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Finlandia e Svezia nella NATO: a che punto siamo e quali possibili conseguenze

5 Maggio 2022 17 min lettura

Finlandia e Svezia nella NATO: a che punto siamo e quali possibili conseguenze

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Finlandia, il presidente Sauli Niinistö e la primo ministro Sanna Mari preannunciano la richiesta di adesione alla NATO

Aggiornamento 13 maggio 2022: La domanda di adesione della Finlandia alla NATO è ormai quasi certa. Il 12 maggio il presidente Sauli Niinistö e la ministra capo Sanna Marin hanno reso noto, in una dichiarazione congiunta, che “l’appartenenza alla NATO rafforzerebbe la sicurezza della Finlandia. Come membro della NATO la Finlandia rafforzerebbe l’intera alleanza difensiva. La Finlandia deve fare domanda di ammissione alla NATO senza ritardo. Confidiamo che i passi nazionali mancanti per prendere questa decisione saranno compiuti rapidamente nei prossimi giorni”.

Dopo mesi di intenso confronto politico, il governo finlandese ha finalmente preso una decisione. Il ministero degli Esteri sta già preparando un rapporto da sottoporre al parlamento monocamerale di Helsinki, e sembra che diversi ministri degli Esteri abbiano già contattato il loro omologo per chiedere quando potranno ratificare la richiesta di adesione della Finlandia.

Nei prossimi giorni seguiranno un dibattito nel parlamento, e soprattutto la riunione del Comitato sulla politica estera e di sicurezza, composto da Niinistö, dalla ministra capo Marin e da altri ministri di rilievo. Il Comitato elaborerà una proposta basata sulla decisione del governo, che sarà valutata dal parlamento (l’esito sembra essere scontato). È probabile che molto presto anche la Svezia comunicherà in modo ufficiale la sua volontà di entrare nella NATO; difatti i due paesi nordici si stanno cercando di muovere in sincronia. Intanto Mosca ha già annunciato ritorsioni. E rimane un’incognita: non ci sarà nessun paese NATO a bloccare l’entrata della Finlandia (e della Svezia) nella più importante alleanza militare del mondo?

«È ragionevole che gli svedesi temano i russi. Contro di loro non hanno vinto una guerra in tre secoli». Il diplomatico al telefono sospira. Preferisce che la sua identità rimanga riservata, «i nordici sono permalosi quanto noi europei del sud», sottolinea. L’ultima guerra persa dalla Svezia contro Mosca risale al 1809, ai tempi di Napoleone. A causa della sconfitta, i suoi vasti territori orientali passavano alla Russia: nasceva il Granducato di Finlandia, che nel 1917, a seguito della Rivoluzione d’ottobre, dichiarava l’indipendenza e diventava Finlandia. 

E proprio Helsinki, negli anni della Seconda guerra mondiale, perdeva ben due guerre contro l’URSS di Stalin, e con esse gran parte della regione della Carelia (e non solo). Ma ne è passata di acqua sotto i ponti da quelle sconfitte traumatiche. «La Svezia e la Finlandia nella NATO sarebbero un ottimo acquisto per noi. Hanno eserciti efficienti, che godono di una solida reputazione» osserva il diplomatico.

Oggi Mosca, Washington e le cancellerie di tutta Europa osservano con attenzione le mosse di Helsinki e Stoccolma. Se entrassero nella NATO, le conseguenze sarebbero significative, sia dal punto di vista geostrategico che politico. La Finlandia, in particolare, condivide con la Russia un confine lungo oltre milletrecento chilometri: una linea che corre dalle acque poco saline del Golfo di Finlandia verso quelle fredde ma pescose del Mare di Barents, attraversando laghi e foreste boreali (anche se ha perso un accesso diretto al mare nel 1944, con la cessione all'URSS dell'area di Petsamo).

«Se Svezia e Finlandia si unissero alla NATO, farebbe parte della NATO l’intera area della Fennoscandia – nota Kimmo Elo, ricercatore senior in studi europei al Centro per gli studi parlamentari dell’Università di Turku, riferendosi cioè a Svezia, Finlandia, Norvegia e anche Danimarca –. Ciò cambierebbe completamente la situazione della politica della sicurezza dell’intera regione del Mar Baltico. Tutti gli stati rivieraschi, fuorché la Russia, sarebbero membri della NATO».

Dal canto suo Mosca sottolinea da anni come un’entrata di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica destabilizzerebbe la regione. Già in una conferenza stampa del luglio 2016 a Kultaranta con il presidente finlandese Sauli Niinistö, Putin faceva intendere, con il suo consueto stile passivo-aggressivo, che non avrebbe apprezzato la Finlandia nella NATO, e dichiarava che «la NATO sarebbe probabilmente felice di combattere la Russia sino all’ultimo uomo… finlandese», parlando a sproposito di «status di neutralità della Finlandia», quando in realtà il paese non è neutrale da molti anni, ma è – almeno a livello ufficiale – militarmente non-allineato, al pari della confinante Svezia.

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Sempre nel 2016 l’agenzia di stampa TASS riportava una dichiarazione di Sergej Lavrov, allora come oggi influente ministro degli Esteri russo: «Noi crediamo che le nostre relazioni odierne con la Finlandia si stiano sviluppando in un modo ottimale e speriamo che i nostri vicini finlandesi non cedano alla tentazione di unirsi ad azioni anti-russe». E lo scorso aprile l’ex presidente russo (e attualmente vice-presidente del Consiglio di Sicurezza federale) Dmitrij Medvedev ha dichiarato che Mosca rafforzerebbe le sue difese nel Baltico (incluso il dispiegamento di testate nucleari) se Helsinki e Stoccolma dovessero unirsi alla NATO.

In realtà la Russia da anni dispiega testate nucleari nell’area: nell’oblast di Kaliningrad, come ha ricordato, in risposta al monito di Medvedev, il ministro della difesa della Lituania Arvydas Anusauskas. L’oblast, incuneato tra Lituania e Polonia, è una semi-exclave strategica per la Russia: Baltiysk, per esempio, è il solo porto russo sul Baltico a non ghiacciare mai, ed è la principale base della Flotta del Baltico. A Kaliningrad Mosca ha installato sistemi missilistici balistici tattici Iskander (in grado di lanciare pure testate nucleari tattiche) e il presidio di forze di terra è stato accresciuto. Nel 2018 fecero il giro del mondo le foto satellitari che indicavano, secondo la Federazione degli Scienziati Americani (FAS), lavori di ammodernamento di un bunker di stoccaggio di armi nucleari proprio a Kaliningrad.

Il dibattito sulla NATO in Svezia e Finlandia

Ma non è stato solo il rafforzamento del dispositivo militare russo a Kaliningrad ad aver spinto Svezia e Finlandia sul sentiero di una possibile entrata nella NATO. Né la simulazione di un bombardamento nucleare della Svezia nel corso dei war games russi del 2013, o i frequenti sconfinamenti di aerei militari russi nei cieli svedesi e finlandesi, o il lassismo dei controlli russi alla frontiera con la Finlandia nel 2015, o le operazioni di influenza, le campagne di fake news e gli attacchi cibernetici attribuiti dai servizi segreti nordici a Mosca. 

No. Sono state soprattutto le aggressioni russe all’Ucraina (la prima nel 2014, la seconda lo scorso febbraio e tutt’ora in corso) a convincere Helsinki e Stoccolma che le vecchie politiche di non-allineamento vanno accantonate prima che sia troppo tardi. Lo dimostra il cambio di rotta della socialdemocratica finlandese Sanna Marin, pääministeri (ndr, ministro capo) dal dicembre 2019, che lo scorso gennaio definiva «molto improbabile» una domanda di adesione della Finlandia all’Alleanza atlantica nel corso del suo mandato. 

Secondo la socialdemocratica Madgalena Andersson, statsminister della Svezia dallo scorso novembre, «ogni cosa è cambiata» dopo l’aggressione russa all’Ucraina del 24 febbraio 2022. «L’entrata della Finlandia nella NATO è stata resa possibile dalle azioni del regime di Putin. Il sostegno all’ingresso nella NATO raggiunse il suo primo picco tra il 2014 e il 2015, ma l’impatto dell’attuale guerra è stato enorme», osserva Heikki Patomäki, professore di politica mondiale e di economia politica globale. 

«La situazione della sicurezza in Europa è cambiata drammaticamente il 24 febbraio, e per i paesi nordici (così come per altri paesi confinanti con la Russia) ciò ha causato la necessità di riconsiderare in modo serio le passate valutazioni e politiche – spiega Antton Rönnholm, segretario del Partito socialdemocratico di Finlandia (SDP) –. Vede, la Finlandia ha tenuto aperta la cosiddetta “opzione NATO” per decenni. Questo significa che ci siamo riservati la possibilità di fare domanda di adesione in caso di cambiamenti alla situazione della sicurezza. Ora che questo è successo la logica conclusione è considerare le varie opzioni».

Per il capogruppo della Lega verde all’Eduskunta (il parlamento monocamerale finlandese), Atte Harjanne, «la brutale invasione della Russia contro l’Ucraina ha mostrato che il Cremlino non rispetta l’ordine internazionale basato su regole o la sovranità degli altri Stati, e che non gli interessano nemmeno i diritti umani fondamentali. La fiducia [nei confronti del Cremlino] è svanita. La Finlandia è da anni uno stretto partner della NATO, e ora sempre più finlandesi capiscono che unirsi all’Alleanza aiuterebbe a migliorare la nostra sicurezza e contribuirebbe alla stabilità di lungo periodo nella regione».

Da Stoccolma un politico dei Socialdemocratici (al potere con un monocolore di minoranza) dice, dietro garanzia di anonimato: «Il governo svedese deve preoccuparsi del bene del popolo svedese. Di fronte a un regime pronto a devastare l’architettura della sicurezza dell’Europa, la Svezia non può fare altro che valutare tutte le opzioni sul tavolo». 

«Penso che sia necessario per la Svezia unirsi alla NATO – osserva Daniel Suhonen, direttore dello svedese Katalys, istituto per lo sviluppo di idee sindacali –. L’attacco russo all’Ucraina del 24 febbraio ha mutato gli equilibri di sicurezza e la Svezia, che ha ridotto in questi anni la sua capacità di difesa e non è nella NATO, deve ottenere velocemente delle garanzie per la sua sicurezza. Noi dobbiamo aggregarci alla Finlandia ed ecco perché ci stiamo muovendo velocemente verso una domanda di adesione». 

I sondaggi sembrano confermarlo: i finlandesi sono in maggioranza favorevoli a entrare nella NATO, e pure gli svedesi lo sono (in modo più tiepido), specie se contestualmente ai loro vicini. Ecco perché, secondo il quotidiano finlandese Iltalehti, Stoccolma avrebbe chiesto a Helsinki di comunicare la decisione di aderire all’Alleanza atlantica lo stesso giorno. 

L’allineamento dei due paesi ha trovato una sua plastica rappresentazione nell’incontro (assai fotografato) delle due leader socialdemocratiche lo scorso aprile a Stoccolma: Sanna Marin e Magdalena Andersson che camminano sorridenti l’una di fianco all’altra.

Marin Andersson Svezia Finlandia NATO
L'incontro tra la primo ministro Magdalena Andersson e la primo ministro finlandese Sanna Marin – Foto: Ninni Andersson/Regeringskansliet

In entrambi i paesi i socialdemocratici giocano un ruolo decisivo. Dalla Finlandia, dove al governo c’è una variegata coalizione di centrosinistra, il segretario dei socialdemocratici Antton Rönnholm dice: «Lo SDP ha avviato la sua discussione interna già alla fine di febbraio, ed essa arriverà a una conclusione a metà maggio, quando sarà presa una decisione». La precedente posizione, ricorda Rönnholm, era quella di «restare non-alleati, ma tenendo aperta la cosiddetta “opzione NATO”. Ora tale posizione è oggetto di discussione e potrebbe essere cambiata». 

Secondo varie fonti, l’atteggiamento pro-NATO dello SPD finlandese è collegato al desiderio del partito di accreditarsi presso l’elettorato come una forza politica responsabile e all’altezza delle sfide del XXI secolo, a scapito dei liberalconservatori del Kokoomus, lasciandosi alle spalle anni di preferenza per il non-allineamento. Contraria alla NATO la sinistra più radicale, divisi i cristiano-democratici, mentre gli altri partiti sono quasi tutti pro-NATO (compresi gran parte degli Strafininni). In Svezia i socialdemocratici sono impegnati in un approfondito, e per nulla facile, dibattito interno; la sinistra radicale del Vänsterpartiet chiede un referendum, mentre i liberalconservatori dei Moderaterna sono favorevoli alla NATO, così come lo è (in misura più ambigua) l’estrema destra degli Sverigedemokraterna. 

Nella storia dei paesi nordici scelte così radicali sono state spesso causate da eventi esogeni di vasta portata. Per esempio se la Norvegia decise di unirsi alla NATO, anziché percorrere la strada del blocco nordico neutrale fortemente voluta dalla Svezia, fu a causa del colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia nel 1948, che sconvolse i norvegesi: il pericolo sovietico era davvero dietro l’angolo! La decisione di Oslo riuscì a influenzare in modo decisivo il governo danese e quello islandese, che a loro volta decisero di aderire all’Alleanza atlantica. 

La NATO, un club dove non è facile entrare

Sia chiaro: l’entrata nella NATO non è automatica. Ogni decisione dei due governi nordici dovrà essere sottoposta al vaglio dei parlamenti. Non solo. La NATO persegue sì la “politica della porta aperta” (open door policy), e questo spiega perché essa includa paesi periferici come la Macedonia del nord; tuttavia l’accesso è su invito, come in certi club anglosassoni, anche se vengono invitati solo gli Stati effettivamente interessati a far parte della NATO. Per essere ammessi bisogna far geograficamente parte dell’Europa, e rispettare certi requisiti politico-economici, legali e militari; sono previste due approfondite sessioni di colloqui; lo Stato invitato deve inviare delle lettere di intenti ecc. 

I trenta Stati membri decidono all’unanimità: la già citata Macedonia del nord è stata invitata a unirsi all’Alleanza nel 2018, ma solo quando è arrivato anche l’avallo spagnolo il paese balcanico è potuto entrare nella NATO, nel 2020. Anche se gli Stati membri più importanti hanno fatto capire di essere pronti a dare il via libera ai due paesi nordici, il processo potrebbe essere ostacolato dall’Ungheria filo-russa di Orbán, o forse dalla Croazia (a causa di questioni interne collegate a una spinosa riforma elettorale in Bosnia ed Erzegovina che dovrebbe dare più peso al gruppo etnico croato). 

Negli ultimi anni la cooperazione tra i due paesi e la NATO è diventata sempre più intensa, e a Bruxelles molti considerano l’adesione di Finlandia e Svezia all’Alleanza come il naturale sbocco di un processo, acceleratosi nel 2014 (l’anno dell’invasione russa della Crimea), grazie al quale i due paesi sono diventati Enhanced Opportunities Partner (EOP). Negli ultimi anni si è andata rafforzando anche la cooperazione dei due paesi nordici con gli USA (nonché con il Regno Unito, grazie al varo della Joint Expeditionary Force), come pure la cooperazione regionale. Ed è alto il livello di interoperabilità con i paesi NATO (in pratica la capacità dei militari svedesi e finlandesi di condurre operazioni con i loro omologhi statunitensi, polacchi o britannici). 

La Finlandia, per esempio, «si è fortemente identificata con una democrazia parlamentare di tipo occidentale sin dalla sua indipendenza (e persino quando era parte dell’Impero russo nel XIX secolo), e ora vede l’entrata nella NATO come una conferma di questo status» rileva Pasi Ihalainen, professore di storia europea comparata all’Università di Jyväskylä.

Se Svezia e Finlandia entrassero nella NATO, la rafforzerebbero non solo nella volatile area del Baltico ma pure nell’Artico (entrambi i paesi fanno parte del Consiglio artico, ed Helsinki in particolare è assai attiva nella regione). I due eserciti nordici incutono rispetto, specie quello della Finlandia, che vanta tra le migliori forze armate d’Europa. Non è una coincidenza. 

A differenza della Svezia, che non confina con la Russia ed è protetta dalla Norvegia a ovest e dalla Finlandia a est, Helsinki ha a che fare con Mosca, nel bene o nel male, da un secolo. I suoi politici tendono a nutrire poche illusioni sul vicino, a partire dal presidente Niinistö, che parla un po’ il russo e ha una lunga familiarità con Putin. Da anni in Finlandia circolano anche barzellette sul rischio di essere invasi (Putin atterra all’aeroporto di Helsinki per incontrare Niinistö. Al controllo-passaporti il funzionario gli chiede: «Nome?» «Vladimir Vladimirovič Putin». «Nazione?» «Russia». «Occupazione?» «No, per ora solo una visita»). 

I ricordi drammatici della Guerra d’inverno del 1939, quando l’URSS attaccò il paese, fanno ancora parte dall’immaginario collettivo, così come le inquietudini collegate alla “neutralità” imposta a Helsinki durante la Guerra fredda, dato che per la superpotenza sovietica non era accettabile che la Finlandia fosse libera di determinare la sua politica estera e di sicurezza.

Guerra di Inverno Finlandia Russia 1939
Military Museum of Finland, Public domain, via Wikimedia Commons

«La consapevolezza dell’imperialismo russo e delle differenze tra la cultura russa e quella finlandese sono una caratteristica centrale della finlandesità – rileva Ihalainen –. Non c’è nulla di nuovo in questo. Oggi possiamo leggere commenti sulla Russia come non apparivano dal 1944».

È stata ripresa dai media internazionali la dichiarazione di Alexander Stubb, ex ministro capo della Finlandia: «Se Putin è capace di macellare i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi cugini slavi in Ucraina, non c’è nulla che gli impedisca di farlo anche in Finlandia». Il pathos nelle parole dello studioso è comprensibile: a differenza dell’Italia, che non vede truppe russe nel suo territorio dai tempi di Napoleone (ed è lontana dalla frontiera con la Russia), la Finlandia ha ancora anziani concittadini che ricordano gli anni di guerra con i sovietici; e il fatto che le forze di Mosca in Ucraina siano accusate di gravissimi crimini (il massacro di Bucha su tutti) non fa che rendere la prossimità con la Russia ancora più inquietante. Come se non bastasse, da febbraio le dichiarazioni del Cremlino si sono fatte ogni giorno più aggressive, con allusioni al poderoso arsenale nucleare russo e a nuove, fantomatiche super-armi.

La Finlandia è disseminata di rifugi hi-tech, usati come parcheggi o depositi ma rapidamente riattivabili, in grado di proteggere i cittadini da attacchi chimici, batteriologici e nucleari. Nella sola Helsinki ce ne sono oltre cinquemila, in modo da poter offrire un posto-letto a ogni residente. La leva non è stata mai abolita (ogni anno vengono addestrati ventimila finlandesi circa) e in tempo di guerra le forze armate sfiorano le trecentomila unità. Duecento carri armati Leopard 2A6 e 2A4, altrettanti veicoli corazzati da combattimento per la fanteria, e ottocento pezzi di artiglieria costituiscono l’ossatura dell’esercito. Helsinki, che dal 2019 a oggi ha aumentato il budget destinato alla difesa, punta sempre di più anche sull’aeronautica: è di dicembre, per esempio, la notizia che il governo finlandese ha deciso l’acquisto di 64 F-35 dal colosso americano Lockheed Martin per sostituire i vecchi Hornet.

«La Finlandia è in grado di mobilitare un numero di soldati piuttosto cospicuo per gli standard dell’Europa di oggi – conferma Jacob Westberg, professore associato in studi di guerra alla Försvarshögskolan, l’Università svedese della Difesa a Stoccolma – La Svezia può contare su qualcosa come oltre cento caccia molto moderni, e abbiamo anche cinque sottomarini che potrebbero essere un buon contributo alle risorse NATO nell’area del Baltico. La comandante della Marina militare svedese ha dichiarato in un’intervista a marzo che per quanto concerne le capacità militari, le forze armate svedesi potrebbero entrare nella NATO in un giorno. Sono pienamente in grado di usare gli standard dell’Alleanza atlantica».

Le implicazioni dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO

Se è vero che i due paesi potrebbero dare un prezioso contributo alla NATO, è anche vero che sotto l’ombrello atlantico gli abitanti di isole strategiche come Gotland, la chiave del Baltico, tirerebbero un bel sospiro di sollievo. «L’isola è particolarmente importante perché qualsiasi Stato che si installi lì può rendere molto difficili le operazioni degli altri nell’area – spiega Westberg –. Ecco perché la Russia nutre grande interesse per l’isola. Se Mosca volesse fare un’azione contro i paesi baltici, che so, sabato, dovrebbe controllare Gotland giovedì, con il risultato che nel caso di un conflitto tra la Russia e i paesi baltici la Svezia potrebbe essere attaccata nelle fasi iniziali».  

Un altro punto caldo sono le isole Åland, demilitarizzate dopo la Grande Guerra; costituiscono una regione autonoma della Finlandia e sono strategiche per entrambi i paesi nordici, data la loro prossimità a Turku e soprattutto a Stoccolma. Nota Westberg: «Nel primo decennio di questo secolo noi svedesi credevamo che l’intera era della guerra tra Stati fosse tramontata. Davamo la massima priorità, invece, alla gestione delle crisi internazionali. Certo, i finlandesi sono ancora più allarmati, ma anche noi siamo preoccupati, perché la sensazione generale è che sia molto difficile predire cosa farà Putin».

Entrare nella NATO avrebbe un profondo impatto sulla politica estera e di sicurezza, e persino sull’identità dei due paesi nordici. La Svezia, negli anni della Guerra Fredda, era sì nel campo occidentale, ma al contempo sapeva agire da battitore libero (per esempio negli anni Ottanta, con Olof Palme); anche oggi Stoccolma si fregia di condurre una politica estera femminista, focalizzata sui diritti umani. Come sottolinea Ulf Bjereld, professore al dipartimento di scienza politica dell’Università di Göteborg, «essere parte della NATO diminuirebbe la libertà d’azione della Svezia. Che, ancora più di oggi, dovrebbe tenere in considerazione gli altri membri dell’Alleanza atlantica prima di prendere posizione su importanti temi della politica di sicurezza». 

La situazione finlandese è persino più complessa, a causa del suo passato. Ricorda Christer Henrik Pursiainen, professore di sicurezza e protezione della società all’Università di Tromsø, «nel romanzo epico del secondo dopoguerra 'Il milite ignoto' di Väinö Linna, c’è questo soldato finlandese in una tenda da campo vicino alla frontiera, che proclama tutto baldanzoso: “Un soldato finlandese vale dieci soldati russi”. Dall’altra parte della tenda un commilitone con un po’ più di realismo replica: “Può essere, ma che succede quando arriva l’undicesimo russo?”. Ecco, questo era il sentire comune, realistico e da piccolo paese, della maggioranza dei finlandesi e dell’élite politica dopo la guerra. Costretta a firmare un patto con l’URSS per sopravvivere come Stato indipendente, la Finlandia durante la Guerra fredda gradualmente stabilì una sorta di status neutrale in modo da non essere soggiogata del tutto». 

La linea politica del dopoguerra fu un successo, e la Finlandia «mantenne il suo sistema socio-economico e democratico, con alcune idiosincrasie. Dopo il collasso dell’URSS e la fine della Guerra Fredda, la Finlandia usò quella finestra di opportunità per liberarsi della relazione speciale con la nuova Russia, e si unì alla Unione Europea nel 1995. Entrare nella NATO divenne un tema di dibattito quando i tre paesi baltici annunciarono il loro desiderio di entrare nell’Alleanza, ma la Finlandia si identificava più con la Svezia non-allineata che con delle ex repubbliche sovietiche. L’idea di non provocare la Russia in nessuna circostanza permaneva, in qualche modo, nell’élite politica. Si perse così l’opportunità di unirsi alla NATO alla fine degli anni Novanta, ma nelle dichiarazioni ufficiali rimase comunque il concetto della cosiddetta “opzione NATO”». 

Per Tapio Raunio, professore di scienza politica all’Università di Tampere, l’adesione dei due paesi all’Alleanza atlantica «renderebbe la situazione più semplice, perché tutti i paesi nordici sarebbero nella NATO. Al contempo la distintività della regione nordica si stempererebbe, benché le caratteristiche normalmente associate ai paesi nordici, come l’egualitarismo e il welfare, rimarrebbero intatte». 

Dal canto suo Patomäki rileva come «durante la Guerra Fredda, i paesi nordici venivano visti generalmente come un modello di società antimilitaristica e illuminata che seguiva i principi di giustizia distributiva, ritenuta moralmente superiore a Stati Uniti e URSS, i due modelli alternativi di modernizzazione». Oggi non solo «l’orientamento progressista è svanito, ma il pluralismo tipico dei paesi nordici è stato eroso. Abbiamo invece una forma di liberalismo da Guerra Fredda, combinato con politiche neoliberiste e un orientamento nazional-populista generale». 

Patomäki non è affatto entusiasta alla prospettiva della Finlandia nella NATO, che rischia di contribuire all’escalation con Mosca. «Penso che abbiamo l’imperativo della de-escalation. I ricordi della Guerra d’inverno [del 1939-1940] e i sentimenti a essa associati sono comprensibili, ma anche troppo semplicistici. Io spererei che i nostri politici avessero un orizzonte più ampio».

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Per Kimmo Elo, in caso di adesione della Finlandia alla NATO «l’impatto maggiore sarebbe sulla nostra identità di paese prima neutrale e poi non allineato». In ogni caso è già crollato, a suo parere, un altro mito: quello dei finlandesi in grado di capire i russi meglio di chiunque altro. «La nostra prossimità geografica e la nostra lunga storia di vicinato avevano generato la pubblica convinzione che la Finlandia possedesse un qualche tipo di straordinaria conoscenza della Russia. I decenni passati hanno dimostrato che quest’assunto era sbagliato. Superare questa illusione non si è rivelato un compito facile, e potrebbe servire ancora molto tempo prima che questo processo mentale arrivi a compimento». 

Alla fine sembra solo questione di giorni. Verso la metà di maggio, da Helsinki così come da Stoccolma dovrebbe arrivare una decisione ufficiale. La Finlandia quasi certamente sceglierà di bussare alle porte della NATO, ed è probabile che anche la Svezia faccia lo stesso (magari negoziando delle esenzioni). La storia dei due paesi nordici sembra essere giunta, comunque, a un punto di svolta.

Immagine in anteprima: l'incontro dello scorso 13 aprile tra la Ministra di Stato svedese, Magdalena Andersson, e la Ministra Capo finlandese, Sanna Marin – Foto: Ninni Andersson/Regeringskansliet  

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