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Yemen, una guerra “ignorata” e la peggiore crisi umanitaria al mondo

2 Dicembre 2017 10 min lettura

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Yemen, una guerra “ignorata” e la peggiore crisi umanitaria al mondo

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9 min lettura

Ahmed Abdu aveva sei anni quando è iniziata la guerra in Yemen. Ora ne ha nove, è ancora un bambino, ma già per quasi metà della sua vita stenti e difficoltà sono diventati la normalità, racconta Iona Craig, corrispondente del Guardian in Yemen e Medio Oriente sin dal 2010.

Una volta al mese, Ahmed fa un viaggio di più di 6 chilometri dal suo villaggio di montagna di A'unqba, negli altopiani centrali del paese, al mercato più vicino dove è disponibile il cibo. «Prima della guerra potevi mangiare quello che volevi, pollo, barrette di cioccolato, qualsiasi cosa», dice Ahmed alla giornalista. «Ora solo un po’ di tè, una manciata di cibo, un morso». A'unqba, dove l'elettricità è stata usata per la prima volta nel 2010, attraverso i generatori, è un villaggio nel governatorato di Taiz (uno dei centri contesi, simbolo del conflitto), con una moschea e un piccolo negozio “dove una lattina di sardine costa più del doppio rispetto ai mercati sulla strada principale in fondo alla montagna”.

Ahmed Abdu, 9 anni. La maggior parte della sua famiglia ha attraversato il confine ed è stato lasciato a prendersi cura dei parenti anziani (Foto di Iona Craig via Guardian)

I combattimenti nello Yemen centrale sono degenerati il ​​22 marzo 2015 dopo che i ribelli del nord, gli Houthi, sostenuti da unità militari fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, si sono trasferiti nella città di Taiz, a 16 chilometri a nord-est di A'unqba. Quattro giorni dopo una coalizione di nazioni rapidamente formata, guidata dall'Arabia Saudita, lanciò una campagna di bombardamenti per respingere le forze 'Houthi-Saleh', che a quel punto controllavano le quattro maggiori città yemenite, compresa la capitale, Sana'a, e avevano costretto il presidente in carica, Abdrabbuh Mansour Hadi, in esilio nella capitale saudita, Riyadh.

Le principali tappe del conflitto in Yemen

2011 Una rivolta ispirata dalla primavera araba spinge il presidente autoritario dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, a lasciare la carica.

2012 Abdrabbuh Mansur Hadi, in precedenza vice di Saleh, assume la presidenza dopo le elezioni. Era l'unico candidato. Si batte per unire il diviso panorama politico del paese, affrontare l'insicurezza alimentare e le minacce di Al Qaida.

2014 Gli Houthi iniziano ad avanzare nel nord del paese, area che hanno storicamente controllato. A settembre entrano nella capitale, Sana'a. Hadi fugge ad Aden.

2015 Hadi è costretto a fuggire in Arabia Saudita, che vede negli Houthi una forza sostenuta dall’Iran e inizia a bombardare quelli che considera "obiettivi militari" associati agli Houthi e all’ex presidente Saleh. La campagna aerea saudita riceve il sostegno di una coalizione di stati arabi sunniti e il supporto logistico da Stati Uniti, Regno Unito e Francia.

Giugno 2016 La coalizione guidata dai sauditi è inclusa in una lista nera di Stati e gruppi dalle Nazioni Unite perché nel conflitto stanno violando i diritti dei bambini. Dopo le proteste dell’Arabia Saudita, l'ONU rimuove la coalizione dalla lista nera. Human Rights Watch parla di "manipolazione politica". Almeno 6.200 persone sono state uccise, 2,8 milioni sfollati.

Ottobre 2016 Un attacco aereo della coalizione saudita bombarda un funerale a Sana'a, uccidendo 140 persone. L'ONU annuncia un cessate il fuoco di 72 ore, presumibilmente rotto da entrambe le parti.

2017 Dopo due anni di combattimenti, quella in Yemen è descritta dalle Nazioni Unite come la peggiore crisi umanitaria del mondo. Milioni di persone costrette ad affrontare la carestia e la minaccia del colera.

Novembre 2017 L'Arabia Saudita impone un embargo ai porti dello Yemen, in seguito al lancio di un missile a Riyadh dal territorio controllato dagli Houti. I responsabili del World Food Programme, dell'Unicef ​​e dell'Organizzazione mondiale della sanità mettono in guardia sugli effetti del blocco di cibo, carburante, farmaci e aiuti umanitari: "Migliaia di persone innocenti, tra cui molti bambini, moriranno".

Rebecca Ratcliffe, Guardian

Da una parte, dunque, ci sono gli Houthi, sostenuti dall’Iran, dall’altra, le forze vicine al presidente Hadi, impegnate in un conflitto che, spiega Craig, si è trasformato in un pantano, tra gli Houti che “usano tattiche di assedio per limitare l'accesso di rifornimenti tra cui acqua, cibo e medicinali in una delle zone più povere d'acqua", e la coalizione saudita che ha imposto un embargo a un paese che, "in tempo di pace importa il 90% del suo cibo principalmente dal porto di Hodeida, controllato proprio dagli Houti". All'inizio di novembre, l'Arabia Saudita ha intercettato un missile balistico vicino a Riyad, la sua capitale. Secondo i sauditi, il missile è stato lanciato dagli Houthi ed è stato fornito loro dall'Iran. Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha definito il lancio una «aggressione militare diretta» che potrebbe essere «considerata un atto di guerra». Per rappresaglia, Salman ha sigillato tutti gli ingressi via terra, aria e mare verso lo Yemen. Il blocco delle importazioni che, secondo l’Arabia Saudita, si è reso necessario per evitare che arrivassero armi di nascosto agli Houti, ha impedito anche l’arrivo di aiuti e di operatori umanitari nel paese.

Giovani yemeniti protestano contro la coalizione saudita all'esterno dell'ufficio delle Nazioni Unite a Sana'a (Foto Khaled Abdullah/Reuters via Guardian)

A causa dei bombardamenti, il villaggio di Ahmed è stato isolato per cinque mesi, quando missili e colpi di mortaio hanno iniziato a colpire le aree rurali e coltivate della zona, già messe a dura prova dagli effetti del cambiamento climatico che, per le grandi piogge, hanno decimato i raccolti. Le più ampie restrizioni sulle importazioni imposte dalla coalizione saudita e la svalutazione della valuta yemenita hanno fatto salire ancora di più i prezzi dei prodotti alimentari: il prezzo di riso, grano e zucchero si è quasi raddoppiato, racconta il bambino al Guardian. E anche le scuole sono rimaste chiuse perché gli stipendi degli insegnanti sono pagati saltuariamente. “Il mancato pagamento dei salari governativi, non retribuiti da agosto 2015 – scrive Iona Craig – implica che il 70% della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari”.

La scorsa settimana il World Food Programme (WFP), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dell’assistenza alimentare in tutto il mondo, ha affermato che sette milioni di yemeniti sono sull’orlo della carestia. Secondo l’organizzazione dell’Onu, 17 milioni di persone in Yemen si trovano in condizione di insicurezza alimentare, 3 milioni tra donne e bambini sotto i 5 anni richiedono sostegno alimentare e il WFP ha bisogno di 335 milioni di dollari per garantire cibo e nutrizione a 9 milioni di yemeniti entro marzo 2018.

«Senza aiuti economici, 125mila bambini rischiano di morire», ha detto alla CBS David Beasley, direttore esecutivo del WFP. «Siamo stati in grado di evitare la carestia ma siamo consapevoli che stanno accadendo tre cose: le persone stanno morendo e si stanno debilitando, la crescita dei bambini si sta arrestando. I loro cervelli sono più piccoli, i loro corpi sono più piccoli perché non ricevono il cibo o la nutrizione di cui hanno bisogno».

«Nella mia esperienza, non ho mai visto un paese così isolato dal resto del mondo come lo Yemen sotto la coalizione saudita oggi», ha riferito il corrispondente della CBS, Scott Pelley. «È molto raro avere una situazione in cui hai questa guerra totale, milioni di persone che affrontano la carestia, quasi un milione di persone colpite dal colera – e il mondo non può vederlo».

“La peggiore crisi umanitaria attualmente nel mondo”

Lo Yemen, scrive l’Economist, era già il paese più povero del Medio Oriente prima dello scoppio della guerra. Il conflitto non ha fatto altro che far deflagrare la povertà di uno Stato che “ha subito il più grande focolaio di colera della storia moderna ed è sull’orlo della più dura carestia che il mondo abbia mai visto per decenni”. La guerra ha distrutto i sistemi idrici, sanitari ed educativi. Per l’Onu si tratta della peggiore crisi umanitaria attualmente nel mondo: tre quarti dei 28 milioni abitanti del paese ha bisogno di aiuto e la guerra sembra non trovare una fine perché “i combattimenti, radicati in vecchi conflitti che ora coinvolgono molti gruppi e i paesi limitrofi, non vedono prevalere nessuna singola forza, rendendo così sempre più cupa ogni prospettiva di pace”.

via The Economist

Gli attacchi aerei della coalizione, prosegue il quotidiano britannico, hanno come obiettivi magazzini per la conservazione degli alimenti, l’aeroporto della capitale, Sana’a, la strada che conduce al porto di Hodeida in modo tale da impedire ogni mezzo di rifornimento. Le gru usate per scaricare le navi sono state messe fuori combattimento e gli Stati Uniti non sono in grado di fornirne di nuove, l’accesso di navi e aerei che trasportano cibo, carburante e medicine, monitorati dall’Onu, sono stati fortemente limitati. L’assenza di carburante ha paralizzato le stazioni di pompaggio dell’acqua e così gli abitanti di nove città hanno dovuto bere da fonti sporche. «Più di 2,5 milioni di persone non hanno accesso all'acqua pulita e così c’è il rischio che si creino altri focolai di colera», ha detto alla Reuters Iolanda Jaquemet della Croce Rossa Internazionale.

Tutto questo ha innescato un ciclo di sofferenza che crea le condizioni per la diffusione del colera e impedisce di curarlo. «Dall'aprile scorso, quasi 950mila yemeniti sono stati infettati, almeno 2200 persone sono morte e tanti sono stati i casi di dissenteria», ha aggiunto Jaquemet.

Secondo l’Unicef, riporta Amanda Erikson sul Washington Post, in Yemen muore un bambino ogni 10 secondi. La situazione è leggermente migliorata la scorsa settimana, quando l’Arabia Saudita ha ammorbidito l’embargo, consentendo che gli aiuti potessero arrivare ai due porti e aerei situati nelle aree controllate dagli Houti. Fino ad allora, scrive BBC, gli aerei giunti si potevano contare sulle dita di una mano. Alcuni trasportavano migliaia di chili di farina, un altro operatori umanitari e vaccini. Meglio di niente, ma non abbastanza, hanno commentato alcune organizzazioni umanitarie.

«Per sfamare 7 milioni di persone che soffrono la carestia, avremmo bisogno della stessa frequenza di accesso su base regolare che avevamo prima dell’embargo del 5 novembre», ha dichiarato alla CNN Abeer Etefa, uno dei coordinatori del World Food Programme.

L’Arabia Saudita sta usando la carestia come un’arma di guerra, ha commentato il giornalista Anthony Harwood su Newsweek. «L’Iran non può lanciare missili contro le città saudite e non aspettarsi conseguenze», aveva dichiarato alla CNN il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir il 4 novembre scorso, subito dopo il lancio di un missile da parte degli Houti verso l’aeroporto di Riyad intercettato dall’Arabia Saudita. Ma a subire il peso di queste conseguenze sono i civili dello Yemen, nota Laura Kasinof su Slate.

L’occidente e il dramma dello Yemen che non può ignorare

"Se l'Arabia Saudita non riduce il blocco di aiuti via mare, terra e aria, una mossa che il regno saudita continua a ritenere necessaria, la già catastrofica crisi umanitaria dello Yemen potrebbe presto diventare uno ‘scenario da incubo’". Lo scorso 12 novembre, il Guardian riportava l’allarme delle Agenzie umanitarie sulla situazione in Yemen.

Il 30 novembre, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione (539 voti a favore, 13 contrari e 81 astensioni) che spinge per la fine totale del blocco imposto alle frontiere terrestri, marittime e aeree dello Yemen (richiesta che anche Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha promesso avanzerà nel corso del suo viaggio di tre giorni in Arabia Saudita. Il governo May è stato anche fortemente criticato per il proprio supporto alla coalizione militare saudita formata da otto stati e guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).

La risoluzione del Parlamento europeo chiede anche una soluzione politica, inclusiva e negoziata al conflitto in atto e un embargo sulle armi vendute da paesi membri dell’Unione europea all’Arabia Saudita “viste le gravi accuse all'Arabia Saudita di violare il diritto umanitario internazionale” (sul punto una precedente risoluzione era stata votata sempre dal Parlamento europeo nel febbraio del 2016. Posizione ribadita anche il 13 settembre scorso),

La vendita di armi verso l’Arabia Saudita è stata dibattuta anche dal Parlamento italiano. Lo scorso 19 settembre la Camera dei Deputati ha respinto tre mozioni – di Sinistra Italiana, Movimento Cinque Stelle e Forza Italia – che chiedevano di bloccare l’esportazione di armi dall’Italia verso l’Arabia Saudita e tutti i paesi coinvolti nella guerra in Yemen. Sono state invece approvate due mozioni, presentate dal Partito Democratico e Scelta Civica, che chiedono di rafforzare il “meccanismo di consultazione periodico dell’Unione europea sul controllo delle esportazioni degli armamenti convenzionali” e di proseguire nei controlli sulle richieste da parte di imprese italiane che chiedono la licenza di esportazione di armi, vietandola in caso di violazioni accertate dagli organismi internazionali. Un fatto che Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia, aveva commentato con queste parole: «Parlamento e Governo dimostrano lo scarso interesse per il rispetto dei diritti delle vittime di un conflitto violentissimo e illegale, per fare un favore all'industria degli armamenti e all'Arabia Saudita, il paese che riesce a farsi perdonare ogni abuso col peso della sua potenza finanziaria».

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Oltre alla questione sanitaria ed economica, c'è poi quella politica. Quel che è grave, spiega l'Economist, è che il resto del mondo sembra insensibile a tutto questo. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri paesi occidentali continuano a essere alleati dell'Arabia Saudita, ignorando anche a proprio rischio e pericolo la situazione in Yemen:

Sono in gioco anche importanti questioni di sicurezza. Il mondo non può permettersi un altro Stato fallito – un nuovo Afghanistan o una Somalia – che diventa terreno fertile per il terrorismo globale. Lo Yemen, inoltre, domina lo stretto di Bab al-Mandab, un collo di bottiglia per le navi che utilizzano il canale di Suez. Piaccia o no, l'Occidente è coinvolto. La coalizione guidata dai sauditi sta combattendo con aerei e munizioni occidentali. I satelliti occidentali guidano le sue bombe.

Foto in anteprima via AFP/Getty Images

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