Un possibile intervento militare in Iran manda in tilt il mondo MAGA di Trump
6 min lettura“Non vi daremo più lezioni su come vivere, dato che le meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti nation builder o neo-con”. Un mese fa, Donald Trump ha pronunciato queste parole in Arabia Saudita, durante il suo primo viaggio ufficiale nel suo secondo mandato da presidente. Queste frasi, dure verso il pensiero comune repubblicano precedente al suo ingresso in politica, riflettevano alcuni pilastri del movimento MAGA: abbandono dei teatri di guerra mediorientali e fine della percezione di superiorità della democrazia liberale sugli altri sistemi di governo.
Un mese dopo, Trump sembra sul punto di intervenire militarmente in Iran, con l’obiettivo di supportare l’attacco israeliano e distruggere i siti di arricchimento dell’uranio nel paese, per impedire a Teheran di sviluppare una bomba atomica. Questo cambiamento repentino nel suo approccio alla politica estera ha generato una crisi nei suoi sostenitori e uno stallo nel mondo repubblicano, tra chi condivide l’idea che Teheran vada fermata e chi invece ribadisce che il movimento MAGA è nato per porre termine alle operazioni militari degli Stati Uniti all’estero.
Dopo l’inizio dei bombardamenti su Teheran, il Segretario di Stato, Marco Rubio, ha fatto subito sapere che gli Stati Uniti non erano coinvolti, non menzionando mai l’idea di poter intervenire a fianco di un alleato. D’altronde, nei mesi precedenti l’amministrazione si era seduta al tavolo con l’Iran per negoziare un nuovo accordo sul nucleare, dopo quello voluto da Obama e da cui lo stesso Trump si è ritirato nel 2018: un round di negoziati mai terminato per l’attacco di Israele.
Negli ultimi giorni, il presidente ha cambiato registro: prima, parlando del fatto che Israele controllerebbe i cieli dell’Iran, ha affermato che “noi li controlliamo”, e successivamente, dopo che Netanyahu non ha escluso l’ipotesi di colpire direttamente la Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha scritto su Truth che “sappiamo esattamente dove Khamenei si nasconde” e che l’Iran dovrebbe accettare una resa incondizionata. Si è inoltre rifiutato di eliminare l’opzione dell’intervento statunitense, dicendo che tutto sarebbe sul tavolo. Il 19 giugno, parlando con i giornalisti, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha comunicato, citando un messaggio di Trump, che il presidente USA deciderà “entro le prossime due settimane se procedere o meno” e attaccare l’Iran.
Tel Aviv vorrebbe l’intervento americano perché gli Stati Uniti sono l’unico paese a possedere una bomba molto potente, definita “bunker-buster”, che sarebbe la sola arma in grado di penetrare le difese di Fordow, un sito di arricchimento dell’uranio che si troverebbe 90 metri sotto una montagna. Il Financial Times, però, ha affermato che non c’è sicurezza che l’utilizzo di quest’arma possa distruggere tutto l’edificio, data la profondità a cui si trova.
Un’escalation che ha generato una spaccatura nel mondo repubblicano, fino ad ora piuttosto compatto nel sostegno a Donald Trump. Da un lato, i cosiddetti falchi, che appoggiano le politiche israeliane in Medio Oriente e sono favorevoli a un maggior coinvolgimento statunitense, e che hanno dominato la politica estera repubblicana dal post 11 settembre fino alla leadership di Trump sul partito, dall’altro gli isolazionisti, l’ala più estremista del Partito, saliti alla ribalta proprio con Trump, che vorrebbero una lontananza degli Stati Uniti da qualsiasi intervento militare estero, in linea con il dettame politico dell’”America First”.
Una delle voci più importanti dei trumpiani isolazionisti è l’ex commentatore di Fox News Tucker Carlson che, contrariamente alla linea dell’emittente, già nel 2020 aveva criticato l’uccisione da parte degli Stati Uniti e autorizzata da Trump stesso del generale iraniano Qassem Soleimani. Nel 2022, poi, si è dichiarato contrario agli aiuti statunitensi all’Ucraina e ha ottenuto un’intervista di due ore con Putin, rilanciata dal Cremlino stesso. Carlson ha detto che chi è a favore dell’intervento sarebbe un guerrafondaio e, in un’intervista col Senatore Ted Cruz, ha criticato il fatto che questo non sapesse nemmeno a quanto ammontasse la popolazione iraniana, nonostante fosse favorevole a un’escalation. Le parole di Carlson, sempre più dure verso l’amministrazione, hanno generato una reazione piccata di Trump, che ha replicato al presentatore su Truth, il social di proprietà dello stesso presidente, “America First vuol dire che l’Iran non può possedere un’arma atomica”. Questa risposta, abbastanza paradossale, sembra implicare, come scritto da William Kristol, conservatore favorevole all’intervento, che in realtà il concetto di America First non avrebbe delle vere linee guida, ma sarebbe semplicemente il pensiero di Trump, leader del movimento MAGA.
Questo non è bastato, però, a molti politici da sempre leali col presidente, che hanno iniziato ad esprimere forti critiche. La deputata ultraconservatrice Marjorie Taylor Greene ha difeso Carlson e affermato che chi è a favore dell’attacco sarebbe contro i principi MAGA, e il deputato del Kentucky, Thomas Massie, ha addirittura promosso una risoluzione bipartisan con il deputato democratico Ro Khanna, supportata anche da Alexandria Ocasio Cortez, per proibire a Trump di compiere “ostilità non autorizzate” con l’Iran.
A riacquisire centralità sono invece i senatori del vecchio partito repubblicano, favorevoli all’intervento e pronti a sostenere Trump: tra questi, l’ex leader al Senato Mitch McConnell, che ha affermato che Carlson e Bannon sono contrari ad aiutare Israele, così come lo erano sul sostegno all’Ucraina, e che per gli isolazionisti sarebbe una brutta settimana. In un vero e proprio ribaltamento, sono i politici entrati al Congresso grazie alla piattaforma trumpiana, e generalmente a lui più leali, a sentirsi traditi da questo approccio del presidente, mentre chi sosteneva Trump per convenienza è ora dalla parte della Casa Bianca.
Anche all’interno dell’amministrazione si intravedono screzi. La direttrice della National Intelligence, Tulsi Gabbard, ex militare contraria a ogni tipo di intervento statunitense, è, secondo POLITICO, sempre più lontana da Trump. Il 10 giugno, in un video, Gabbard ha parlato di un mondo che rischia l’apocalisse nucleare, che secondo alcuni esponenti dell’amministrazione era stato fatto col tentativo di sconsigliare Israele dall’attaccare l’Iran. A segnalare la lontananza di Gabbard dal cerchio dei decisori, il fatto che in un incontro svoltosi a Camp David qualche giorno fa con il direttore della CIA John Ratcliffe, in cui si è parlato approfonditamente di Iran e Gaza, non fosse nemmeno presente. Per difendere il ruolo di Gabbard nell’amministrazione si è mosso il vicepresidente JD Vance, che l’ha definita “una patriota, sostenitrice leale del presidente”. Un messaggio che evidenzia le difficoltà di Vance stesso in questo cambio di posizionamento di Trump: selezionato proprio per le sue idee isolazioniste, tra cui la contrarietà a un supporto militare all’Ucraina, ha dovuto cambiare registro negli ultimi giorni, rassicurando che non verranno fatte scelte disastrose come negli ultimi venticinque anni, anche perché si fida del presidente.
Nella spaccatura sempre più evidente, è interessante evidenziare la differenza tra i media conservatori tradizionali, come Fox News, favorevole a un intervento bellico in Iran e il cui presentatore Mark Levin ha parlato direttamente con Trump e ha definito Carlson un “antisemita”, e il mondo dei podcaster, centrale nella rielezione di Trump. Tra questi, Theo Von, che intervistò Trump l’anno scorso saldando un asse tra i creatori di contenuti maschilisti e il Partito repubblicano, si è espresso contrariamente all’intervento. Una spaccatura che evidenzia quella che si nota anche in politica: una vecchia destra conservatrice, che si rifà ancora alle idee di politica estera maggioritarie a inizio millennio, e i nuovi esponenti isolazionisti, saliti alla ribalta con l’ascesa politica di Donald Trump. Inoltre, alcuni sondaggi hanno stimato che i cittadini sono per la maggior parte contrari a un intervento diretto degli Stati Uniti in Iran: la rilevazione Economist/YouGov ha decretato che tra i repubblicani il 53% dei cittadini è contrario e solo il 23 si dichiara favorevole. Una spaccatura sempre più evidente, dovuta a una mancata adesione a una delle principali promesse elettorali di entrambe le campagne di Trump alla presidenza: rimanere fuori dai conflitti regionali lontani dal suolo americano. Nonostante questo, il presidente ribadisce che le possibili azioni future si rifanno ai dettami dell’“America First”, evidenziando la possibilità di piegare il suo progetto politico agli interessi del momento. Quella di Trump non è una coerente visione ideologica, ma la richiesta di una fiducia acritica nelle capacità di Donald Trump stesso: d’altronde, come ha detto ad alcuni giornalisti, “potrei colpire l’Iran, potrei non farlo, nessuno sa cosa farò”.







