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Vietare smartphone e social media ai più giovani è una misura ingenua e controproducente

5 Maggio 2024 5 min lettura

Vietare smartphone e social media ai più giovani è una misura ingenua e controproducente

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4 min lettura

Vietare gli smartphone “punirebbe i bambini e le bambine per il fallimento delle aziende tecnologiche nel costruire i loro prodotti in modo responsabile”. Bambini, bambine e adolescenti “continuano ad affrontare un’ondata di pericoli online intrinsecamente prevenibili” ma “essere online è fondamentale per la loro vita”. Sono le parole di Ian Russell in un commento raccolto dal giornalista Dan Milmo sul Guardian in occasione dell’annuncio del governo britannico di una proposta di divieto di accesso a smartphone e social media a minori di 16 anni e di semplificazione del controllo parentale sui dispositivi digitali.  

Russell è il padre di Molly la ragazza quattordicenne che si tolse la vita nel 2017. Al termine di un procedimento legale, nel 2022 è stato stabilito che Molly Russell soffriva di depressione. Lo stato di vulnerabilità in cui si trovava la portò a cercare su Instagram e Pinterest, nei mesi precedenti la sua morte, contenuti relativi a ansia, depressione, autolesionismo, suicidio. L’impatto ripetuto con contenuti negativi aggravò la sua vulnerabilità fino a farle sentire di non avere alternative al suicidio. Su Twitter, in quei mesi, contattò anche alcune celebrità con richieste di supporto che non furono viste. Essere reindirizzata su contenuti e account di aiuto online le avrebbe potuto salvare la vita.

“Affrettandosi a introdurre nuove misure che possono sembrare allettanti ma che la ricerca ha dimostrato essere profondamente imperfette, il mio timore”, ha continuato Russell, “è che esista il rischio reale che il governo introduca una serie di misure scarsamente ponderate che si traducono in molteplici conseguenze indesiderate. In parole povere, gran parte di ciò che viene suggerito potrebbe causare più danni che benefici”.

Le proposte legislative di divieto di accesso agli smartphone o ai social media per quanto popolari nel clima di ansia collettiva costruito nell’ultimo decennio, oltre a essere difficili da percorrere nel rispetto dei diritti costituzionali, costringerebbero bambine, bambini e adolescenti a nascondere ancora di più le loro esperienze online ai genitori e nella migliore delle ipotesi semplicemente le ritarderebbe.

La testimonianza di Ian Russell è molto chiara sul fatto che rendere illegale l’accesso allo spazio digitale abbia molti più costi che benefici se s’intende realmente occuparsi del benessere dei più giovani, della loro stessa vita.

In realtà, le cicliche proposte di regolamentazione della vita dei cittadini e delle cittadine che in tanti paesi democratici vengono presentate in modo sensazionalistico e teatrale sembrano avere il fine ultimo di costruire un consenso politico-elettorale. Ammassare documenti allarmistici e strumentalizzare le persone che hanno vissute esperienze tragiche, inoltre, continua a creare quel rumore informativo sufficiente per coprire la rinuncia dei legislatori a richiedere alle aziende tecnologiche una rendicontazione responsabile in materia di design manipolativi e di persuasione alla condivisione dei dati personali online.

Più che regolamentare le tecnologie, dovremmo concentrarci sulle sfide che i giovani devono affrontare. Mancano reti di sicurezza sociale

Si favoleggia che ricorrendo al soluzionismo tecnologico saranno risolti i problemi della società ma di fatto, restringendo il loro accesso allo spazio digitale, si punirebbero bambini, bambine e adolescenti. Si illude la società di placare il panico morale con la regolamentazione estrema della vita sociale e delle esperienze ricreative continuando a impoverire le comunità di spazi accessibili.

Stando alle evidenze storiche, questa narrazione proseguirà fino a quando l’attuale ciclo di panico morale sarà soppiantato dal prossimo senza che siano state trovate soluzioni ai problemi o che siano stati prodotti cambiamenti nella società: gli spazi pubblici di socializzazione rimarranno ristretti, i servizi di aiuto psicologico continueranno a essere scarsi e poco accessibili, le disuguaglianze nell’accesso all’alfabetizzazione digitale e agli strumenti digitali si amplieranno.

Per Pascal Schneiders e Alicia Gilbert, che studiano media digitali e comunicazione all’università Johannes Gutenberg di Mainz (Magonza) in Germania, “i radicali tentativi di regolamentazione che molte nazioni occidentali stanno attualmente attuando, o pianificando di attuare, sono troppo malfermi per essere considerati necessari, non solo da un punto di vista costituzionale ma anche empirico. Le normative che adottano un approccio generalizzato e problematizzano l’uso dei social media da parte dei bambini come “dipendenza” corrono il rischio di essere inefficaci (Masur et al., 2022) e allo stesso tempo patologizzano l’uso dei social media e stigmatizzano i giovani (Taylor, 2023)”. “Nella loro natura radicale e paternalistica,” proseguono Schneiders e Gilbert, “le restrizioni all’accesso, le opzioni di sorveglianza e gli interventi sul design sono talvolta ancora più dannosi dello status quo. Il diritto alla partecipazione comunicativa, all’accesso e all’espressione di fatti e opinioni, allo sviluppo dell’identità, nonché alla privacy potrebbero risultare significativamente compromessi. Inoltre, non è sempre scontato che i genitori o i tutori utilizzino i limiti di tempo e le opzioni di monitoraggio nel migliore interesse dei propri figli. Per non parlare del fatto che i sistemi di verifica dell’età richiedono alle aziende tecnologiche di raccogliere informazioni sensibili su adolescenti e famiglie”.

Lo stesso discorso è applicabile ai periodici annunci di vietare indiscriminatamente gli smartphone nelle scuole: si tratta di affermazioni per oliare il ciclo del panico morale che non hanno alcun fondamento scientifico né nella realtà. Non hanno fondamento scientifico perché i pochi studi con sufficiente validità finora condotti non hanno dimostrato un beneficio, in termini di miglioramento del benessere psicologico e della riduzione del bullismo, dal non tenere lo smartphone in classe. Ancora una volta è ingenuo pensare di risolvere questioni sociali, educative e di salute pubblica rimuovendo uno strumento tecnologico.

Non hanno fondamento nella realtà perché i dispositivi digitali sono utilizzati a scopo didattico fin dall’asilo nido e gli smartphone sono ragionevolmente consentiti per “finalità inclusive, didattiche e formative” come richiamato nella circolare del 2022 emanata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Il problema concreto è l’enorme disuguaglianza nella disponibilità di strumenti e infrastrutture digitali delle scuole sul territorio nazionale di cui i legislatori dovrebbero occuparsi.

Sono anche maturi i tempi per superare la restrizione dell’alfabetizzazione digitale a finalità didattiche in modo da equipaggiare precocemente i più giovani a muoversi nello spazio digitale e di relazioni con consapevolezza, responsabilità e umanità.

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L’importanza dell’alfabetizzazione digitale sin dall’infanzia e il ruolo dei genitori

La consapevolezza delle conseguenze che il divieto indiscriminato di smartphone e social media avrebbe sulle vite di ragazzi e ragazze, ci offre, come persone adulte, l’opportunità di metterci in ascolto delle loro richieste, in un’epoca in cui tendiamo a distorcerne valori, bisogni e scelte guidati da percezioni e aspettative patologizzanti, umilianti e degradate. Con questa consapevolezza possiamo discernere le ansie inoculate dal ciclo del panico e spostare il nostro sguardo dal loro smartphone ai ragazzi e alle ragazze e alle loro variegate esperienze.

Immagine in anteprima via marville.edu

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