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Perché tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche è una forma di giustizia sociale

15 Aprile 2022 12 min lettura

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Perché tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche è una forma di giustizia sociale

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di Andrea Turco*

“Non è che la parola extraprofitti non mi piace, mi dà proprio l’itterizia”. Massimo Nicolazzi è docente di Economia delle risorse energetiche presso l’Università di Torino ed ex manager di Lukoil ed Eni. Sostenitore di una transizione energetica che sia pragmatica - nel 2019 tra l’altro pubblicava il libro “L’elogio del petrolio” per Feltrinelli -, negli ultimi tempi Nicolazzi è diventato uno degli esperti del settore più ascoltati. Sempre chiaro nelle sue analisi, il professore si fa sardonico quando si accenna alla possibilità che le società energetiche, con il prezzo del gas che è salito di oltre l’800% tra dicembre 2020 e dicembre 2021, possano aver conseguito extraprofitti rispetto alle consuete condizioni del mercato. 

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È uno dei temi di cui si discute più negli ultimi tempi: al variare del prezzo del gas sul mercato internazionale di Amsterdam (ci torneremo) è giusto che le aziende energetiche che lo distribuiscono, che ne hanno usufruito alle solite condizioni, e dunque al consueto prezzo di distribuzione, debbano redistribuire ciò che hanno conseguito per via di una (enorme) variazione avvenuta nel mondo finanziario e che poi si è riversata sui singoli consumi, bollette e carburanti in primis? L’attenzione si focalizza soprattutto sulle società a partecipazione statale. La sola ENI, tanto per fare un esempio, nell’ultimo trimestre 2021 ha conseguito un utile netto di 4,7 miliardi di euro, il più alto dal 2012.

ENI quarto trimestre 2021
Fonte: ENI

“Il profitto è uno e basta - dice Nicolazzi a Valigia Blu - Poi possiamo accettare il fatto che alcune volte ci sono dei profitti straordinari e che, proprio perché straordinari, possono essere un po’ dosati fiscalmente senza che questo metta in discussione proprietà private e spirito d’impresa. Però straordinario è diverso da extra, e a mio avviso questo secondo prefisso dà alla gente l’idea che qualcuno ha ciurlato nel manico. Non va bene così”. 

Fa riflettere che Nicolazzi, pur con uno stile felpato, non sia il solo ex manager Eni che apre alla possibilità di una tassazione sui maggiori utili conseguiti dalle imprese energetiche negli ultimi sei mesi. Al programma tv Non è l’Arena, Salvatore Carollo, ex responsabile del trading per ENI, è molto più diretto: secondo Carollo dovrebbe essere “lo Stato a chiedere la trasparenza alle aziende che trasportano e distribuiscono il gas, altrimenti toglie loro la concessione”. Eppure, sollecitata dalla trasmissione tv Report sull’entità degli extraprofitti, l’azienda rappresentata dallo storico logo a sei zampe ha respinto le richieste. “ENI opera insieme ad altri soggetti su un mercato fortemente concorrenziale, non vi sono profitti extra rispetto alle condizioni di mercato - ha ribadito la multinazionale energetica - Inoltre ENI, come ogni prudente operatore, tipicamente attiva strumenti di copertura e derisking per stabilizzare i margini. Se la domanda si riferisce invece alla tassazione recentemente annunciata dalle nostre istituzioni come provvedimento di compensazione del caro energia, ENI ha stimato un impatto al netto delle suddette coperture di alcune centinaia di milioni di euro”. 

Il provvedimento del governo citato da ENI è il cosiddetto decreto Bollette, approvato il 13 aprile alla Camera dei Deputati. Il testo passerà ora all'esame del Senato per l'ok definitivo, che deve avvenire entro il 30 aprile, pena la decadenza. Come già avvenuto a Montecitorio, è molto probabile che si ricorrerà alla fiducia anche a Palazzo Madama. Tramite il decreto Bollette si punta a incassare dalla tassazione degli extraprofitti delle società energetiche circa 4 miliardi di euro. È stato lo stesso governo a stimare in 40 miliardi di euro gli utili “in più” conseguiti dalle aziende energetiche in poco più di sei mesi. Sulle modalità di attuazione della tassazione si sono però accavallati parecchi dubbi. Che si sono riversati anche sulla percentuale scelta dal governo, vale a dire il 10%: persino il liberale Carlo Calenda, fedele sostenitore del premier, ha chiesto una tassazione al 50%.  

Altrettanto insoddisfatta è l’europarlamentare dei Verdi Eleonora Evi. “Direi piuttosto che siamo esterrefatti - afferma Evi a Valigia Blu - La scelta del governo di una quota così risibile di tassazione ci pare uno schiaffo alle famiglie e alle imprese che stanno pagando in pratica gli extraprofitti alle aziende energetiche. Vale la pena ribadire che qui nessuno sta affermando di andare a intaccare i profitti conseguiti in maniera legittima in un’economia di mercato, ci mancherebbe altro. Ma quelli di cui parliamo sono davvero degli extraprofitti, perché sappiamo bene che le aziende, soprattutto fossili, hanno acquistato il gas in maggioranza con contratti pluriennali a prezzi già fissati e oggi rivendono il gas a un prezzo molto superiore. Quel differenziale si traduce in un enorme guadagno, un profitto che è un surplus. Ecco perché a nostro avviso andrebbero restituiti tutti gli extraprofitti, non un misero 10%”. Va infine considerato che soltanto da settembre 2021 a marzo 2022 il governo Draghi ha speso più di 20 miliardi di euro per mitigare gli aumenti relativi al costo dell’energia. E all’orizzonte, con una guerra che potrebbe durare anni e un possibile embargo del gas russo, si profilano anni ancora più difficili.

Perché ENI?

È sempre più evidente che il governo Draghi intende uscire dalla dipendenza del gas russo, almeno nell’immediato, rifornendosi di altro gas. La strada perseguita è dunque quella di diversificare le fonti di approvvigionamento invece che le fonti energetiche. In questa strategia un ruolo centrale è stato assunto da ENI. D’altra parte il cane a sei zampe è storicamente l’azienda più influente d’Italia, capace di dettare la politica estera.

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“Oltre a essere forse la multinazionale italiana più potente, ENI è anche la più inquinante e la prima responsabile della crisi climatica d'Italia", afferma l’eurodeputata Eleonora Evi. "Noi siamo preoccupati da questo forte legame che permane tra il governo e l’azienda numero uno delle fonti fossili in Italia. Siamo anche preoccupati che in questo momento storico così complicato, e questa guerra scellerata ci ha confermato l’insana idea di legarsi a paesi terzi e spesso autoritari per la produzione di energia, si scelga di perseguire la strada tracciata da ENI. Servirebbe invece che la stessa attenzione riservata al cane a sei zampe venga data all’efficientamento energetico e alle rinnovabili. C’è una parte di Confindustria non legata a ENI, e mi riferisco al gruppo Elettricità Futura, che ha avanzato una seria proposta al governo per sganciarsi dal gas russo affidandosi esclusivamente alle energie rinnovabili. Ma non è stata ascoltata”. 

Allo stesso tempo anche l’obiettivo dell’aumento della produzione nazionale di gas avvantaggerebbe quasi esclusivamente ENI, dato che l’azienda possiede i due nuovi giacimenti più grandi che sono poi gli unici già certi, vale a dire quello di Argo Cassiopea in Sicilia e quello sull’Adriatico. Intanto la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sugli extraprofitti, a seguito di un esposto presentato proprio da Europa Verde. Nei giorni scorsi negli uffici del tribunale è stato ascoltato il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, il quale in un’intervista a Sky Tg24 aveva parlato di “colossale truffa” affrontando il tema dell’aumento spropositato del prezzo del gas sul mercato internazionale di Amsterdam, lì dove viene gestito lo scambio dei contratti (chiamati in gergo futures) di questa fonte energetica all’interno del Title Transfer Facility (TTF), il punto di scambio virtuale per il gas che funge da riferimento per l’Europa continentale (rimandiamo a Staffetta Quotidiana per la sintesi più chiara di come si è arrivati a preferire questa forma di determinazione dei prezzi).

Ora Europa Verde chiede che alla Procura di Roma venga ascoltato anche il ministro all’Economia Daniele Franco. C’entra qualcosa il fatto che il socio di maggioranza di Eni sia proprio il ministero retto da Franco, attraverso una quota del 30%? “Esatto - conferma Evi - Anche perché noi da tempo denunciamo che i contratti per l’acquisto del gas che Eni e le altre aziende del fossile hanno stipulato sono secretati. Ciò getta ulteriore sconforto e opacità su una vicenda che non garantisce neanche l’adeguata trasparenza”.

Nel giorno del voto alla Camera del decreto Bollette è stato approvato tra gli altri un ordine del giorno, presentato dal deputato di Alternativa Giovanni Vianello, che impegna il governo a combattere la speculazione in atto. Un provvedimento, tra l’altro, sul quale lo stesso governo aveva espresso parere favorevole. Sui social Vianello spiega il senso della sua proposta:

Il governo dovrà farsi promotore in ambito internazionale affinché il costo del gas non sia più soggetto al TTF, che dipende da una borsa virtuale soggetta a speculazioni, e che il costo del gas rivenduto a cittadini e imprese si basi sull’effettivo costo di acquisto da parte degli operatori e intermediari, evitando quindi extraprofitti sulle tasche di cittadini e imprese (...)

Come evidenziato anche da Report, l’aumento di prezzo del gas in questo ultimo anno non è stato principalmente determinato dalla carenza dell’offerta bensì da precisi meccanismi di valutazione del costo dell’idrocarburo, determinati in buona parte dalla deregolamentazione del settore del gas avviata dall’Europa che ha introdotto il cosiddetto mercato spot, in cui il prezzo del gas cambia ogni giorno non necessariamente in base alle reali quantità di combustibile disponibile, ma in base a convenienze puramente finanziarie.

Tale meccanismo ha creato enormi incassi a società come ENI, basati sulla differenza di costo tra i quantitativi prelevati con contratti a lungo termine, oppure dall’approvvigionamento nazionale dei giacimenti italiani, e quelli poi rivenduti a cifre più alte e vicine ai prezzi spot di mercato.

La speculazione è legittima, la manipolazione è un reato

Ma perché il mercato di cui si discute da mesi e di cui, fino a poco tempo fa, la sua esistenza era pressoché ignota ai più, ha deciso a un certo punto di aumentare in maniera così spropositata i prezzi del gas? E come mai una scelta finanziaria si è riversata poi sulle bollette e sui carburanti? Lo abbiamo chiesto ad Alfonso Scarano, analista finanziario indipendente e attivo seguace di Federico Caffè, tra i più apprezzati economisti del Novecento. 

“Attorno ai mesi di giugno-luglio dell’anno scorso il  mercato di Amsterdam, il TTF, ha fatto registrare fibrillazioni da infarto", spiega Scarano  a Valigia Blu. "Il problema in Italia dipende innanzitutto dal fatto che Arera (l’ente pubblico che vigila sul mercato dell’energia elettrica e del gas naturale) fa riferimento ai dati del mercato spot sul gas naturale. L’aumento del prezzo sul mercato finanziario ha portato a un’induzione degli aumenti di prezzo nei consumi perché Arera prende questi dati in maniera quasi automatica, asettica, anche se questi sono staccati dal cosiddetto prezzo doganale, cioè quello relativo al gas fisico che passa nei gasdotti e sul quale vengono poi calcolate le accise. Per dirla in maniera più semplice: il prezzo fisico si è distaccato da quello speculativo”. 

Il fenomeno è ancora più evidente perché nei mesi in cui ciò è avvenuto non si è avuta, come sarebbe stato facile pensare, una diminuzione dei flussi di gas. Come è noto, anche con la guerra in Ucraina le forniture del gas russo all’Europa e all’Italia non si sono mai interrotte.  “La mia tesi, o potremmo dire un legittimo sospetto, è che ci sia stata una manipolazione del mercato TTF - osserva ancora Scarano - che mira a stravolgere gli equilibri geopolitici. Penso per esempio al fatto che nel giro di poco tempo gli USA sono riusciti a piazzare all’Europa 15 miliardi di metri cubi di GNL a prezzi esorbitanti: un risultato impensabile appena pochi mesi fa. Ma soprattutto ha permesso ai nostri tre operatori principali sul gas, vale a dire ENI, Snam ed Edison, di posizionarsi in una rendita parassitaria, lucrando con la differenza tra i prezzi reali alla fonte e i prezzi speculativi”. Secondo gli stessi dati Arera, i prezzi di riferimento dell'approvvigionamento di energia sono passati da circa 12 centesimi per kilowattora a luglio 2021 a 31 centesimi per kilowattora nel secondo trimestre 2022, in lieve diminuzione dopo aver toccato il massimo storico nel primo trimestre 2022 a 35,49 centesimi di euro, quasi il triplo rispetto a sei mesi prima. 

La distinzione tracciata dall’analista finanziario è fondamentale: se si trattasse di semplice speculazione, saremmo di fronte comunque a una pratica legittima, benché esecrabile; ben diversa è la manipolazione del mercato, che potrebbe configurarsi come un reato. “Le autorità che si definiscono di controllo dovrebbero vigilare sui meccanismi che drogano il mercato e che sconvolgono la struttura economica e sociale dell’Italia e dell’Europa  - contesta Scarano - Lo shock speculativo è tanto grave che le autorità devono intervenire immediatamente eliminando le rendite parassitarie, di qualunque soggetto esse siano. Chiariamo un aspetto: anche una tassazione maggiore non risolve del tutto la questione. Bisogna andare alla radice del problema, rivolgendosi al mercato TTF di Amsterdam e rivolgendosi a trader professionisti, anche perché si tratta di un mercato talmente di nicchia che si conoscono tutti gli operatori. Serve un’inchiesta internazionale, seria e di parti terze, per capire se determinati soggetti hanno stabilito cartelli e accordi sottobanco”. 

Di certo conosciamo solo chi ci rimette. Qui Scarano cita il ministro Cingolani. “Se c’è stata una truffa vuol dire che ci sono stati i truffati e i truffatori - afferma - In attesa di capire chi sono stati i truffatori, possiamo essere certi che i truffati sono i cittadini italiani. Costoro, che hanno pagato bollette spropositate e carburanti carissimi, devono essere risarciti. In ogni caso lasciare che i prezzi di un bene così essenziale per l’economia come il gas, da cui dipende il prezzo dell’energia elettrica, siano determinati da un mercato così opaco è una responsabilità agghiacciante”. 

Una delle difficoltà maggiori dell’Europa in questa crisi dei prezzi del gas è dovuta all’assenza di una sola voce. Tra i 27 Stati dell’Unione Europea non c’è stata finora una proposta comune, ad esempio, su come fronteggiare la dipendenza dalle fonti fossili della Russia governata da Vladimir Putin. Neppure il suggerimento di Draghi di acquisti e stoccaggi comuni di gas è andato a buon fine. Né, tantomeno, l’idea di stabilire un tetto massimo al prezzo del gas, per evitare nuove speculazioni. Cosa resta da fare, dunque? “Con la pandemia i governi di tutto il mondo, in primis quello italiano, hanno mostrato che se c’è la volontà politica possono realizzare grandi cose - osserva Scarano - Chi poteva immaginare all’inizio del 2020 che sarebbe stata annullata la libertà di movimento delle singole persone o che per entrare in qualsiasi luogo si sarebbe dovuto esibire un pass? Se ci fosse una reale volontà politica si potrebbero obbligare aziende come ENI a restituire ciò che hanno guadagnato a chi ha perso tanto o tutto. Qui sono saltate già intere filiere lavorative. A fronte di una rendita parassitaria e di guadagni quadruplicati, ci sono costi quadruplicati per migliaia di imprese e milioni di persone. È una questione di reputazione e di garanzia dell’ordine pubblico”. 

Giustizia sociale nel nome di Mattei

I gilet gialli, insomma, non sono mai stati così vicini. Li ricordate? In Francia nel 2018 il movimento dei gilet gialli, così denominati per via del giubbotto catarifrangente che si indossa quando un auto è in panne, mise a ferro e fuoco la Francia retta, allora come ora, dal presidente Emmanuel Macron a seguito dell’annuncio di imminenti tasse che avrebbero aumentato il prezzo dei carburanti. Ecco, in Italia da più di sei mesi il prezzo del metano è triplicato (con parecchi disagi soprattutto per gli autotrasportatori) mentre quelli della benzina e del gasolio si sono attestati intorno ai 2 euro a litro, anche se gli aumenti più vertiginosi riguardano le bollette di energia elettrica.

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Benzina Gasolio
Fonte: Ministero della Transizione Ecologica
Gasolio riscaldamento
Fonte: Ministero della Transizione Ecologica

È un paradosso solo apparente: a fermare le possibili proteste popolari potrebbe essere la più nota multinazionale italiana, nonché la più contestata dalla galassia ambientalista. Perché la tassazione di tutti gli extraprofitti delle aziende energetiche, e in particolar modo di ENI, costituirebbe un’immediata e concreta forma di giustizia sociale. Una scelta ancora più emblematica nell’anno in cui ricorre il 60esimo anniversario della morte del suo fondatore Enrico Mattei, tra i maggiori fautori dell’impresa sociale di Stato.

*Collabora con l'Associazione ASud

Immagine in anteprima via valori.it

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