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La vita sulla Terra è ‘sotto assedio’ da parte dell’uomo

3 Novembre 2023 10 min lettura

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La vita sulla Terra è ‘sotto assedio’ da parte dell’uomo

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Nei giorni scorsi il sultano, Al Jaber, chief della prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la COP28, che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, ha organizzato una due giorni di colloqui pre-COP ad Abu Dhabi. In molti li hanno definiti cruciali. Perché? 

Perché questi colloqui sono arrivati in un contesto molto particolare: dopo un’estate caratterizzata da ondate di calore prolungate, siccità, tempeste, inondazioni; nel mentre della guerra tra Israele e Hamas; all’indomani della pubblicazione di una serie di studi e analisi sullo stato dello scioglimento dei ghiacciai, sull’andamento delle emissioni di CO2, sulla deforestazione, sul riscaldamento globale per certi versi sconfortanti. Un recente studio su Nature ha rilevato che le ondate di calore estremo nell’Europa occidentale sono aumentate più velocemente di quanto si aspettavano le 170 simulazioni climatiche analizzate dalla ricerca. Eventi meteorologici estremi si susseguono senza sosta, sappiamo cosa dobbiamo fare, eppure c’è ancora una forte ritrosia a lanciarsi verso un modello di sviluppo a zero emissioni.

Appena la settimana scorsa, l’uragano Otis ha provocato centinaia di vittime ad Acapulco, in Messico. Meno di un giorno prima che si abbattesse su Acapulco, i meteorologi descrivevano Otis come una tempesta tropicale che avrebbe potuto portare solo forti piogge ad Acapulco. Ma in appena 12 ore, Otis ha raggiunto una velocità di 200 km orari sulle acque surriscaldate del Pacifico fino a diventare un grande uragano, in quello che alcuni meteorologi hanno chiamato l’esempio più estremo di “rapida intensificazione” mai visto, e che Eric Blake, meteorologo del National Hurricane Center, ha definito “uno scenario da incubo”.

“Qualcosa del genere era destinato a succedere”, ha spiegato il climatologo Michael Mann perché l'Oceano Pacifico vicino ad Acapulco era insolitamente caldo per questo periodo dell'anno, a causa della combinazione tra inquinamento da combustibili fossili ed effetti della corrente El Niño. E fenomeni di questo tipo potranno verificarsi altrove, “a Miami, a Tampa”, ha aggiunto Mann. 

Ironia della sorte, l’uragano si è abbattuto su Acapulco meno di una settimana dopo la pubblicazione di un importante rapporto della scienziata del clima, Andra Garner, che ha scoperto che i casi di rapida intensificazione degli uragani nel bacino atlantico sono raddoppiati nell’ultimo mezzo secolo. E la causa quasi certamente è il cambiamento climatico provocato dall’uomo. 

“La lezione più importante che si può trarre da quanto osservato finora sul clima terrestre è la sua dualità: la sua resilienza e fragilità”, spiega ancora Mann che aggiunge: “Gli esseri umani hanno sviluppato la tecnologia e il know-how per impedire alla temperatura della Terra un pericoloso ulteriore aumento, ma quel che ciò è la volontà politica, perché la storia climatica del nostro pianeta ci sta dicendo che se si prosegue con questa tendenza, andrà tutto fuori controllo”.

In tempi normali, una tragedia simile avrebbe fatto notizia e invece è passata inosservata. Contestualmente, mentre siamo nel bel mezzo di due conflitti, uno in Ucraina, l’altro tra Israele e Hamas, che aprono a scenari di difficile immaginazione e che potrebbero concretamente avere l’effetto di ritardare la transizione ecologica in nome della sicurezza energetica, arrivano segnali poco incoraggianti da parte dei governi e delle società energetiche che stanno disinvestendo nei loro programmi di energia pulita. 

Insomma, c’è un’aria di disimpegno. Il clima sembra sempre più scivolare fuori dalle priorità delle agende mediatica e politica, anzi diventa scena di battaglia politica, in alcuni casi connotata come una “guerra culturale”, e quindi spazio di disinformazione e propaganda facile da parte dei cosiddetti negazionisti climatici. Basta vedere cosa sta succedendo negli Stati Uniti, dove i programmi climatici di Biden sono messi a rischio e il nuovo speaker della Camera è apertamente su posizioni pro-fossili

Lo scenario è a tinte fosche e anche questa due giorni di colloqui non è andata benissimo. I paesi si sono divisi proprio sul futuro dei combustibili fossili, con alcuni paesi, tra cui Francia, Spagna, Irlanda, Kenya, che hanno chiesto di inserire nel quadro dei negoziati della prossima COP proprio l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. 

Ai colloqui pre-COP ci si sarebbe dovuti confrontare su cosa fare sulle emissioni, per mantenere la soglia di 1,5°C, sull’aumento dei finanziamenti per i paesi più vulnerabili e più poveri, sul fondo per le “perdite e danni” e sul “bilancio globale”, una valutazione dello stato di avanzamento dei paesi nel raggiungimento degli obiettivi dell'Accordo di Parigi del 2015. Intanto, il sultano Al Jaber ha lanciato una “carta per la transizione a emissioni zero nette” rivolta alle aziende, nel tentativo di incoraggiare un maggior numero di imprese ad allineare le proprie attività con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi.

Il 2023 è destinato a essere l’anno più caldo mai registrato

Secondo un’analisi del sito britannico Carbon Brief, che ha combinato diverse serie di dati sulle temperature, al 99% il 2023 sarà l’anno più caldo mai registrato. Dopo un inizio d'anno più fresco, negli ultimi quattro mesi sono state rilevate temperature globali davvero eccezionali, superando di gran lunga i precedenti record mensili. La temperatura media globale registrata a settembre, 16,44°C, è stata superiore alle medie dei mesi di luglio dal 2001 al 2010.

Secondo un’analisi pubblicata sul New York Times dal ricercatore climatico Zeke Hausfather, negli ultimi 15 anni il riscaldamento globale ha avuto un’accelerazione, anziché continuare a un ritmo graduale e costante. Ci sono tre dati che avvalorano questa accelerazione, spiega Hausfather: 1) Il tasso di riscaldamento della terraferma e degli oceani negli ultimi quindici anni è stato superiore del 40% a quello registrato a partire dagli anni ‘70, e gli ultimi nove anni sono stati i più caldi mai registrati; 2) Si è registrata un’accelerazione del contenuto totale di calore degli oceani della Terra, dove si accumula oltre il 90% dell'energia intrappolata dai gas serra nell'atmosfera; 3) È stato registrato un forte aumento della quantità del calore intrappolato sulla Terra rispetto alla quantità di calore che esce dall’atmosfera. Tutto questo, conclude Hausfather, ci porta a ritenere che il cambiamento climatica riguarda il presente, e non il futuro, come si pensava solo pochi anni fa, e nei prossimi anni le calotte glaciali e i ghiacciai si scioglieranno più rapidamente, gli eventi meteorologici estremi diventeranno più frequenti e un numero ancora maggiore di piante e animali sarà a rischio di estinzione.

Proprio in questi giorni, una nuova ricerca della British Antarctic Survey (BAS) ha rilevato che lo scioglimento della calotta dell’Antartide occidentale è “inevitabile”, continuerà indipendentemente da qualsiasi riduzione delle emissioni. Questo significa che dovremo prepararci a un innalzamento del livello del mare di diversi metri nei prossimi secoli, spiegano gli autori dello studio, che però hanno anche detto che siamo ancora in tempo per evitare cambiamenti ancora peggiori nel XXII secolo.

Alle stesse conclusioni di Hausfather è giunta una ricerca condotta da James Hansen, lo scienziato statunitense che per primo ha allertato il mondo sull’effetto serra e che con la sua testimonianza al Senato americano del 1988, in cui presentò le prove del riscaldamento globale, contribuì ad accendere la consapevolezza pubblica del problema. “Siamo nella fase iniziale di un’emergenza climatica”, avverte lo studio. “Questa accelerazione del riscaldamento globale – che porterebbe il pianeta a superare molto prima del previsto la soglia di 1,5°C concordata a livello internazionale e stabilita nell’accordo sul clima di Parigi – è pericolosa in un sistema climatico già lontano dall’equilibrio”. Invertire la tendenza è essenziale: dobbiamo raffreddare il pianeta per preservare le coste e salvare le città costiere del mondo, conclude lo studio. “Saremmo dannatamente sciocchi e dei cattivi scienziati se non ci aspettassimo un’accelerazione del riscaldamento globale”, ha detto Hansen. “Stiamo cominciando a subire gli effetti del nostro patto faustiano. Ecco perché il tasso di riscaldamento globale sta accelerando”.

Nel frattempo, un gruppo di ricercatori delle Nazioni Unite – gli stessi che nel 2019 avevano parlato per primi di “emergenza climatica” – ha avvertito che siamo prossimi a superare dei punti critici di rischio che potrebbero pregiudicare la nostra capacità di far fronte agli effetti del cambiamento climatico. I punti critici di rischio sono diversi dai punti di non ritorno climatici. I punti di non ritorno climatici sono cambiamenti su larga scala guidati dal riscaldamento globale causato dall’uomo, mentre i punti critici di rischio sono gli impatti sulla vita delle persone. Da un punto di vista sociale, economico, sanitario. 

“Il cambiamento climatico è una delle più grandi questioni di salute pubblica. Non vedo alcun aspetto in cui il cambiamento climatico non potrà avere effetti nocivi sulla salute pubblica. So che sembra un po' provocatorio, ma il cambiamento climatico potrebbe essere l'ultima opportunità per la salute pubblica, ma abbiamo bisogno di politici che agiscano”, ha affermato recentemente la direttrice del Dipartimento di salute pubblica, ambiente e determinanti sociali della salute dell'Organizzazione mondiale della sanità, Maria Neira.

Il quadro disegnato lascia senza fiato. Ma non è ancora irreversibile, spiega Hausfather. Nel World Energy Outlook di quest’anno, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), ha detto che la domanda di petrolio, gas e carbone raggiungerà il picco prima del 2030, grazie a una esplosione delle energie rinnovabili. “La transizione verso l’energia pulita sta avvenendo in tutto il mondo ed è inarrestabile”, ha detto il direttore della IEA, Fatih Birol in un’intervista ad AFP.

La IEA ha formulato questo scenario basandosi non sugli impegni climatici ma sulla base delle politiche dichiarate dai governi. Quindi, questo significa che la transizione energetica a livello globale è in atto. Ad esempio, in Cina la domanda di combustibili fossili raggiungerà il suo picco già il prossimo anno. Mentre, a livello globale, nel rapporto si parla del 2025. 

Alla fine di questo decennio la IEA prevede che le energie rinnovabili forniranno metà dell’elettricità mondiale. E questo grazie ai progressi significativi fatti a livello globale dai singoli paesi nell’espansione delle energie rinnovabili e nel sostegno al passaggio ai veicoli elettrici e alle pompe di calore (al posto delle caldaie a gas) per i consumatori. 

Il raggiungimento del picco non significa che il crollo del consumo di combustibili fossili sarà drastico e imminente. Senza un’azione climatica più forte ci sarà una diminuzione ondulata che durerà molti anni. Ad esempio, la domanda di petrolio nei settori petrolchimico, aeronautico e marittimo continuerà ad aumentare fino al 2050, ma sarà compensata dall’aumento dei veicoli elettrici su strada. 

La IEA, infine, prevede che le emissioni globali rimarranno ancora abbastanza elevate al punto che entro la fine del secolo le temperature medie globali aumenteranno di circa 2,4°C in questo secolo. Tuttavia, ed è questa la seconda considerazione, secondo l’agenzia, la guerra Israele-Hamas e la guerra in Ucraina stanno rendendo petrolio e gas scelte energetiche sempre meno sicure per i paesi e consumatori, e questo dovrebbe accelerare il passaggio a fonti pulite.

Nonostante le previsioni della IEA, le società energetiche come Chevron e Big Oil continuano a scommettere sull’aumento della domanda di combustibili fossili. ExxonMobil ha appena speso 60 miliardi di dollari per acquistare un importante produttore statunitense di shale oil, Pioneer, in un accordo che porterà a raddoppiare i combustibili fossili proprio mentre gli scienziati (e alcuni paesi) ne stanno chiedendo la graduale eliminazione.

Come la guerra tra Israele e Hamas potrebbe rallentare l'azione contro il riscaldamento globale

La guerra tra Israele e Hamas potrebbe avere effetti negativi sulle politiche climatiche. E potremmo già vedere le prime conseguenze alla prossima conferenza sul clima. Negli 20 mesi c’è stato un grosso lavoro di mediazione per preservare i negoziati climatici dalle ostilità e dalle fratture in seguito ai diversi posizionamenti rispetto all’invasione russa in Ucraina. Questo nuovo fronte di guerra, per di più in una regione ricca di fonti energetiche, amplifica i rischi di un ulteriore rallentamento nell’azione contro il riscaldamento globale. Molti paesi potrebbero essere spinti a garantire le proprie forniture di petrolio e gas piuttosto che ad abbandonarle.

Un articolo del New York Times individua almeno tre possibili effetti della guerra in corso: l’aumento del prezzo del petrolio, con ricadute poi direttamente sui cittadini di tutto il mondo; una maggiore conflittualità tra i paesi che potrebbe mettere in crisi la già fragile diplomazia climatica; lo spostamento sulla guerra di risorse precedentemente previste per il clima. 

La città a rifiuti zero: cosa può insegnare al mondo la città tedesca di Kiel

Nel nord della Germania, la città di Kiel sta esplorando nuove soluzioni per produrre meno rifiuti e riciclare ancora di più. Il consiglio comunale ha annunciato diversi progetti che vanno dal divieto di articoli monouso nelle istituzioni pubbliche all’installazione di più fontanelle pubbliche, passando per l’introduzione di una materia specifica a scuola sullo smaltimento dei rifiuti e sui possibili utilizzi generati dal riciclo dei rifiuti. E poi sta cercando di incentivare le persone a modificare abitudini consolidate, come usare le saponette solide invece di acquistare flaconi di plastica. Oppure garantendo un contributo fino a 200 euro per l’acquisto di pannolini lavabili invece di quelli usa e getta. Poi ci sono proposte più di sistema: la città sta sperimentando un sistema “paga quanto butti”. Funziona così: paghi solo l’immondizia indifferenziata in base alla quantità di spazzatura gettata nel contenitore dei rifiuti misti. In altre parole, più si differenzia meno si paga.

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Accanto a queste buone prassi, il Comune di Kiel sta sperimentando anche azioni di lotta allo spreco. I pasti avanzati di ristoranti ed esercizi commerciali vengono distribuiti a chi ne ha più bisogno, mentre è stata avviata una start-up che produce marmellate da frutta e verdura che stanno per essere buttate.

Ma la lotta allo spreco non si limita al cibo. Janine Falke, una parrucchiera che per due decenni ha visto i capelli dei suoi clienti cadere a terra e essere inviati agli inceneritori di rifiuti, ha avviato un’azienda per  trasformare i capelli di 30 saloni della città in prodotti utili, come ad esempio tappetini che possono assorbire l’olio ed essere utilizzati come filtri nell'industria o nelle fogne.

I dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera

Immagine in anteprima: Frame video NBC News via YouTube

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