, che nel 2018 ha assegnato a Elena Milashina il premio Alison de Forges, ha denunciato come dal 2009 sia partito "un assalto contro i difensori dei diritti umani e i giornalisti che lavorano per denunciare gli abusi in Cecenia". Quell'anno fu infatti uccisa Natalia Estemirova, rappresentante di Memorial, la principale organizzazione russa per i diritti umani. Nel comunicato Human Right Watch si è unita ad altri 13 gruppi per i diritti umani nel chiedere al governo russo di indagare sull'attacco a Elena Milashina e l’avvocato Aleksandr Nemov, e di "porre fine alla spirale di violenza e impunità".

(Immagine anteprima: grab via YouTube)

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