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La morte del ‘macellaio di Teheran’ e il futuro dell’Iran

21 Maggio 2024 6 min lettura

La morte del ‘macellaio di Teheran’ e il futuro dell’Iran

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Cominciamo dal futuro: le prossime presidenziali in Iran si terranno il 28 giugno; i candidati potranno registrarsi fino al 3 giugno; il Consiglio dei guardiani avrà circa una settimana per valutare le candidature (nelle ultime tornate elettorali ha quasi sistematicamente escluso moderati e riformisti, per garantire una salda presa del potere dei pur divisi ultraconservatori); la lista finale dei candidati sarà probabilmente diffusa l’11 giugno; la campagna elettorale comincerà il giorno dopo, per durare un paio di settimane. Dopo aver perso in incidente aereo il suo presidente e il ministro degli Esteri, la Repubblica Islamica riparte da qui. 

Domenica 19 maggio il presidente Ebrahim Raisi e il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian sono morti nello schianto dell’elicottero su cui viaggiavano per rientrare in patria, dopo l’inaugurazione di una diga nel vicino Azerbaigian. Le prime ricostruzioni ufficiali accreditano la tesi che si sia trattato di un incidente, dovuto alle proibitive condizioni meteo in una zona montuosa a poche decine di chilometri dal confine. Ma fra i primi pensieri di chiunque si sia occupato di Iran in questo ultimi vent’anni vi è stata anche l’ipotesi di un possibile sabotaggio del velivolo ad opera di attentatori o dei servizi segreti israeliani, non certo nuovi a questo genere di attacchi contro figure di rilievo e strutture militari e nucleari della Repubblica Islamica. Ipotesi formulata a partire anche dal solido legame di Israele con l’Azerbaigian, nonostante la recente ripresa delle relazioni diplomatiche e della collaborazione economica tra Baku e Teheran. In ogni caso, se questo fosse pure il sospetto di parte della leadership iraniana, per il momento questa preferirebbe certo tenerlo in ombra: da una parte per nascondere la propria vulnerabilità, dall’altra per evitare ulteriori escalation con Israele, tanto più in un delicato momento di transizione interna, dopo il superamento di decennali linee rosse con i reciproci attacchi armati dell’aprile scorso. 

La scomparsa del presidente e del ministro degli Esteri – incredibilmente insieme nello stesso elicottero, mentre gli altri due velivoli del convoglio sono arrivati a destinazione senza intoppo – rappresenta un duro colpo per la Repubblica Islamica come lo sarebbe per qualunque paese. Per come la sua struttura istituzionale è configurata, tuttavia, il sistema iraniano è ancora in grado di rispondere a questo tipo vulnus: a sostituire Raisi con un incarico ad interim è già stato nominato il suo primo vice-presidente, Mohammad Mokhber, chiamato ad assumere le funzioni di presidente fino a nuove elezioni, previste in un periodo massimo di 50 giorni. A sovrintendere al processo elettorale, secondo l’articolo 131 della Costituzione, sarà un Consiglio in cui Mokhber sarà affiancato dal presidente del Parlamento Mohammad Baqer Qalibaf  e dal capo del sistema giudiziario Gholam-Hossein Mohseni-Eje'i. A ricoprire la carica di ministro degli Esteri ad interim sarà invece Ali Bagheri Kani, già viceministro di Amir-Abdollahian, con un passato da capo negoziatore per il nucleare iraniano nonché per il rilascio di cinque prigionieri con cittadinanza USA dell’autunno scorso. E nel quale alcuni analisti vedono il probabile capo della diplomazia anche nel prossimo governo, così presupponendo una sostanziale continuità tra l’equilibrio politico attuale e quello che uscirà dalle prossime elezioni. 

Il sistema istituzionale della Repubblica Islamica mostra dunque per ora di avere tutte le premesse per tenere anche nel mezzo di questa crisi interna. Anche se la sorte ha voluto che la morte del Presidente, capo dell’esecutivo, coincida anche con la scadenza degli attuali presidenti del Parlamento e dell’Assemblea degli esperti, i due organi appena rinnovati dalle elezioni legislative del primo marzo scorso e dei ballottaggi di appena due settimane fa. Il nuovo Majlis si insedierà infatti solo il 27 maggio, mentre l’Assemblea degli esperti – che avrà probabilmente il compito di nominare il successore dell’attuale Guida suprema, l’85enne Ali Khamenei – perde con Raisi anche uno dei candidati più accreditati per assumere la massima carica politica e religiosa del Paese. La sua scomparsa potrebbe dunque far guadagnare punti all’altro possibile successore di cui più si è parlato negli ultimi tempi, il figlio dello stesso Khamenei, Mojtaba. Una scelta che sarebbe anch’essa in continuità con il passato degli ultimi anni, quelli in cui si è visto quel rafforzamento del pur litigioso fronte  ultraconservatore clericale, in stretto contatto con il potente apparato tecnocratico-economico-politico- militare rappresentato dalle Guardie della rivoluzione, finalizzato a garantire una transizione senza scosse verso l’elezione della nuova Guida suprema.  

Ma il processo politico-elettorale che si apre per i prossimi due mesi appare ancora più distante da buona parte della società iraniana di quanto non sia stato quello che si è da poco concluso, quando a prendere parte alle elezioni è stato soltanto, secondo dati ufficiali, il 41% degli elettori. E anche se il Consiglio dei guardiani ammettesse alla corsa elettorale un maggior numero di esponenti moderati e riformisti, difficilmente quest’ultima parte politica potrebbe recuperare grandi consensi, vista la generale sfiducia nel sistema dimostrata da larga parte dell’elettorato. “Anche alcuni conservatori più critici nei confronti della direzione del governo sono finiti esclusi da un sistema elettorale che tollera solo i più fedeli – osservano in un recente articolo Ali Vaez e Naysan Rafati, esperti dello statunitense International Crisis Group -. Di conseguenza, gli estremisti hanno consolidato il potere in tutte le istituzioni, elette e nominate, del sistema. Non vi è alcun segno che siano disposti a mettere a repentaglio questo controllo consentendo elezioni veramente competitive, soprattutto perché la Guida Suprema sollecita costantemente la purezza sul piano dottrinale”. 

Se dunque la leadership conservatrice sembra orientata a non prendere in alcuna considerazione le istanze di larghi strati della popolazione, che lamenta anche la grave crisi economica in cui versa il paese da molti anni, privilegiando la propria permanenza al potere, sul piano interno la vera incognita è rappresentata da un eventuale ritorno di proteste di piazza come quelle innescate nell’autunno 2022 dalla morte di Mahsa Amini, e seguite dal giro di vite repressivo che dura tuttora. Un giro di vite che il dissenso interno e l’opposizione all’estero non perdonano al sistema e allo stesso Raisi, già accusato di aver fatto parte – da giovane magistrato – di quel “comitato della morte” che condannò e giustiziò migliaia di oppositori in carcere per alcuni mesi nel 1988. Non è dunque un caso se la notizia della morte del presidente sia stata accompagnata da rumorose espressioni di giubilo di molti iraniani sia sui social che nelle stesse strade di Teheran – con episodi di festeggiamenti rilanciati anch’essi con grande risonanza in Rete e sui media internazionale. 

Nel frattempo, le poche notizie sull’incidente aereo emerse finora alimentano sospetti anche tra gli iraniani, molti dei quali si interrogano sulla possibilità di complotti interni alla stessa classe dirigente e comunque si chiedono - in Iran e nella diaspora – come sia possibile che ad oggi non vi sia stata una maggiore copertura giornalistica sull’incidente, se di incidente si è effettivamente trattato. Il quale potrebbe essere anche dovuto a un guasto tecnico dell’elicottero precipitato, dovuto alla sua obsolescenza (si tratterebbe di un vecchio modello statunitense risalente all’epoca dello scià) ma anche alla scarsa disponibilità di mezzi di ricambio per l’aviazione civile iraniana per effetto – come denunciato dall’ex ministro degli Esteri, Javad Zarif - di decenni di sanzioni americane contro la Repubblica Islamica. 

Un fronte di grandi incognite è, infine, quello della politica estera, dove pure i vertici iraniani vorrebbero la stessa continuità con il passato. Il perdurare della guerra a Gaza e le tensioni con Israele continuano infatti a essere una polveriera pronta a incendiarsi anche per Teheran, che pure in questi mesi ha sempre giocato con il fuoco. 

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Da una parte, infatti, in coincidenza con il conflitto a Gaza, ha incoraggiato l’intensificarsi delle ostilità anti-israeliane delle milizie del cosiddetto Asse della resistenza – da Hezbollah agli Houthi – dall’altra, si è spesa in un’attenta regia anche delle fasi più offensive, il culmine delle quali è stato il proprio stesso attacco, il 13 aprile scorso, con circa 300 tra missili e droni lanciati verso il territorio israeliano, senza che tuttavia provocassero sostanziali danni. Una regia volta a evitare un conflitto diretto con Tel Aviv e un incontrollabile allargamento della crisi di Gaza su scala regionale. 

Se questa resta la linea, l’attuale fase di transizione interna può comunque rappresentare un elemento di vulnerabilità ulteriore della Repubblica Islamica, già in passato oggetto anche di sanguinosi attentati terroristici come quello avvenuto a Kerman solo nel gennaio scorso. Un rischio d’altronde sempre buono, quello del terrorismo come della minaccia esterna, per favorire - ora forse più di prima - ulteriori strette in senso repressivo e autoritario.

Immagine in anteprima: frame video BBC via YouTube

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