Il nuovo presidente della Polonia Nawrocki è in aperta polemica con l’Ucraina: perché la Storia continua a dividere Varsavia e Kyiv?
22 min letturaDi: Andrea Braschayko (Italia/Ucraina), Francesco Brusa (Italia), Szymon Martys (Polonia).
La visita del neo-eletto presidente della Polonia, Karol Nawrocki, al villaggio di Domostawa, nel Voivodato della Precarpazia, appena poche ore prima del silenzio elettorale nelle recenti elezioni presidenziali (che lo hanno visto prevalere di misura su Rafał Trzaskowski, candidato della Coalizione Civica), prima. Poi, la decisione del Sejm di istituire una nuova festa nazionale l’11 luglio (“Giornata della memoria per i polacchi vittime del genocidio commesso dall’OUN-UPA nei territori orientali della Seconda Repubblica”). Infine, il film falsamente attribuito dall’intelligenza artificiale a Maria Andruchiw, un’attivista ucraina che vive in Polonia, che nega gli omicidi di polacchi avvenuti nel 1943 nella sua nativa Volinia.
Tutti questi eventi hanno un elemento in comune: un’intensificazione e un ritorno visibile dei dibattiti sulle difficili relazioni storiche polacco-ucraine. In effetti, la campagna presidenziale dello scorso maggio è stata piena di discussioni sulle relazioni di Varsavia con l’Ucraina, al quarto anno di invasione russa.
In particolare, hanno ripreso vigore nel dibattito pubblico le questioni storiche, soprattutto i massacri ucraini della popolazione polacca in Volinia e nelle aree indicate dalla storiografia polacca come Piccola Polonia (Małopolska Wschodnia) orientale durante la Seconda guerra mondiale.
Alcuni candidati – tra cui Maciej Maciak, Artur Bartoszewicz e Grzegorz Braun (estremista di destra, che ha ottenuto il 6,34% dei voti) – hanno apertamente criticato l’Ucraina e gli ucraini per il loro presunto “parassitismo” sul sistema sociale polacco, la distruzione dell’agricoltura polacca, il trascinamento della Polonia nel conflitto armato. Altri, come Sławomir Mentzen, del partito di estrema destra Konfederacja, hanno tentato una critica ancora più centrata, concentrandosi in modo particolare proprio sulla Storia.
Come sintesi, il principale candidato della destra, Karol Nawrocki, del partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), ha scelto di usare la retorica di Mentzen, piuttosto che quella di Kaczyński, cioè il leader della formazione che lo sosteneva. Non solo firmando dichiarazioni contro l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e alla NATO, ma entrando più volte in polemica aperta con politici ucraini sul tema della Volinia; vale la pena ricordare che Narwocki è il presidente dell’Istituto della Memoria Nazionale, principale “vivaio” statale del nazionalismo nelle istituzioni ufficiali dello Stato.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Qual è la posta in gioco?
Il ritorno del tema dei massacri della Volinia nel dibattito pubblico polacco può essere compreso come un mix fra dispute storiche irrisolte, legittima ricerca di giustizia da parte di comunità soggette ad episodi di violenza, e strumentalizzazione del passato da parte delle forze nazionaliste: tutto questo viene “agitato” all’interno del contesto già complicato posto dall’invasione russa dell’Ucraina.
Tra il 1943 e il 1945, le forze nazionaliste ucraine, principalmente l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), uccisero decine di migliaia di polacchi etnici (circa 50.000–60.000, secondo Jared McBride nel suo saggio del 2016 Peasants into Perpetrators: The OUN-UPA and the Ethnic Cleansing of Volhynia, 1943–1944), molti dei quali donne e bambini.
Mentre la Polonia definisce questi eventi come genocidio, l’Ucraina continua a rifiutare tale termine: una divergenza che continua a complicare i gesti diplomatici e simbolici tra i due vicini. Alcuni storici ucraini, da parte loro, sottolineano la lunga storia delle politiche polacche di polonizzazione durante il periodo interbellico, che cercavano di assimilare o marginalizzare ruteni e ucraini nei territori orientali della Seconda Repubblica Polacca, alimentando l’odio tra le due comunità. Lo storico americano Timothy Snyder (1999) ha scritto che “è indiscutibile che, oltre alle perdite dirette dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale, circa 50.000–100.000 polacchi e ucraini furono uccisi, e circa 1,5 milioni furono costretti a lasciare le loro case tra il 1943 e il 1947”.
Lo storico canadese John-Paul Himka ci spiega che “la ‘pacificazione’ polacca del 1930 fu già un punto basso, ma l’atteggiamento del governo polacco verso gli ucraini (e altre minoranze) si irrigidì ulteriormente entro la fine del decennio, sotto il governo dei cosiddetti ‘colonnelli’. “La repressione polacca alimentò il nazionalismo ucraino, e i nazionalisti ucraini cominciarono a desiderare l’uccisione di un gran numero di polacchi nei territori etnicamente ucraini, con l’idea di assimilare i superstiti nell’identità ucraina,” racconta.
A suo avviso, un altro fattore importante fu “la politica portata avanti dai vicini della Polonia, la Germania nazista e l’Unione Sovietica stalinista: entrambi incoraggiarono e usarono la violenza. Dato questo contesto, l’universo morale all’interno della Polonia cambiò radicalmente. Sebbene gli sviluppi del periodo interbellico non abbiano determinato in modo univoco il tipo di violenza che ha investito Volinia e Galizia, hanno comunque stabilito alcuni parametri.”
Altri storici ucraini evidenziano anche casi di violenza etnica di ritorsione, sebbene su scala minore, contro civili ucraini nello stesso periodo, così come nel dopoguerra, in particolare durante l’Operazione Vistola (Akcja “Wisła”). Portata avanti dalle autorità comuniste polacche nel 1947, questa operazione deportò forzatamente oltre 140.000 ucraini e persone di etnia lemko dal sud-est della Polonia ai cosiddetti “Territori Recuperati” (Ziemie Odzyskane) nel nord e ovest del paese.
L’obiettivo era eliminare la base di sostegno rimanente per l’UPA e sopprimere l’identità ucraina, ma la sua eredità è ricordata in Ucraina come un atto di repressione etnica e trauma collettivo. Questa violenza asimmetrica, ma reciproca, continua a plasmare le narrazioni storiche da entrambe le parti, e spiega il perché la riconciliazione fra le due parti rimane lontana.
Richieste di giustizia e scontro di memorie
Come accennato, la recente elezione di Karol Nawrocki come nuovo presidente della Polonia riporta l’attenzione sulla memoria e l’eredità dei massacri della Volinia durante la Seconda guerra mondiale. Nawrocki, storico conservatore e presidente dell’Istituto della Memoria Nazionale (IPN), ha fatto della “giustizia storica” un tema centrale della sua campagna. Nelle sue prime dichiarazioni pubbliche da presidente eletto, ha accolto con favore la continuazione della cooperazione con l’Ucraina, ma ha sottolineato che essa deve includere la risoluzione delle “questioni storiche in sospeso”, un chiaro riferimento alla lunga disputa sugli omicidi di polacchi nell’Ucraina occidentale, che il Sejm polacco ha ufficialmente dichiarato genocidio nel 2016 dopo anni di pressioni proprio dall’IPN.
Il contesto politico resta teso. Sebbene la Polonia sia stata uno degli alleati più convinti dell’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa su larga scala nel 2022, la memoria storica irrisolta – in particolare intorno alla Volinia e al ruolo dei nazionalisti ucraini, Stepan Bandera in primis – ha minacciato più volte di minare tale solidarietà.
Lo storico ucraino Georgiy Kasianov, nel suo libro Memory Crash: Politics of History in and around Ukraine, 1980s–2010s (Central European University Press, 2022), scrive: “La storia del passato nelle relazioni ucraino-polacche è molto istruttiva sotto molti aspetti, soprattutto per quanto riguarda il potenziale conflittuale della politica della memoria. A prescindere dall’orientamento politico di individui e partiti al potere, le élite governative di entrambi i paesi considerano relazioni amichevoli e cooperative con il vicino come una priorità assoluta. Polonia e Ucraina sono riuscite a trovare soluzioni reciprocamente accettabili in quasi ogni ambito, comprese le relazioni economiche, politiche e culturali. C’è solo un’eccezione: la sfera della memoria storica.”
Lo storico ucraino Yaroslav Hrytsak concorda che “il massacro della Volinia e l’UPA sono gli unici ostacoli reali alla riconciliazione polacco-ucraina. Qui abbiamo a che fare con miti nazionali molto asimmetrici. Negli ultimi dieci anni circa, il massacro della Volinia è diventato un mito centrale nella memoria storica polacca – un po’ come l’Olocausto nella memoria ebraica o l’Holodomor in quella ucraina. Al contrario, nella memoria storica ucraina, la Volinia occupa un posto piuttosto marginale, e molti ucraini hanno solo una vaga idea di cosa sia realmente successo lì,” ci spiega.
“Sono certo che fino a poco tempo fa, Zelensky sapesse molto poco, se non nulla, del massacro della Volinia. Inoltre, gli ucraini non capiscono perché le élite polacche, che dovrebbero essere alleate, continuino a sollevare questa questione mentre l’Ucraina è in guerra con la Russia. Sospettano che potrebbe essere il risultato di un’interferenza russa volta a rompere l’alleanza polacco-ucraina.”
Hrytsak ha personalmente organizzato o partecipato a diversi eventi volti a riconciliare polacchi e ucraini. Sebbene alcune di queste iniziative siano finite con successo, quelle concentrate specificamente sulla Volinia sono state, a suo dire, “fallimenti spettacolari”. La sua amara esperienza lo porta a credere che le possibilità di ottenere una riconciliazione su questo tema siano molto scarse e che richiederanno molto più tempo e impegno.
Lo storico polacco Adam Leszczyński, la cui famiglia fu direttamente colpita dagli eventi in Volinia – suo nonno, da bambino, dovette nascondersi nella foresta dopo che tutta la sua famiglia fu uccisa in un massacro nel villaggio, e fu poi accolto dai partigiani sovietici – offre una prospettiva personale netta sulla questione. “Conosciamo i fatti, e possiamo discutere sulla terminologia. Si è trattato chiaramente di un crimine di guerra, molto simile a una pulizia etnica. Il dibattito ora ruota attorno al fatto che si tratti o meno di genocidio. Rientra nella definizione legale più rigorosa? Alcuni dicono di sì, altri no… È un dibattito complesso, e non penso che nemmeno lo Stato polacco abbia una posizione chiara; spesso dipende dal contesto politico,” ci dice.
“C’è stata una pressione enorme sull’Ucraina negli ultimi 10 o 15 anni affinché presentasse delle scuse. Zelensky lo ha fatto, forse con un po’ di riluttanza; anche uno dei suoi predecessori ha espresso rammarico. Ma ci sono voci in Polonia che sembrano aspettarsi che gli ucraini si scusino continuamente – come se non ci fosse mai fine. Ma, dopotutto, questi eventi sono accaduti molto tempo fa.”
Le nuove esumazioni: un difficile accordo politico
Tuttavia, è legittimo dire che negli ultimi mesi la questione sia giunta a un punto di svolta. Nel gennaio 2025, infatti, il governo ucraino ha revocato un divieto di fatto alle riesumazioni (in vigore dal 2017) e ha permesso ai team polacchi di riprendere il lavoro di recupero nei siti delle fosse comuni. La decisione, confermata dal primo ministro Donald Tusk e dalla ministra della Cultura Hanna Wróblewska, è stata accolta come una svolta attesa da tempo. In aprile, le prime esumazioni sono iniziate nell’ex villaggio polacco di Puzhnyky, oggi in Ucraina occidentale, con il coinvolgimento di esperti polacchi e ucraini e dei parenti delle vittime. Negli scorsi giorni, i governi ucraino e polacco hanno concordato nuove esumazioni nell’oblast di Lviv, in Ucraina, e in un villaggio al di là del confine in Polonia.
Il processo ha portato un riconoscimento atteso da tempo alle famiglie e ha riportato la memoria della Volinia al centro dell’attenzione diplomatica.“Vedo le riesumazioni come un passo positivo”, continua Leszczyński. “Per me è una questione di giustizia storica nei confronti delle comunità polacche che furono vittime di violenza e massacri, e lo Stato polacco ha il dovere di portare avanti il recupero e il riconoscimento dei corpi. È un obbligo umanitario, è semplicemente un compito da svolgere, ma per molti anni gli ucraini, per loro ragioni, non erano molto disposti a collaborare. Per anni, in Polonia, un partito accusava l’altro di non essere abbastanza forte o diplomaticamente capace per ottenere risultati. Si può dire che esista questa “retorica del ping-pong” nella politica interna polacca, mentre l’Ucraina è piuttosto riluttante ad ammettere che qualcosa di malvagio sia davvero successo in Volinia”.
Allo stesso tempo, c’è almeno un “terzo attore” che interferisce nella relazione bilaterale tra Ucraina e Polonia: la Russia di Vladimir Putin. Inutile dire che la propaganda russa sfrutta spesso qualsiasi tema che possa deteriorare il rapporto tra l’Ucraina e i suoi alleati. Il tema del massacro di Volinia è stato per anni al centro della politica russa verso la Polonia nel suo versante ucraino. I tragici eventi di Volinia durante la Seconda guerra mondiale sono un carburante perfetto per la propaganda anti-ucraina della Russia e per presentare l’Ucraina ‘banderista’ e gli ucraini come una ‘nazione di criminali’ che ‘prima uccidevano in Volinia e ora fanno lo stesso nel Donbas’. Mosca cerca cinicamente di equiparare questi due eventi completamente scollegati, alimentando animosità reciproca da entrambi i lati del fiume Bug.
Ma ancora una volta, mentre vanno avanti le riesumazioni materiali, vi è anche una sorta di riesumazione simbolica che coinvolge le società e l’opinione pubblica di entrambi i paesi. Il tema dei crimini commessi dai nazionalisti ucraini in Volinia, Podolia, Polesia e nella regione di Leopoli dalla primavera del 1943 all’estate del 1944 è sempre stato presente nella sfera pubblica polacca, ma mai con tale intensità.
Si possono individuare due punti di svolta negli ultimi anni che hanno permesso ai circoli nazionalisti, e poi alla destra polacca in senso più ampio, di attirare maggiore attenzione pubblica su questo tema. In entrambi i casi, tuttavia, oltre alla giustizia storica, la “Volinia” in senso lato è diventata una valvola di sfogo per sentimenti contemporanei anti-ucraini. Gli antagonismi storici e il revanscismo sono emersi in piena forza quando il mercato del lavoro in Polonia è stato aperto agli ucraini (prima della guerra, circa 1,5 milioni di cittadini ucraini lavoravano in Polonia).
La situazione è cambiata ulteriormente con l’arrivo di un altro enorme numero di rifugiati (anche se immediatamente dopo lo scoppio della guerra, il tema della “Volinia” era temporaneamente scomparso). Questioni come il “rubare posti di lavoro” ai polacchi, i presunti privilegi goduti dagli ucraini fuggiti in Polonia, e le “auto costose” dei nuovi arrivati da oltre confine (cioè varianti locali di ben noti stereotipi anti-immigrati) hanno cominciato a intrecciarsi con il difficile passato delle due nazioni.
Non si può ignorare completamente il ruolo dei cosiddetti ‘środowiska kresowe’ (‘comunità dei confini orientali’), in particolare del defunto sacerdote cattolico armeno Tadeusz Isakowicz-Zaleski. Le organizzazioni provenienti da questo movimento, sebbene marginali, sono state piuttosto attive, andando ben oltre le tradizionali forze favorevoli dell’estrema destra, cercando di convincere, tra gli altri, politici del Partito Popolare Polacco e pubblicando articoli sulla rivista di centro-sinistra Przegląd (vale anche la pena ricordare che Leszek Miller, ex primo ministro dell’Alleanza della Sinistra Democratica, ha assunto una posizione apertamente scettica verso l’Ucraina, piena di risentimento storico).
Un altro fattore che ha alimentato il tema “voliniano” in senso ampio è stato lo spostamento a destra di gran parte del mainstream politico polacco. Durante la presidenza di Bronisław Komorowski della Piattaforma Civica (2010–2015), non solo Roman Dmowski e i cosiddetti ‘Żołnierze Wyklęci’ / ‘Soldati Maledetti’ vennero idealizzati, ma l’allora presidente definì piuttosto apertamente il massacro della Volinia “un evento con le caratteristiche del genocidio”.
Il tema è infine approdato anche nella cultura popolare. Wojciech Smarzowski, un regista noto per i suoi film socialmente critici (Kler, Drogówka) e per la sua visione critica della storia polacca (Róża), ha realizzato un film dal titolo semplice e significativo: Wołyń. Sebbene l’autore stesso rifiuti ogni forma di revanscismo, l’immagine dura e violenta si inserisce bene nella revisione altamente conflittuale della politica della memoria polacca verso l’Ucraina.
Cambiamenti nell’opinione pubblica
Un sondaggio condotto a luglio del 2023 dall’agenzia CBOS (“Le relazioni fra Ucraina e Polonia 80 anni dopo la Volinia”) mostrava come, per quanto la maggioranza delle persone intervistate comunque riconoscesse l’esistenza di divisioni fra Ucraina e Polonia per ragioni storiche (il 53%, che era il 60% nel 2018), almeno un 31% (di fronte al 23% di cinque anni prima) esprimesse una visione più positiva e credesse nella possibilità di una amichevole coesistenza fra le due nazioni confinanti, sgravata dal peso del passato.
Al contrario, un’altra indagine dell’anno successivo da parte del Centro Mieroszewski mostrava come il 40% dei cittadini polacchi fosse convinto che ci fossero eventi storici per cui gli ucraini avrebbero dovuto sentirsi in colpa nei loro confronti ancora oggi. A ogni modo, nonostante la consapevolezza diffusa che nel corso del tempo le relazioni fra Polonia e Ucraina avessero generato numerosi motivi di divisioni, la stragrande maggioranza (78%) delle persone interpellate da CBOS si diceva comunque convinta della possibilità di una riconciliazione.
Ma, pure prendendo i dati estremamente recenti relativi appunto al 2023 e 2024, in genere la popolazione polacca affermava di possedere una conoscenza tendenzialmente superficiale delle relazioni storiche fra il proprio paese e il vicino ucraino. Il 30% degli interpellati dal Centro Mieroszewski diceva di possedere nozioni certe rispetto alle questione che coinvolgevano l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), un terzo “ne aveva sentito parlare” e il restante terzo non sapeva di cosa si trattasse. Nel caso dell’Operazione Vistola e dell’OUN, gli indicatori mostrano una consapevolezza addirittura inferiore. Giusto il 25% degli interpellati diceva di avere una conoscenza approfondita delle deportazione di ucraini residenti in Polonia nel dopoguerra, mentre per l’OUN la percentuale scendeva al 18%. La maggioranza degli intervistati (51%), inoltre, ammetteva di non aver mai sentito parlare dell’OUN.
Per quanto riguarda i massacri della Volinia, invece, ben il 46% dei partecipanti al sondaggio del Mieroszewski sosteneva di possedere informazioni approfondite con un ulteriore 41% che ne aveva sentito parlare. Tuttavia, un’indagine di CBOS condotta l’anno precedente rilevava un quadro addirittura più netto: ben il 92% delle persone aveva sentito parlare dell’evento (di contro al 59% di quindici anni prima). Similmente, era cresciuto anche la percentuale di cittadini polacchi che affermava di “saperne molto” rispetto ai massacri in Volinia (il 64% contro il 37% del 2018).
Ci sono poi ulteriori ricerche che indicano come la questione della Volinia sia in effetti diventata una costante nello scenario politico polacco e un importante fattore che potrebbe influenzare le relazioni fra Varsavia e Kyiv. Lo si vede chiaramente da un sondaggio condotto da SW Research a settembre 2024, in cui il 52,6% degli interpellati era convinto che l’eventuale ingresso nell’Unione Europea avrebbe dovuto essere subordinato all’accettazione da parte dell’Ucraina a procedere con le esumazioni delle vittime dei massacri; similmente, in un’indagine di dicembre dello stesso anno, il 67% esprimeva scetticismo nei confronti delle dichiarazioni ucraine riguardanti le suddette esumazioni.
Se dunque la questione dei massacri in Volinia o in altre aree dei cosiddetti “kresy wschodnie” (“confini orientali”) ha assunto una certa rilevanza nel dibattito pubblico in Polonia, poco o nulla vengono invece discusse le pagine oscure della storia della Polonia in relazione alla popolazione ucraina: si agita nel paese la pratica molto diffusa in Europa centrale e orientale di leggere il proprio passato in chiave quasi esclusivamente vittimistica, invece che prendere responsabilità anche per quegli episodi in cui la propria società o il proprio Stato hanno giocato un ruolo da carnefici.
A questo proposito, si possono ricordare la distruzione delle chiese nella regione di Chełm durante il periodo fra le due guerre o la già citata Operazione Vistola, che ha comportato fra le altre cose lo sfollamento forzato di una larga parte di popolazione ucraine e lemco (russini) dalle odierne province di Lublino, Podkarpackie, Podlasie and Małopolska (dove avevano vissuto per secoli) verso i cosiddetti Ziemie Odzyskane (“territori recuperati”), vale a dire le zone nord-occidentali che divennero parte della Polonia dopo il 1945.
Ogni primo di marzo in Polonia si celebra la Giornata Nazionale della Memoria dei Soldati Maledetti, che commemora i militanti delle organizzazioni clandestine anti-comuniste attive nel paese al termine della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta ancora oggi di un’iniziativa controversa dal momento che equipara le vittime reali dello stalinismo (come Witold Pilecki) con persone che hanno invece portato avanti attacchi contro minoranze etniche o contro contadini “rei” semplicemente di aver ricevuto una porzione di terra in seguito alla riforma agraria. Fra le vittime dei “maledetti” ci furono ebrei, bielorussi, lituani, slovacchi e molto spesso ucraini.
I massacri avvenuti nelle località di Piskorowice, Sufczyn, Wierzchowiny, Sahryń, Miętkie, Szychowice, Turkowice, Pawłokoma, Bachów and Brzuszka, giusto per citarne alcuni, sono ulteriori pezzi di un più ampio puzzle storico e di un regolamento di conti incrociato che rischia di alimentare rigurgiti nazionalisti presso una larga fetta della società polacca, spesso suscettibile al mito di essere parte di una nazione “eternamente offesa dagli stranieri”, così come di mettere a repentaglio il riconoscimento della verità storica rispetto alle responsabilità del proprio paese in merito ai crimini di cui si è macchiato nel corso del tempo.
La dimensione europea dei rapporti tra Polonia e Ucraina
In un certo senso, questo processo di “riemersione” nel dibattito pubblico e nella coscienza collettiva dei massacri in Volinia in Polonia e Ucraina riflette gli sviluppi che si sono dati nei due paesi a partire dal raggiungimento dell’indipendenza nel 1991. Come ebbe a dire allora il dissidente ed ex-Ministro degli Affari Esteri polacco Bronisław Geremek, “il ritorno della libertà portava con sé anche il ritorno del nazionalismo”. In seguito alla caduta del socialismo, infatti, la storia venne spesso reinterpretata secondo un paradigma nazionale e così facendo alcune questioni del passato divennero nuovamente rilevanti.
Ma nel caso degli eventi in Volinia le dinamiche forse non sono così semplici e lineari. Nello specifico delle relazioni fra Ucraina e Polonia, si verificò anche una parabola che da un momento di iniziale unità fra i due paesi si spinse sempre più verso un disaccordo in merito alle memoria storica e identitaria, un passaggio – per come lo hanno riassunto gli storici polacchi e ucraini Tomasz Stryjek e Joanna Konieczna-Sałamatin nel titolo di un loro saggio – dalla riconciliazione alla deconciliazione.
Già negli anni ‘50, il gruppo di intellettuali e critici letterari e culturali polacchi esuli che si riuniva attorno alla rivista con sede a Parigi Kultura (fra di essi, il premio Nobel Czesław Miłosz) aveva iniziato a spendersi affinché la Polonia riconoscesse in maniera definitiva i confini orientali per come questi si erano configurati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Vale a dire, veniva propugnata la necessità di rinunciare a qualsiasi pretesa di reintegro dei territori perduti che ora appartenevano a Bielorussia, Ucraina e Lituania (tutt’e tre parte in quel momento dell’Unione Sovietica), in un’ottica di coesione in un comune sforzo per l’indipendenza. Un’impostazione che poco più tardi venne fatta propria dal movimento di Solidarność ed è in base a questi presupposti che nel 1989 Adam Michnik, membro del KOR (Comitato in Difesa dei Lavoratori), capo-redattore del quotidiano Gazeta Wyborcza e consigliere della stessa Solidarność e del suo leader Lech Wałęsa, poté partecipare al congresso fondativo del Movimento Nazionalista Ucraino (“Rukh”) e proclamare che il popolo polacco sarebbe stato a fianco di quello ucraino nella lotta di quest’ultimo per separarsi dall’Unione Sovietica.
Lo storico italiano Guido Crainz (che di recente ha pubblicato un libro dedicato proprio alle dispute di memoria nel continente, Ombre d’Europa) commenta: “È uno sviluppo dai tratti paradossali. La contrapposizione alla Russia aveva creato la possibilità che Ucraina e Polonia facessero fronte comune per liberarsi da Mosca ma, allo stesso tempo, il medesimo processo rafforzava i movimenti nazionali dei due paesi che a loro volta avrebbero gettato le basi per una rilettura della storia in ottica nazionalistica. È chiaro che nei rapporti fra Varsavia e Kyiv non sorgono problemi nel caso in cui, per esempio, la seconda commemori l’Holodomor. Tuttavia, le tensioni emergono nel momento in cui l’Ucraina, pure in un’ottica di contrapposizione alla Russia, inizia a celebrare figure come Stepan Bandera il cui esercito, oltre ad aver collaborato coi nazisti, prese parte anche ai massacri in Volinia”.
Tali sviluppi di poco successivi al conseguimento dell’indipendenza posero dunque le basi per i conflitti di memoria che vediamo in atto oggi. C’è da dire però che dispute e divisioni vere e proprie emersero compiutamente solo più tardi, e in particolare negli anni Duemila e Duemiladieci, quando in entrambi i paesi andarono al governo forze politiche che teorizzarono la necessità di istituire a livello statale una politica della memoria (il PiS in Polonia e Viktor Juščenko in Ucraina).
Una tendenza piuttosto comune in Europa centrale e orientale: dato anche il carattere piuttosto turbolento degli anni Novanta nei contesti post-socialisti, e il fatto che solo allora venne reso possibile l’accesso agli archivi di stato e vennero desecretati alcuni documenti, dovette trascorrere del tempo prima che le classi intellettuali e politiche dei diversi paesi elaborassero una narrazione rispetto al passato e provassero a renderla ufficiale.
Sempre a partire dagli anni Duemila, comunque, il clima generale spingeva in una tale direzione anche a livello di tutto il continente. L’Unione Europea aveva cominciato infatti a promuovere iniziative che riguardassero le politiche della memoria e il dialogo fra le diverse letture del passato dei diversi paesi. Vennero istituiti fondi specifici per attività che avessero a che fare con la storia e con la memoria.
Sono due gli eventi chiave che hanno prodotto questo cambio di passo: da una parte il fallimento del referendum costituzionale promosso dalla Francia nel 2005, che instillò presso le élite europee la sensazione che la sola integrazione e cooperazione economica non fosse più sufficiente a garantire la coesione degli stati membri ma fosse invece necessario agire anche a livello identitario e culturale; dall’altra parte l’allargamento a est del 2004 (il più massiccio in termini di nazioni e numero di persone interessate) iniziava a mettere in discussione il consenso rispetto all’Olocausto e alla sconfitta del nazifascimo come evento fondativo dell’Europa e dell’Unione Europea, mentre i nuovi Stati membri ex-sovietici ed ex-patto di Varsavia sottolineavano l’importanza del riconoscimento dei crimini sovietici e dell’occupazione subita dai popoli delle aree centro-orientali del continente.
Non è un caso dunque che anche la questione dei massacri della Volinia, oltre all’ovvio livello delle relazioni bilaterali fra Ucraina e Polonia, si intrecci in maniera più ampia con le politiche europee e assuma una dimensione europea. Lo stesso Karol Nawrocki si è detto intenzionato a porre il veto sull’ingresso dell’Ucraina in Europa qualora Kyiv non dovesse riconoscere le proprie responsabilità in quella tragedia o se non si dovesse procedere con le esumazioni.
Bruxelles dovrebbe giocare un ruolo in tutto questo? Secondo Crainz, “qualche iniziativa di moral suasion da parte delle istituzioni europee nei confronti dei due Stati coinvolti potrebbe risultare utile per evitare che la controversia diventi estremamente polarizzata o che vengano prese decisioni eccessivamente problematiche (com’è accaduto, in passato, con la scelta di Kyiv di nominare Bandera eroe nazionale). Allo stesso tempo, non va dimenticato che stiamo parlando di una disputa storica che non può essere risolta per decreto o per mezzo di voti parlamentari. Il compromesso politico è infatti l’opposto della riflessione critica sulla Storia e i diversi punti di vista dovrebbero dialogare attraverso l’approfondimento, la ricerca e l’analisi”.
Spiega la professoressa Aline Sierp (che si è occupata estesamente di temi riguardanti la storia e la memoria in ottica europea): “Bruxelles è continuamente coinvolta in questioni di questo tipo. Il modo in cui le nazioni guardano al proprio passato è di fatto un criterio per capire se un paese sia pronto o meno a diventare membro dell’Unione. Si tratta davvero di una regola non scritta. Non viene inserita nel sistema legale europeo, non si trova nell’aquis communitaire, ma viene discussa molto negli uffici delle istituzioni di Bruxelles”.
“Né cattivi né eroi”
A ogni modo, la presidenza Nawrocki potrebbe segnare una svolta per quanto riguarda il conflitto di memoria sui massacri della Volinia. Se alcuni sperano che il suo passato da direttore di un istituto dedicato alla memoria storica possa strutturare in maniera positiva e ufficializzare il dibattito sulla questione, altri temono invece un inasprimento dell’ottica nazionalistica che vanifichi i tentativi di dialogo. Fra i suoi più fieri critici c’è per esempio Volodymyr Viatrovych, l’ex-direttore dell’Istituto per la Memoria Nazionale (l’equivalente dell’IPN polacco in Ucraina), che viene spesso descritto come l’architetto delle politiche della storia dell’Ucraina post-Majdan. Viatrovych ha accusato Nawrocki di “aver distrutto il museo della Seconda Guerra Mondiale a Danzica [dove era direttore, prima dell’IPN, ndr.] e di aver politicizzato l’istituto di cui era a capo”.
Dal canto suo, Viatrovych è stato accusato di aver elaborato la narrazione storica ufficiale della nazione ucraina attraverso gesti controversi, come la rimozione o minimizzazione dei crimini commessi dall’UPA nel corso della Seconda Guerra Mondiale. “Viatrovych non avrebbe avuto alcun ruolo nella formazione della coscienza nazionale ucraina se tutta una serie di politici populisti non avessero tratto vantaggio dalle sue iniziative”, afferma Kasianov.
“Parlo di figure come Lyashko, Klitschko, Tymoshenko, Poroshenko o quei reduci del Rukh confluiti nel Partito del Popolo,” continua. “Ovviamente, anche le politiche aggressive di Putin hanno dato una bella mano, dal momento che la riabilitazione dell’OUN-UPA è stata promossa anche nell’ottica di contrastare il comunismo, ovvero l’eredità sovietica, ovvero la Russia. In generale, sono le forze di destra, conservatrici e populiste sia in Polonia che in Ucraina, i veri promotori del conflitto, a somigliare a dei gemelli siamesi, poiché sfruttano sistematicamente la politica della memoria ogni volta che torna loro utile. Non si tratta di un conflitto tra nazioni o popoli, ma tra segmenti ideologicamente affini all’interno di entrambe le società”.
Date il clima spesso arroventato del dibattito e l’alto grado di strumentalizzazione politica, chissà che il compito dei rappresentanti istituzionali e delle opinioni pubbliche non debba essere quello di trovare il miglior modo per combinare fra loro la ricerca di giustizia storica con l’orizzonte di una riconciliazione delle fratture e delle divisioni. Sia Hrytsak che Leszczyński menzionano per esempio le relazioni franco-tedesche dopo la Seconda Guerra Mondiale come un modello per Polonia e Ucraina affinché la questione dei massacri in Volinia possa essere rielaborata insieme. Secondo Hrystak, il paragone può essere in un certo senso esteso anche alla rilevanza che assume questa disputa storica in ottica europea: “così come la riconciliazione fra Parigi e Berlino dopo il 1945 ha rappresentato la pietra miliare su cui è stata edificata l’Unione, la riconciliazione fra Varsavia e Kyiv rispetto alla Volinia potrebbe essere la premessa fondativa dell’ulteriore allargamento a est in corso”.
Leszczyński, oltre alle relazioni franco-tedesche menziona anche il processo di dialogo storico fra Polonia e Germania, nella misura in cui secondo lui “è necessario riconoscere che esistono responsabilità da entrambi i lati. Ma innanzitutto occorre stabilire i fatti. E i fatti da cui partire sono che dei cittadini polacchi sono stati uccisi. Dopodiché, è giusto prendere in considerazione che anche gli ucraini, su scala minore, sono stati uccisi e che il movimento nazionalista ucraino è stato perseguitato nel periodo fra le due guerre. Così come, nel dopoguerra, che gli ucraini in Polonia erano cittadini di seconda classe”.
Per lo storico polacco, insomma, “bisogna ricostruire il quadro completo senza omissioni, così che a partire da quello le due parti possano ammettere le proprie responsabilità. Solo così si può chiudere la disputa storica e costruire la propria amicizia fra stati sulla base di un mutuo riconoscimento della verità. In questo senso, le relazioni franco-tedesche o polacco-tedesche sono buoni esempi di processi che hanno saputo levare il peso dei conflitti storici dalla vita quotidiana delle persone, lasciando appunto che se ne occupino gli storici”.
Similmente, per Himka, “l’unico modo per andare avanti è indagare e accertare tutto ciò che è successo, senza utilizzare categorie semplicistiche e manichee. Non ci sono esclusivamente “eroi” o “cattivi” in questa storia. Si tratta di un duro lavoro accademico che risulterà in una narrazione affatto consolatoria per nessuno dei due “ego nazionali” coinvolti. L’Ucraina dovrà guardare in maniera sobria e distaccata alla violenza che l’OUN-UPA ha inflitto alle minoranze e ai suoi oppositori, mentre i polacchi dovranno fare i conti con gli errori commessi dalla loro Repubblica nel periodo interbellico e con i limiti dei propri movimenti clandestini attivi nella Seconda Guerra Mondiale,” sostiene il professore canadese, fra i massimi esperti mondiali sul tema della violenza etnica in Europa orientale nella Seconda guerra mondiale. “Così come sarebbe d’aiuto se anche i russi riconoscessero in maniera limpida le conseguenze che ha avuto lo stalinismo, per polacchi e ucraini fra gli altri”.
Ovviamente, rammenta Himka, è un compito quasi impossibile da portare a termine nel contesto attuale, mentre è in corso una guerra d’invasione lanciata dal Cremlino. Eppure rappresenta l’unica via possibile, per evitare che Ucraina e Polonia si ritrovino avviluppate in un perpetuo e poco produttivo ciclo di accuse, auto-vittimizzazioni e incomprensioni reciproche. Così si rischierebbe non solo di confondere ulteriormente il passato, ma anche di compromettere il futuro nelle relazioni fra i due paesi.
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