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Vaccini: l’obbligo è la strategia giusta?

8 Giugno 2017 10 min lettura

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Vaccini: l’obbligo è la strategia giusta?

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Il presidente della Repubblica ha firmato ieri il decreto legge, approvato  dal Governo il 19 maggio, che introduce - come scrive il Ministero della Salute - «misure urgenti in materia di prevenzione vaccinale».

Cosa prevede il decreto

Il provvedimento estende l'elenco dei vaccini obbligatori includendo nell'elenco altri otto vaccini, oltre agli attuali quattro (poliomielite, difterite, epatite B e tetano). Tra gli otto nuovi vaccini obbligatori sono però compresi anche quelli contro pertosse ed Haemophilus influenzae tipo b già abitualmente somministrati oggi all'interno del vaccino esavalente. E i vaccini contro morbillo, parotite e rosolia e varicella che possono essere somministrati attraverso un vaccino quadrivalente.

Per tutti i soggetti che oggi hanno tra gli 0 e 16 anni di età i dodici vaccini sono obbligatori e gratuiti, ma la loro somministrazione è differenziata per coorti di nascita, cioè per i nati in anni diversi. Per esempio, i nati nel 2017 dovranno ricevere tutti i dodici vaccini indicati nel decreto, mentre i nati tra il 2001 e il 2004, se non lo hanno già fatto, dovranno effettuare le quattro vaccinazioni già previste prima del decreto, più i vaccini contro morbillo, parotite, rosolia, pertosse e Haemophilus influenzae tipo b. Viene esonerato dall'obbligo chi ha già contratto la malattia infettiva o chi soffre di particolari condizioni che devono essere documentate (per esempio, chi ha manifestato reazioni allergiche gravi a un vaccino o a uno dei suoi componenti).

Per l'iscrizione agli asili nidi e alle scuole materne i bambini dovranno avere ricevuto tutte le vaccinazioni previste. Per la scuola dell'obbligo (dai 6 ai 16 anni di età) il mancato rispetto dell'obbligo non impedisce di frequentare le lezioni e di sostenere gli esami. All'interno del governo erano emerse posizioni contrastanti. Il ministro della Salute Lorenzin aveva proposto di comprendere nell'obbligo anche la scuola elementare, quindi i bambini fino a 10 anni, mentre il ministro dell'Istruzione Fedeli aveva chiesto di limitarlo ai bambini fino ai 6 anni. Tuttavia anche le scuole dell'obbligo dovranno segnalare i genitori dei bambini non vaccinati alle ASL.

Le ASL dovranno contattare queste famiglie e invitarle a effettuare le vaccinazioni mancanti. Se i genitori non provvedono (e questo è uno dei provvedimenti più discussi del decreto), potranno incorrere in sanzioni economiche (da 500 a 7500 euro). E verranno anche segnalati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minori.

Suzanna Jacab, direttrice regionale per l'Europa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha dato il suo sostegno alle decisioni del governo aggiungendo che per quanto riguarda il morbillo e la rosolia «la situazione italiana, recentemente, risulta sotto la media europea, stagnante, se non al ribasso».

In Italia è dal 1999 che le vaccinazioni di fatto non sono più richieste per frequentare le scuole, in seguito all'approvazione di un decreto che aveva stabilito che la mancata presentazione della certificazione non avrebbe più impedito l'ammissione. Nel 2007 la Regione Veneto aveva deciso di sospendere l'obbligo per i quattri vaccini rimasti formalmente obbligatori fino ad oggi, a livello nazionale.

L'urgenza alla base dell'approvazione del decreto è dovuta soprattutto alla preoccupazione per la diminuzione delle coperture vaccinali nella popolazione, in particolare per il vaccino contro il morbillo. La copertura contro il morbillo in Italia a 24 mesi d'età è scesa dal 90,35% del 2013 all'85,29% del 2015. Una percentuale sempre più lontana dalla soglia del 95%, al di sotto della quale la copertura non è abbastanza alta da impedire al virus, responsabile di questa malattia infettiva, di circolare nella popolazione. Dall'inizio dell'anno in Italia sono stati segnalati 2851 casi di morbillo. L'89% di questi casi è costituito da persone non vaccinate.

Dati sull'epidemia di morbillo in corso in Italia dall'inizio dell'anno (fonte: Istituto Superiore di Sanità)

A quali condizioni ha senso discutere dell'obbligo?

In questo dibattito sui vaccini che si trascina ormai da molto tempo si è andata creando una certa contrapposizione attorno al tema dell'obbligo. Molti di coloro che - giustamente - si oppongono agli errori, alle bufale e alle credenze diffuse dai gruppi "antivaccinisti" (col sostegno anche di alcuni medici diventati punto di riferimento di questi gruppi) affermano la necessità dell'obbligo anche come risposta nei confronti di chi rifiuta i vaccini.  All'interno dei gruppi considerati antivaccinisti ci sono persone che rifiutano questa etichetta, perché sostengono di non essere contro i vaccini, ma contro le attuali politiche e regolamentazioni in questo ambito. Come il sistema di farmacovigilanza, cioè il complesso delle attività che devono verificare che farmaci e vaccini siano sicuri e che abbiano un rapporto beneficio/rischio favorevole per la popolazione (ne abbiamo parlato in un approfondimento sul servizio che Report ha dedicato ai vaccini contro il papilloma virus).

Naturalmente, quelli che vengono definiti antivaccinisti si oppongono anche all'obbligo. E questo argomento diventa spesso un "cavallo di Troia" per introdurre tesi pseudoscientifiche. Bisogna perciò chiedersi: con quale obiettivo si rendono obbligatori i vaccini? L'obiettivo, evidentemente, è quello di far sì che non si abbassino le coperture vaccinali nella popolazione. Quindi, domandarsi se l'obbligo sia la strategia più efficace per raggiungere questo obiettivo non significa essere antivaccinisti.

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Un'analisi svolta nell'ambito del progetto ASSET (Action plan on Science in Society related issues in Epidemics and Total pandemics) ha confrontato lo stato delle coperture vaccinali per poliomielite, morbillo e pertosse in diversi paesi europei. L'andamento, dal 2007 al 2013, dei tassi di immunizzazione per queste tre malattie, negli stati presi in esame, non sembra dipendere dal fatto che questi tre vaccini siano obbligatori o solo raccomandati. Risultati simili (o migliori) potrebbero essere raggiunti con un maggiore investimento nell'organizzazione sanitaria e in programmi di comunicazione? È una domanda legittima, se l'obiettivo è quello di mantenere nella popolazione coperture vaccinali adeguate.

C'è però chi si oppone all'obbligo per ragioni etiche. Alcuni rivendicano la libertà di scelta e di autodeterminazione e vedono nel decreto sui vaccini un provvedimento autoritario.  In questi giorni, in diverse città italiane, si sono svolte manifestazioni contro il decreto del Governo. A Milano hanno manifestato tra gli altri anche alcuni aderenti al Condav (il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino), un'associazione che sul proprio sito pubblica un'intervista  a un omeopata che propone una pseudo-terapia per l'autismo (che - afferma - per il 70% sarebbe da imputare ai vaccini). L'intervista è tratta da Disinformazione.it, un sito complottista del genere verità nascoste.

È evidente perciò che anche le argomentazioni di principio possono nascondere convinzioni errate sulla sicurezza e sui rischi dei vaccini. Non tutti quelli che le sostengono si possono classificare tra gli "antivaxx", ma di fatto spesso la richiesta di una libertà di scelta nelle vaccinazioni si mescola alla diffusione di tesi scorrette e infondate.

Se si è condizionati da idee di questo tipo non si manifesta per la libertà di scelta, ma per il diritto a compiere una scelta non correttamente informata. Se qualcuno vuole scegliere se e quando vaccinare i propri bambini perché convinto che i vaccini abbiano qualcosa a che vedere con l'autismo o qualche altra condizione insorta dopo una vaccinazione, o perché sovrastima i rischi dei vaccini rispetto a quelli delle malattie infettive, sta rivendicando la libertà di credere a una convinzione basata su un errore o un inganno. Una convinzione che determina un comportamento conseguente. Per questo motivo, come abbiamo scritto in un post precedente, non si tratta di essere "pro" o "contro" i vaccini, ma di fare corretta informazione.

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Ma anche chi si oppone davvero all'obbligo in nome dell'autodeterminazione dovrebbe considerare che le malattie infettive sono fenomeni che riguardano le popolazioni, non gli individui (tranne nel caso di una malattia infettiva non contagiosa come il tetano. In questo caso il vaccino protegge il singolo individuo dall'infezione). Perciò l'obiettivo deve essere sempre quello di mantenere coperture vaccinali sufficienti. Con l'obbligo di vaccinazione o senza. I genitori che non vaccinano non compiono questa scelta per se stessi, ma per i propri figli (che non possono scegliere) e anche per quelle persone che non possono vaccinarsi a causa di patologie per le quali alcune vaccinazioni sono controindicate. Le misure per prevenire una malattia contagiosa, o per contenerne la diffusione durante una epidemia, non riguardano solo i singoli individui.

Comunque la si pensi, la discussione sull'obbligo ha anche permesso di chiarire che la distinzione tra vaccini "obbligatori" e "raccomandati" è fuorviante, perché alimenta l'idea sbagliata che il vaccino contro il  morbillo, per esempio, sia meno importante di quello contro la poliomielite.

Le criticità nell'offerta vaccinale

Proprio in riferimento al morbillo, l'Istituto Superiore di Sanità ricorda il richiamo che l'OMS ha rivolto all'Italia, già due anni fa, a causa dell'aumento dei casi di morbillo. E aggiunge che «ogni misura che non preveda un rapido ritorno all’obbligo vaccinale, ad esempio sanzioni pecuniarie per i genitori che non intendono vaccinare i propri figli, non appare risolutiva per affrontare in modo efficace l’attuale drammatica situazione».  Sulla stessa scia l'Accademia dei Lincei, che afferma che «l'obbligo vaccinale per l'accesso scolastico è una strategia da prendere in considerazione, specie in situazioni emergenziali, al fine di proteggere i bambini e i ragazzi più fragili, in particolare gli immunodepressi, che non possono essere protetti altrimenti.»

Se però l'obiettivo, come già detto, è quello di mantenere le necessarie coperture vaccinali, sancire per legge l'obbligo ed eventuali sanzioni per le famiglie che non lo rispettano può non essere un'azione sufficiente. Donato Greco ed Eva Benelli, su Scienza in rete, richiamano l'attenzione sulle difficoltà e i limiti del sistema che dovrebbe garantire l'offerta vaccinale:

Abbiamo un caleidoscopio delle modalità di offerta, molto spesso non attive. Centri vaccinali aperti soltanto in orari di ufficio che costringono i genitori a sacrificare giorni di lavoro, aperture solo in alcuni giorni alla settimana, un’accoglienza scortese, lunghe attese, nessun colloquio con i genitori e nessun rispetto per le loro paure e i loro dubbi.

A questo proposito Giordano Masini, su Strade, ha raccontato gli ostacoli che ha incontrato in un centro vaccinale a Roma. Il problema di come migliorare l'accesso alle vaccinazioni non riguarda soltanto i bambini, ma anche i giovani e gli adulti. Se è vero infatti che le coperture vaccinali contro il morbillo a 24 mesi di età sono calate negli ultimi anni, l'epidemia di morbillo in corso ha colpito, per il 73%, persone di età uguale o maggiore a 15 anni.

Il problema della esitazione verso le vaccinazioni

Le paure e i dubbi, a cui accennano Greco e Benelli, non sono quelli che provengono dalle frange più estreme dei gruppi antivaccinisti, ma da quei soggetti che vengono definiti "esitanti". Certamente anche tra chi manifesta in questi giorni ci sono persone che esitano a vaccinare i propri figli o rimandano le vaccinazioni previste dal calendario.

Il numero di persone che rifiutano del tutto i vaccini riguarda, secondo alcune stime, circa il 3% della popolazione. Ma il numero degli esitanti è invece più ampio e comprende uno spettro di posizioni e attitudini diverse. Ci sono per esempio persone che pur accettando alcuni vaccini, esprimono dubbi o timori nei confronti di altri. Le motivazioni alla base dell'esitazione e del ritardo possono essere influenzate dalle campagne promosse da personalità o gruppi antivaccinisti, ma hanno a che vedere anche con la fiducia nel sistema sanitario e con la difficoltà a maturare una corretta percezione dei rischi e del rapporto costi/benefici delle vaccinazioni e delle malattie infettive.

La stessa OMS scrive che non c'è un'unica strategia approccio a tutti i casi di esitazione. L'obbligo rientra perciò tra i possibili strumenti, ma non è l'unico. La sua applicazione non sostituisce la comunicazione e la sensibilizzazione della popolazione, che continuano a essere azioni necessarie per arrestare il calo delle coperture vaccinali (del resto lo stesso decreto del Governo le prevede).

La comunicazione della scienza in un campo come i vaccini è particolarmente complessa perché, come emerge da alcuni studi, le cause del rifiuto o dell'esitazione molto spesso non riescono a essere risolte semplicemente correggendo credenze sbagliate e colmando il deficit di informazione. C'è, come già accennato, anche un problema di fiducia. Fiducia che dipende anche dalla capacità delle istituzioni e delle autorità sanitarie di gestire correttamente il rapporto con i cittadini. Per esempio in momenti di emergenza. Come ricorda Roberta Villa:

Nel corso della pandemia influenzale da virus A (H1N1) del 2009, la cosiddetta “suina”, si fecero clamorosi errori di gestione e comunicazione, che si stanno studiando ancora oggi. Ci furono mancanze in termini di trasparenza che gettarono l’ombra di possibili conflitti di interesse sulla dichiarazione e la gestione della pandemia.

La comunicazione in questo caso deve avere l'obiettivo di cambiare le attitudini e quindi il comportamento. E non solo di quello dei genitori che esitano a vaccinare i figli.

La mancata adesione alle vaccinazioni degli operatori sanitari

Un documento dello European Centre for Disease Prevention and Control scrive che il problema della esitazione riguarda lo stesso personale sanitario:

Sempre più studi stanno mostrando che gli stessi operatori sanitari, compresi coloro che somministrano i vaccini ai pazienti, possono esseri esitanti nei confronti dei vaccini, sia che prendano in considerazione i vaccini per se stessi, per i propri figli o i propri pazienti.

Le ragioni spesso non sono diverse rispetto a quelle che determinano le opinioni del resto della popolazione (per esempio, la fiducia nei confronti degli enti regolatori, dell'industria farmaceutica, dubbi riguardo l'efficacia e la sicurezza dei vaccini). Dall'inizio dell'anno sono stati segnalati in Italia 224 casi di morbillo tra gli operatori sanitari. Il ruolo dei medici e degli altri operatori sanitari è critico, perché sono figure di riferimento capaci di influenzare le opinioni e quindi le decisioni dei pazienti.

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Di recente un gruppo di esperti e ricercatori ha redatto la "Carta di Pisa", un documento che propone alcune azioni per affrontare il problema della mancata vaccinazione tra gli operatori sanitari. La carta, sottoscritta da sette società scientifiche e mediche tra cui la Federazione Italiana Medici Pediatri e la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, scrive che «il ruolo rivestito dagli operatori sanitari negli ultimi episodi epidemici si è dimostrato cruciale, in quanto essi stessi sono risultati vittime del morbillo e sostenitori della catena di contagio sia in ambito ospedaliero che comunitario».

Anche tra gli operatori sanitari, ribadisce la Carta, le conoscenze sui vaccini sono spesso insufficienti. Per questo motivo il documento propone di realizzare iniziative di sensibilizzazione nei loro confronti. Senza escludere la possibilità di introdurre l'obbligo, se queste iniziative non bastassero. «È deontologicamente e moralmente inaccettabile – affermano gli autori del documento – che l'operatore sanitario possa egli stesso diventare fonte di contagio di malattie prevenibili con vaccini».

Immagine anteprima: Pixabay

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