cambiamento climatico Post

La Cina annuncia emissioni zero entro il 2060: l’impatto potrebbe essere cruciale nel contrasto del riscaldamento globale

28 Settembre 2020 9 min lettura

author:

La Cina annuncia emissioni zero entro il 2060: l’impatto potrebbe essere cruciale nel contrasto del riscaldamento globale

Iscriviti alla nostra Newsletter

8 min lettura

Intervenuto in collegamento video durante l’Assemblea Generale dell’ONU, il Presidente cinese Xi Jinping ha annunciato che la Cina si impegnerà a raggiungere entro il 2060 la neutralità carbonica (o zero emissioni), vale a dire l’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento dell’anidride carbonica. Xi Jinping ha aggiunto che la Cina manterrà l’impegno di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2029 per poi iniziare la fase di discesa dal 2030. 

Si tratta della promessa più ambiziosa mai fatta dalla Cina al riguardo. Se realizzati, gli impegni presi potrebbero avere un impatto cruciale nel contrasto del riscaldamento globale e nella lotta contro il cambiamento climatico, considerato che la Cina è attualmente il primo produttore di emissioni di gas serra. Da sola, è responsabile del 28% delle emissioni del pianeta. E quindi tutto quello che il paese fa per frenare le sue emissioni, è fondamentale per rallentare l’aumento delle temperature in tutto il mondo. Carbon Brief ha stimato che se la Cina arrivasse alla neutralità carbonica entro il 2060 e tutti gli altri paesi non facessero nulla, il riscaldamento globale raggiungerebbe circa i 2,35° C, circa 0,25 gradi in meno rispetto ai livelli previsti. 

Todd Stern, il capo negoziatore degli Stati Uniti ai colloqui che hanno portato all’accordo di Parigi nel 2015, ha definito l’annuncio di Xi Jinping «una grande e importante notizia». «Più l’obiettivo è vicino al 2050, meglio è», ha aggiunto.

La dichiarazione del Presidente cinese ha colpito un po’ tutti per la tempistica e per i suoi contenuti. È una novità rispetto alle politiche finora adottate in materia energetica dalla Cina, segna un netto distanziamento dalle posizioni dell’amministrazione Trump, che ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, e arriva a pochi mesi dalle elezioni presidenziali USA del 3 novembre. Lo sfidante di Trump, il Democratico Joseph R. Biden Jr., si è impegnato a rientrare nell’accordo e ha promesso di spendere 2 trilioni di dollari per ridurre le emissioni di gas serra e affrontare gli effetti del cambiamento climatico.

Leggi anche >> La pandemia è la prova generale di quello che ci aspetta con il cambiamento climatico

Nel suo discorso, il Presidente della Cina ha invitato i paesi di tutto il mondo a perseguire una ripresa “verde” dell’economia mondiale nell’era post-Covid. «L’umanità non può più permettersi di ignorare i ripetuti avvertimenti della natura e di seguire il sentiero finora battuto dell'estrazione di risorse senza investire nella tutela dell’ambiente, di cercare lo sviluppo a discapito della salvaguardia e di sfruttare le risorse come se fossero inesauribili», ha detto Xi Jinping.

Il contrasto con le affermazioni fatte da Trump in questi mesi è netto. Mentre il Presidente degli Stati Uniti ha incolpato la Cina di tutti i problemi del mondo, sottolinea Joanna Lewis, docente della Georgetown University e ricercatrice sulle politiche climatiche cinesi, Xi Jinping ha dichiarato che per risolvere le crisi multi-sistemiche che tutto il pianeta sta affrontando c’è bisogno di una risposta globale e la Cina sta dando un grande contributo.

Tuttavia, andando nel dettaglio, il Presidente cinese non ha dato tempistiche precise della transizione delle politiche energetiche parlando, come detto, genericamente di un picco delle emissioni da raggiungere «intorno al 2030» e di neutralità carbonica «prima del 2060».

«Questo annuncio fa guadagnare alla Cina un po’ di tempo» in attesa dei risultati delle elezioni presidenziali americane che «certamente sono un fattore che il paese asiatico sta prendendo in considerazione rispetto alle politiche sul clima», spiega ancora la professoressa Lewis. 

Xi Jinping, aggiunge Li Shuo, analista cinese di Greenpeace, «sta sfruttando l’agenda sul clima per scopi geopolitici. Giocando la carta del clima in modo leggermente diverso dagli USA, Xi non solo ha dato slancio alla politica climatica globale, ma ha presentato al mondo una questione geopolitica interessante: su una questione comune, la Cina è andata avanti indipendentemente dagli Stati Uniti. Washington la seguirà?».

Sull’annuncio del Presidente cinese potrebbero aver influito anche le pressioni degli Stati membri dell’Unione Europea che la scorsa settimana avevano minacciato di imporre tariffe sul carbonio se la Cina non avesse ridotto le proprie emissioni. “Accolgo con favore l’obiettivo della Cina di tagliare le emissioni e arrivare alla neutralità carbonica entro il 2060. Lavoreremo insieme a loro per questo ma c'è tanto da fare ancora”, ha twittato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. 

Se e come la Cina – maggiore consumatrice di carbone al mondo e al tempo stesso produttrice di pannelli solari, turbine eoliche, automobili e bus elettrici – passerà dai combustibili fossili alle energie rinnovabili sarà più chiaro quando pubblicherà il prossimo piano quinquennale che guiderà la traiettoria economica del paese dal 2021 al 2025.

Raggiungere l’equilibrio tra emissioni di gas serra e assorbimento del carbonio richiederà una trasformazione completa dell’economia cinese, commenta Li Shuo: «Il modo in cui mangiamo, in cui consumiamo energia, in cui produciamo il nostro cibo, in cui ci rechiamo al lavoro dovranno essere completamente riorganizzati».

Secondo una stima di Bernstein, l’aumento delle energie rinnovabili potrebbe significare una riduzione dei combustibili fossili del 60% (passando dall’85% circa del mix energetico attuale al 25% entro il 2050), con un costo di più di 150 miliardi di euro l’anno e un impatto sull’occupazione molto importante. Attualmente, l’estrazione e il lavaggio del carbone danno lavoro a circa 3,5 milioni di persone.

La Cina è il paese dove le temperature medie sono aumentate più velocemente tra il 1951 e il 2017, osserva Somini Sengupta sul New York Times. Il cambiamento climatico potrebbe influenzare la fornitura di cibo e acqua, mentre l’innalzamento dei mari minaccia le città industriali, densamente popolate, situate lungo la costa.

Cosa dovrà fare la Cina per arrivare a zero emissioni nel 2060?

L’annuncio del Presidente Xi Jinping ha stupito esperti di cambiamento climatico e politiche climatiche perché da tempo la Cina sosteneva che, in quanto economia in via di sviluppo, non avrebbe dovuto condividere lo stesso carico di riduzione delle emissioni delle nazioni già sviluppate il cui inquinamento è rimasto incontrollato per decenni. 

In base all'accordo sul clima di Parigi raggiunto nel 2015, la Cina aveva promesso di raggiungere il picco delle sue emissioni intorno al 2030 ma mai si era espressa sulla neutralità carbonica. Per questo, le parole del Presidente cinese sono arrivate del tutto inaspettate. Attualmente, più di 60 paesi si sono impegnati a garantire la neutralità del carbonio entro il 2050, data limite, secondo gli scienziati, per scongiurare la peggiore catastrofe climatica.

Leggi anche >> Scienza, economia, politica, disinformazione, attivismo. L’ebook di Valigia Blu sul cambiamento climatico

Al netto degli annunci, il lavoro duro arriva adesso. Ci sono molte ragioni per essere prudenti, commenta Steven Lee Meyers sul New York Times. Sono tanti, infatti, i fattori che sembrano andare in controtendenza con la svolta preannunciata dal Presidente cinese.

Il consumo di carbone, diminuito dal 2013 al 2017 con l’obiettivo di migliorare la qualità dell'aria della Cina, è tornato a salire negli ultimi anni quando, con l'economia in calo, il governo ha dovuto stimolare la crescita industriale.

Quest’aumento si è fermato solo durante il lockdown, imposto per frenare la diffusione del nuovo coronavirus, ma, secondo una ricerca di Lauri Myllyvirta, capo analista del Center for Research on Energy and Clean Air, a maggio le emissioni di anidride carbonica derivanti dalla produzione di energia, del cemento e da altri usi industriali erano superiori del 4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. 

Inoltre, rispetto al 2018 e al 2019, nei primi sei mesi del 2020 la Cina ha concesso più permessi di costruzione di centrali elettriche a carbone, a dimostrazione che il paese si sta ancora muovendo a pieno ritmo in quella direzione: la sua spesa per i combustibili fossili post-Covid (oltre 20 miliardi di euro per le centrali a carbone e ancora di più per l'estrazione e la sua lavorazione) è tre volte maggiore di quella per l'energia pulita. 

A questo va aggiunto che buona parte delle centrali a carbone del paese è relativamente giovane e ci vorrà tempo prima che vengano dismesse. Negli Stati Uniti, per fare un paragone, l'età media di una centrale a carbone è di 39 anni, un arco di tempo che le avvicina molto all’obsolescenza. In Cina, l’età media è di soli 14 anni, gli impianti più recenti rappresentano la parte del leone delle emissioni del settore. Molti di questi impianti andranno naturalmente in dismissione prima del 2060 ma, a breve termine, nulla lascia presagire una loro chiusura anticipata. Quanti degli impianti in fase di lancio oggi, più le centinaia la cui costruzione è già pianificata entro il 2030, chiuderanno davvero prima del previsto pregiudicando gli investimenti fatti e potenziali profitti?, si chiede Tim McDonnell su Quartz.

via Quartz

Per tradurre in pratica l’annuncio politico di Xi Jinping, dunque, la Cina dovrà operare un cambiamento strutturale del sistema energetico del paese, attraverso il passaggio alle fonti rinnovabili e alla dotazione di strumenti che consentano di compensare le emissioni persistenti di aeroplani, acciaierie e altre fonti difficili da decarbonizzare completamente, come, ad esempio, le macchine per il rimboschimento e l'aspirazione del carbonio.

Leggi anche >> Tutti i nostri articoli sul cambiamento climatico

Tuttavia, non si parte da zero. Come detto, oltre a essere la maggiore consumatrice al mondo di carbone, la Cina è anche leader nel settore delle tecnologie energetiche pulite, compresi i pannelli solari e le turbine eoliche, ed è la più grande produttrice mondiale di automobili e bus elettrici. Questo potrebbe agevolare la transizione dai combustibili fossili all’energia pulita a patto che l’impegno politico sia costante. 

Secondo un’analisi di Carbon Brief l’enorme quantità di investimenti richiesti potrebbe far aumentare il PIL cinese fino al 5% entro la fine del 2030 e portare anche a una riduzione del costo dell’energia pulita, creando un effetto positivo di “ricaduta” anche negli altri paesi.

Wang Wenbin, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, ha detto che il ricorso alle energie rinnovabili è in crescita, sottolineando che la produzione della Cina rappresenta ora il 30% di quella di tutto il mondo. Già in passato, Xi Jinping aveva assicurato il sostegno del governo per le nuove tecnologie e un impegno ancora maggiore per combattere l'inquinamento, proteggere le risorse naturali ed espandere le reti dei parchi nazionali del paese.

Per quanto riguarda le energie rinnovabili, secondo quanto ricostruito da Bloomberg, allo scorso anno la Cina aveva circa 213 gigawatt di capacità solare e 231 di capacità eolica installati e dovrà arrivare ad almeno 2.200 gigawatt di solare e 1.700 di eolico per effettuare la transizione entro il 2060, ha affermato Xizhou Zhou, vicepresidente per l'energia globale e le energie rinnovabili presso IHS Markit Ltd.

via Bloomberg

Molto probabilmente, aggiunge Steven Lee Meyers sul New York Times, la Cina aumenterà la dotazione di centrali nucleari per sostituire quelle a carbone, “anche se ciò potrebbe sollevare ulteriori questioni ambientali e di sicurezza”. Il primo reattore cinese interno ha da poco iniziato a caricare carburante e di recente il paese ha approvato nuovi impianti dopo un congelamento durato diversi anni.

Inoltre, prosegue Bloomberg, dovranno aumentare gli investimenti in “idrogeno verde” per favorire la decarbonizzazione dei settori industriali ad alta intensità energetica nei quali la Cina domina, come la produzione di acciaio, ad esempio. Per raggiungere le alte temperature richieste per la produzione di acciaio e cemento, viene tipicamente utilizzato il coke, carbone di alta qualità, lavorato. La sola produzione di acciaio è responsabile del 15% delle emissioni di anidride carbonica della Cina. Per questo è fondamentale trovare alternative al carbone. Il budget attuale per la ricerca in "idrogeno verde" è passato dai 16 milioni di euro nel 2015 agli oltre 110 nel 2018.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Infine, la Cina dovrà investire nella compensazione del carbonio. Una possibilità è la cattura e lo stoccaggio del carbonio, una tecnologia oggi poco utilizzata a causa dei costi elevati e praticamente senza vantaggi economici. Le cose potrebbero cambiare nel caso in cui il prezzo delle emissioni diventasse troppo elevato da richiedere l’utilizzo di questo tipo di tecnologia. 

La Cina potrebbe utilizzare anche altri programmi di compensazione come, ad esempio, la piantumazione degli alberi su larga scala e il recupero delle zone umide. Il governo prevede di creare 35 milioni di ettari di foresta entro il 2050 per il suo progetto “Great Green Wall”.

Immagine in anteprima via Sky News

Segnala un errore