Alfonso Signorini, l’autobiografia del berlusconismo (e del Paese)
15 min lettura"Voglio che voi vediate la persona, e non il personaggio"
Se Alfonso Signorini fosse un brand (e per certi versi lo è) questa frase sarebbe il suo payoff, il suo "Just do it".
Dopo circa 150 minuti di televisione e a pochi passi dai titoli di coda, il direttore di Chi sintetizza il senso del suo decennale lavoro all'interno dei media della galassia berlusconiana in una sola frase.
Non importa dove, come, quando, non importa se in tv, sui settimanali di gossip o su quelli nazionalpopolari (Tv Sorrisi e Canzoni, di cui è stato direttore dal 2009 al 2012), in fondo non importa nemmeno se Chi, come Sorrisi, abbia perso centinaia di migliaia di copie negli ultimi anni (crisi e cronaca rosa, rabbia e frivolezza non stanno troppo bene insieme): la sua cifra stilistica è questa, e non cambierà. Si chiama infotainment, è l'ibridazione tra il linguaggio giornalistico e quello dell'intrattenimento. E in quella ibridazione si mescolano anche i ruoli, in modo pressoché scientifico.
La soubrette parla di politica, il politico cucina, l'attore canta, il cantante recita. Tutti fanno tutto, tutti danno la sensazione (ovviamente falsa) che tutti possano fare tutto. L'infotainment non è un'invenzione italiana, ma in Italia è diverso, ed è più importante comprenderne e studiarne i meccanismi di funzionamento. Perché in Italia l'editore delle tv commerciali fa politica, e dunque le tv commerciali possono aiutarlo a far passare meglio alcuni messaggi senza utilizzare il linguaggio della politica, entrando in salotti e in famiglie di solito sorde ai richiami dei talk show di approfondimento (comunque abilmente presidiati).
È questo il substrato culturale in cui storie come quella di Nicole Minetti, una tra le più brillanti (la ragazza è tutto fuorché stupida) distorsioni nell'irrisolto rapporto tra media e potere, possono nascere e fiorire. Minetti ha ballato, poi ha fatto politica, con risultati disastrosi. E con tutta probabilità tornerà a ballare, in modo assolutamente naturale (se non finisce in carcere prima, naturalmente).
Silvio Berlusconi deve molto a personaggi come Alfonso Signorini, secondo solo a Maria De Filippi nella capacità di costruire immaginari simbolici, ma probabilmente ancora più decisivo per la sua capacità di mediazione e mescolamento tra generi e linguaggi dei media (i due, tra l'altro, hanno un fortissimo rapporto amicale e professionale).
È questo mescolamento tra codici di comunicazione a caratterizzare Studio5, il nuovo format estivo di Canale5, condotto proprio da Signorini, che accompagnerà i mercoledì sera estivi degli italiani che resteranno a casa nelle prossime sei settimane.
Mercoledì sera è andata in onda la prima puntata: 2.4 milioni di spettatori, 12.3% di share. Niente di eclatante (ma i programmi di Signorini non hanno mai avuto l'obiettivo primario di ottenere grandi ascolti, e comunque nessun programma ieri è andato oltre il 15%), il doppio di un altro programma che esordiva mercoledì, Virus, di Nicola Porro, vicedirettore de "Il Giornale", che ha ottenuto il 6.4% di share.
Ancora una volta, come è già accaduto per Kalispera (e forse ancora di più), il programma rappresenta una straordinaria occasione per analizzare la nascita e la crescita dell'egemonia culturale berlusconiana, e dunque la storia degli ultimi venti anni del nostro Paese.
A differenza di Kalispera, però, il programma è stato registrato. Non ha dunque l'ambizione di impattare direttamente sul dibattito pubblico-televisivo, ma è un format altrettanto raffinato nella sua costruzione ed è altrettanto rilevante dal punto di vista antropologico e culturale.
Il format
Il programma nasce con lo scopo di raccontare la storia dei trent'anni di vita di Canale5, la tv ammiraglia di Mediaset. Attraverso interviste, filmati d'archivio, racconti, confidenze, i grandi protagonisti italiani della televisione, della cultura e dello spettacolo accompagnano il racconto di Signorini, padrone di casa e traghettatore nel percorso di navigazione degli spettatori tra televisione e giornali (della famiglia Berlusconi), successi e fallimenti, vita pubblica e vita privata.
Signorini ospita un "grande" di Mediaset, con cui dialoga allo scopo di aprire un'infinità di parentesi e di racconti paralleli, tutti funzionali a preservare la tenuta complessiva e la coerenza interna del programma. L'ospite d'onore resta in studio per il tempo necessario a presentare tutte le storie funzionali all'obiettivo del mescolamento simbolico che è alla base del format. Il protagonista della puntata di ieri era Gerry Scotti, fedelissimo di Mediaset, considerato l'erede di Mike Bongiorno (dallo stesso Mike Bongiorno), a sua volta icona del successo di Silvio Berlusconi come imprenditore, e dunque come politico (almeno secondo la "storia italiana" berlusconiana).
Il format si basa dunque su materiali d'archivio, rielaborati, contestualizzati, montati e presentati secondo un preciso schema narrativo. A differenza dei tipici programmi estivi di presentazione dei materiali delle Teche della RAI, emozionanti quanto passive presentazioni di contenuti storici del servizio pubblico, qui tutto sembra essere "nuovo", o comunque dotato di nuovi significati e di nuova attualità. Ma è pur sempre un programma che elabora materiali di archivio: costi bassissimi, resa (anche commerciale) altissima rispetto ai costi.
Le parentesi della prima puntata, successive o parallele all'intervista a Gerry Scotti, sono state:
- un'ora di intervista a Fiorello, raggiunto da Signorini durante la registrazione di una delle sue puntate di Edicola Fiore;
- l'apparizione di Valeria Marini in abito da sposa;
- un ricordo di Mike Bongiorno;
- breve intervista a Max Pezzali, che poi canta il suo ultimo singolo, "l'Universo tranne noi";
- intervista a Marco Bocci, protagonista di "Squadra Antimafia", che in chiusura di programma canta "Gianna" di Rino Gaetano (per chi, come me, non conosceva Marco Bocci prima della settimana scorsa, trova qui un link utile).
Lo sviluppo del programma
Signorini tratta tutti gli ospiti allo stesso modo: introduzione in termini entusiastici, breve illustrazione della propria avventura professionale, immagini di archivio (tutte, rigorosamente, di Mediaset) dei successi televisivi del personaggio, scorci di vita personale, con riprese o foto dei protagonisti da bambini, nei luoghi in cui sono cresciuti o hanno studiato, con interviste agli amici e ai conoscenti, abitudini, vizi e virtù.
Questo mega-impasto di storie, tutte funzionali al consolidamento della logica argomentativa tipica dell'infotainment all'italiana (la trasformazione del personaggio in persona -> l'umanizzazione del personaggio -> l'avvicinamento emotivo con il pubblico -> la trasformazione del personaggio in simbolo portatore di valori -> il personaggio televisivo come modello di vita -> la televisione come agente di socializzazione -> l'egemonia culturale) sono tenute insieme proprio dalla figura di Alfonso Signorini, che di volta in volta, e sulla base del rapporto con il personaggio di cui deve parlare (sempre impostato in termini "personali", emotivamente connotati), modifica la sua prospettiva narrativa garantendo però la coerenza complessiva dell'impianto comunicativo.
Il conduttore è giornalista alla Oprah Winfrey con Gerry Scotti, giornalista di carta stampata con Fiorello, testimone di nozze (come effettivamente è stato) con Valeria Marini, editorialista durante il ricordo di Mike Bongiorno, "collega" di Max Pezzali (entrambi hanno mosso i primi passi nella "grande famiglia" delle aziende del gruppo Berlusconi), giornalista gossipparo con Marco Bocci. In tutti i questi casi, almeno una volta, Signorini entra in scena, in prima persona, da protagonista, mostrando copertine di Tv Sorrisi e Canzoni, o precedenti apparizioni televisive in compagnia del personaggio intervistato, o immagini dietro le quinte, o ricordando in modo esplicito il suo ruolo ufficiale: direttore di un settimanale di costume.
Questo auto-accreditamento, questo ammiccamento sistematico, rende Signorini molto più di un conduttore di un programma televisivo, bensì una sorta di confidente per il pubblico, una persona che può dire e dare qualcosa che il lettore, lo spettatore, l'ascoltatore non può trovare altrove. Signorini vuole essere considerato qualcuno di cui fidarsi, qualcuno a cui affidarsi. Ed è solo lui che, nell'universo multicolore dei media berlusconiani, può svolgere questo ruolo di interprete/traghettatore della storia d'Italia vista dal punto di vista della tivù commerciale. Perché li conosce meglio di chiunque altro, avendo ricoperto ruoli di responsabilità apicale sia in tv che nella carta stampata.
I protagonisti e i simboli
Ogni personaggio non esce di scena prima di aver lanciato e lasciato un chiaro messaggio, più o meno volontariamente, ma comunque in modo funzionale alla riuscita del format (e dei suoi obiettivi). Il messaggio può riguardare se stesso, la sua vita professionale. O (meglio) Mediaset, la "grande famiglia", i suoi valori aziendali, e in definitiva l'Italia.
Gerry Scotti, attraverso immagini di repertorio dei suoi programmi (Chi vuol essere miliardario, Italia's got Talent su tutti) e della sua infanzia (le strade di periferia, gli amici di una vita), si racconta. E Signorini aggiunge sempre un elemento di contesto che non emerge immediatamente dai video, e che aumenta il tasso di tensione emotiva dei racconti. Scotti piange almeno tre volte durante l'intervista, anche grazie al conduttore che insiste nel sottolineare il suo ruolo di padre, di pioniere della televisione (il primo che ha premiato un concorrente con un miliardo di lire durante un quiz televisivo), di giovane che si è fatto da solo, figlio di operai andato a studiare al Liceo Classico a Miradolo di Pavia, il più povero della classe che però aveva la mamma più brava a cucinare. La sua presenza serve a dire chiaramente: Gerry Scotti è uno di casa, piange come te, Mediaset è come te.
E proprio perché Gerry Scotti è Mediaset, e Mediaset è Gerry Scotti, Signorini ha lo spazio per annunciare una "sorpresa" degna di questa nobiltà televisiva: il saluto (in esclusiva!) di Fiorello a Scotti. Ma lo sviluppo narrativo del personaggio-Fiorello sarà molto più complesso di come è annunciato inizialmente.
Il lavoro su Fiorello (più che con Fiorello) è la vera perla della puntata. Pur non essendo un volto di Mediaset dal 1999, lo showman, una delle figure più trasversali (e amate) della televisione e dello spettacolo italiano, è presentato solo ed esclusivamente attraverso i suoi contenuti di archivio delle tv del Biscione. Karaoke, Festivalbar, il "Festival italiano", una specie di Festival di Sanremo di Canale5 fallito dopo una sola stagione, le piazze piene. Ovviamente con la testa orientata all'indietro, agli esordi nei villaggi turistici, alla consueta retorica della star televisiva con radici umili (una sorta di versione italiana del sogno americano), ma mai con lo sguardo in avanti, e cioè a questi ultimi 14 anni, quelli della definitiva consacrazione. Senza Mediaset.
Tra un video e l'altro, Fiorello intrattiene Signorini e il pubblico dell'Edicola Fiore con una serie interminabile di aneddoti spassosi sui programmi, sulle manie, sui successi e sulle crisi personali che hanno accompagnato la prima parte della sua vita professionale. Ed è proprio qui che il conduttore trova il modo e lo spazio per aprire un'altra parentesi del programma: lo speciale su Mike Bongiorno. Nel frattempo anche Fiorello ha già ampiamente esaurito il suo compito simbolico: dimostrare che (anche) il più grande showman italiano contemporaneo è nato professionalmente a Mediaset.
Prima del ricordo di Mike, si torna in studio con Gerry Scotti, che ha un ultimo compito prima di andar via: aprire la strada a Valeria Marini, vestita in abito da sposa. Tre minuti per ricordare "La Grande Sfida", il programma (Mediaset, naturalmente) condotto dalla coppia Scotti-Marini, prima di poter passare il testimone. La soubrette sarda si fa intervistare sul suo matrimonio (in onda e in diretta in esclusiva RAI, con annesse e giustificatissime polemiche sul ruolo del servizio pubblico), dal suo testimone di nozze, che coglie l'occasione per mostrare immagini (in esclusiva!) del matrimonio, dell'uscita degli sposi dalla Chiesa, della festa con Gigi D'Alessio e Craig David. In barba alla RAI, alla sua esclusiva, e soprattutto alle polemiche. Tra uno spezzone e l'altro del matrimonio, spuntano i soliti filmati d'archivio, tra Scherzi a Parte e il Bagaglino.
Valeria Marini, in realtà, non esce benissimo da questa ricostruzione: se a parole continua a dire che il suo esordio è stato "a teatro", il consueto video d'archivio mostra una giovanissima ragazza bionda dimenarsi e strusciarsi su un automobile durante una televendita del 1988, poi sfilare durante un concorso di bellezza. Signorini osserva tutto con un mix di ironia e perfidia, che rispolvera un'altra volta quando, davanti all'ennesima copertina di Tv Sorrisi e Canzoni (utilizzata, come i Telegatti, come prova della pubblica e definitiva consacrazione) fa apprezzamenti espliciti sul "culo grosso" di Marini e sulla sua scarsa leggiadria come ballerina.
In questo caso il ruolo di Valeria Marini è puramente strumentale. Serve ad aprire le porte su due classici del repertorio Mediaset, i programmi del Bagaglino (un altro pezzo d'Italia assai sottovalutato dal punto di vista antropologico) e Scherzi a Parte. Entrambi i programmi sono funzionali a far passare uno dei frame portanti del programma (e del berlusconismo): da qui, da questi studi, ci sono passati tutti.
Mike Bongiorno, evocato ripetutamente durante gli aneddoti di Fiorello, dà il la all'editoriale di Signorini, che cambia plasticamente luogo (dalla seduta sul divano o sullo sgabello all'informale e provvisoria scala-corridoio tra il pubblico) quando intende parlare con il "cuore", il suo o quello dell'intervistato. E Signorini tocca il punto più "alto" della sua prospettiva giornalistica (l'editorialista, appunto) proprio nel punto più "basso" e intimo dal punto di vista scenico. E lo fa per utilizzare una parola chiara a Mike, "allegria", e per dire agli italiani che bisogna recuperare questo sentimento così tanto messo alle corde dalla crisi e dalla insoddisfazione. Potrebbe essere una tirata retorica e banale, potrebbe essere un'uscita superficiale, ma la solennità del ricordo di Bongiorno a corredo dell'editoriale rende l'editoriale stesso, e dunque Signorini, capace di toccare corde emotive profonde.
Subito dopo torna Fiorello, per una sola scena, funzionale ad aprire un'altra parentesi: presentare Max Pezzali, che con lo stesso Fiorello aveva cantato "Come mai" al Festival Italiano, condotto (ovviamente) da Mike Bongiorno su Canale5. Pezzali, fresco dell'uscita del suo album celebrativo di 20 anni di carriera, parte proprio dall'amicizia con Fiorello per ricordare al pubblico che l'etichetta discografica che ha lanciato lui e gli 883 si chiamava RTI Music, che gli studi delle prime registrazioni sono gli stessi dove è stato registrato Studio5, dove tutti lavoravano insieme (torna, per l'ennesima volta, "la grande famiglia") e andavano a cena insieme dopo il lavoro, in trattorie di periferia ma in un clima di grande allegria. Pezzali, come Fiorello, è funzionale a dimostrare come Berlusconi e le sue aziende abbiano dato spazio a tanti talenti che poi hanno "fatto" la storia culturale di questo Paese.
In conclusione, spazio per l'unico personaggio davvero nuovo e "davvero contemporaneo" della puntata, Marco Bocci, protagonista di una serie televisiva di grande successo di Mediaset, "Squadra Antimafia", e salito agli onori della cronaca in qualità di fidanzato (fumantino) di Emma Marrone, già fidanzata di Stefano Di Martino (protagonista di Amici, Mediaset), ora fidanzato di Belen Rodriguez (protagonista di molti programmi di Mediaset), già fidanzato di Fabrizio Corona (gossip, dunque Signorini). Il conduttore fa una serie di domande di rito sulla giovinezza di Bocci, sulle sue bocciature scolastiche, sulla possibilità per tutti di riscattarsi (ancora una volta), lo fa recitare con un leggio, lo fa cantare. Ma il cuore della conversazione è nella frase "Voglio che voi vediate la persona, e non il personaggio", esaltazione dell'umanizzazione delle star (e dell'infotainment) che arriva solo pochi minuti prima di una sorta di monologo con cui Signorini compie un altro piccolo capolavoro. Parla della storia con Emma Marrone nonostante un Bocci visibilmente infastidito, dando dunque nutrimento agli appassionati di gossip. Ma non basta. Esalta Bocci perché non parla della sua vita privata (un evidente controsenso rispetto alla sua professione): "ti ammiro perché non sei commerciale", due o tre secondi di silenzio e chiusa: "tanto ci penso io a fare comunque le copertine". Prova di forza, chiusura muscolare: qui "comando io", comanda Signorini, comanda il gossip.
I frame di comunicazione
Considero il lavoro di Signorini, come quello di Maria De Filippi (anzi, di "Maria", il cognome non è stato usato neanche una volta durante il programma - a proposito, provate a digitare 'Maria' su Google), un termometro utile per misurare due tendenze fondamentali per chi vuole provare a comprendere l'Italia:
a. cosa può interessare a un segmento non trascurabile dell'opinione pubblica di questo Paese, all'evolversi del contesto sociale e culturale;
b. qual è il substrato culturale che determina la condotta politica di Berlusconi, le sue scelte di comunicazione e di posizionamento, e le possibili reazioni a ciò che accade nella vita politica "ufficiale" del nostro Paese.
Per questo motivo è fondamentale considerare Studio5 come un ennesimo bignami di sociologia, ed è opportuno analizzare nel dettaglio quali sono i messaggi che possono passare attraverso un format con queste caratteristiche. Messaggi tutti coerenti con la storia personale e politica di Berlusconi e con il costante mescolamento tra stili e codici tipico della comunicazione berlusconiana (e della carriera di Signorini).
1. La televisione siamo noi (la RAI non esiste)
Studio5 è un programma caratterizzato da un tasso di autoreferenzialità altissimo, a tratti escludente. Ci sono parti del programma, citazioni, riferimenti, che possono non essere colti da uno spettatore Mediaset distratto o infedele. Ma è un'autoreferenzialità "funzionale", cioè necessaria a lanciare un messaggio ben più importante. Il mondo descritto è un mondo autosufficiente, animato nel tempo da tutti i principali protagonisti della vita pubblica italiana. Mediaset, nelle intenzioni degli autori, rappresenta tutta la complessità del prodotto televisivo italiano. Da sola.
La RAI (non è certamente un caso) non è mai citata direttamente ma solo attraverso il nome di un suo format, "Domenica In", evocato durante l'intervista a Valeria Marini, e in modo assolutamente strumentale: se la RAI ti fa pagare il canone per farti vedere un matrimonio di un personaggio del mondo dello spettacolo (fonte di incazzatura per gli italiani), noi ti facciamo vedere Valeria Marini in abito da sposa, e con più contenuti video, gratis, e senza fare polemica.
Allo stesso tempo anche la parola Mediaset appare pochissime volte. Signorini preferisce adottare un altro vocabolario per descrivere l'azienda: "qui", "qua", "da noi", "in questi studi". E in un attimo si passa dall'autoreferenzialità potenzialmente escludente all'autoreferenzialità inclusiva, che coinvolge il pubblico, che chiede agli spettatori di far parte della "grande famiglia".
Questo lavoro finalizzato a teorizzare l'autosufficienza televisiva di Mediaset è impreziosioa da tre dettagli:
a. i jingle di passaggio tra un video e l'altro sono i brani delle sigle dei programmi televisivi della storia di Mediaset;
b. l'utilizzo di precise scene d'archivio con l'altrettanto preciso scopo di allargare la "rappresentatività" dei programmi Mediaset come testimoni della storia d'Italia. Si passa dalla freccia sulla testa di Elisabetta Canalis, ancora sconosciuta, ma con l'unico "merito" di essere tra il pubblico del Karaoke nel 1994, al siparietto Fiorello-Vasco Rossi (una combo di rappresentatività, trasversalità, inclusività e capacità di parlare agli italiani senza pregiudizi) durante i Telegatti (e dunque chez Mediaset);
c. in un'altra scena durante una premiazione di un Telegatto (a Fiorello agli inizi della carriera), Enzo Biagi appare seduto in prima fila, sorridente.
Ovviamente l'autoreferenzialità ha anche un altro vantaggio: rassicura quello zoccolo duro di pubblico (e di italiani) che invece sa tutto di Mediaset, che guarda solo quelle reti e che attinge informazioni solo da una parte ben selezionata dei media tradizionali. E che poi va a votare alle elezioni.
2. Mediaset vince sempre sull'invidia e sull'odio (la sinistra invece è rabbiosa)
Le tre ore di programma hanno un filo conduttore molto chiaro: la serenità. Che sia vera o artificiosa, poco importa. Signorini sorride, è caldo, affabile. I video d'archivio sono divertenti, raccontano un'Italia pre-crisi, spensierata, vagamente libertina. I protagonisti di questi video sono vincenti: scivolano, cadono, inciampano (come tutti gli esseri umani), ma alla fine vincono. Hanno successo, denaro, fama, spesso bellezza, o almeno simpatia. In ogni spezzone, in ogni storia, in qualsiasi momento del trentennio televisivo non appare la benché minima traccia di uno scazzo o di una polemica politica (in generale la politica sembra non entrare mai, ma ovviamente c'è sempre).
Mediaset rappresenta un'Italia allegra. Magari affaticata, ma allegra. Anche nel 2013. E il confronto indiretto con la sinistra, soprattutto quella più rabbiosamente antiberlusconiana, scatta quasi in modo automatico.
3. Berlusconi è l'editore più liberale d'Italia (e comunque sono tutti figli suoi)
Studio5 è prima di tutto una prova di forza. Organizzativa, creativa, spettacolare. E anche editoriale. Vedere tutti, ma proprio tutti, senza alcuna distinzione di appartenenza, cultura, capacità, tutti insieme dentro un format che parla della storia del più brillante investimento imprenditoriale di Silvio Berlusconi ha certamente delle ricadute simboliche fortissime:
a. l'editore Berlusconi ha dato spazio e soldi anche a persone che non lo stimavano (e che non lo stimano), esattamente come ci si aspetta da un editore liberale (e questo è vero a Mediaset, come a Mondadori);
b. di conseguenza c'è un sacco di gente che, anche opponendosi culturalmente e politicamente a Berlusconi, gli deve moltissimo (e gli elettori italiani di centrodestra, di fede berlusconiana, non lo dimenticano)
c. l'imprenditore-Berlusconi è anche il politico-Berlusconi, e dunque il tentativo (ovviamente forzato e non del tutto riuscito) di far passare l'idea che in fondo Berlusconi, da imprenditore liberale, sia anche un politico sostanzialmente liberale.
Quest'ultimo punto mi ha fatto molto riflettere sul senso dell'editto bulgaro. È stato considerato (a ragione) un atto illiberale e all'interno di un drammatico (perché irrisolto) conflitto di interessi, ma probabilmente dovrebbe essere considerato anche come il più grande errore politico della storia di Berlusconi. Se l'editore-imprenditore-politico non si fosse accanito così tanto contro (pochi) liberi pensatori del nostro Paese, il suo frame da "liberale" sarebbe stato molto più forte e sostanzialmente inattaccabile. E la sinistra, in certi frangenti assai più rigida del Berlusconi (Silvio+Marina) editore, avrebbe dovuto pagare un dazio ancora più salato.
4. Tutti possono farcela (ma solo grazie a noi)
Gerry Scotti, Fiorello e Max Pezzali sono facce positive di una medaglia che in questi anni è stata rovesciata dalle abitudini personali del Cavaliere. Mediaset (e la "grande famiglia" Berlusconi) sono un avamposto del sogno americano. Tutti, dal vincitore di "Chi vuol essere milionario" all'animatore del villaggio turistico, possono trovare un'opportunità nella televisione commerciale. E questo è stato vero sempre negli anni, per tutti, senza distinzioni politiche. Questa speranza, ovviamente illusoria (un Fiorello su mille ce la fa, altrimenti non sarebbe Fiorello) è comunque un elemento di consolazione, il cui potere evocativo cresce paradossalmente al crescere della crisi economica.
Quando non ci sono soluzioni oggettive e razionali, ci si butta disperatamente sul primo appiglio utile: il SuperEnalotto, il provino per il talent-show, il gioco a premi, il concorso di bellezza. E, stortura su stortura, le cene eleganti, il ciarpame senza pudore, le candidature al consiglio regionale.
Berlusconi, Mediaset, la tv commerciale hanno rappresentato (e in parte lo fanno ancora) l'illusione che la vita si potesse improvvisamente semplificare. E che potesse essere vero per tutti, a prescindere dal talento e della cultura. Questo frame resta fortissimamente nel sangue e nelle corde degli italiani. E diventa politica pura.
La proposta dell'abolizione dell'IMU durante la campagna elettorale delle politiche 2013 è un'estensione politica di questo principio, ed è anche il motivo per cui gli italiani hanno riconsiderato la candidatura di Berlusconi confrontandola con quella di Bersani. Tra un quadro desolante e senza promesse (la campagna elettorale del centrosinistra), e un quadro desolante con un'illusione (la campagna elettorale del centrodestra), gli italiani si sono comportati in modo prevedibile e per certi versi comprensibile.
Hanno preferito l'illusione. In tanti sono cresciuti guardando la tv commerciale e sperando di poter essere invitati, prima o poi, al gran ballo, mentre il Paese comprometteva ostinatamente tutto quello che di buono era stato costruito nei trenta anni precedenti.
In tanti continueranno a farlo, perché non è rimasto molto altro. E tanti altri ancora continueranno a sottovalutare questa potentissima macchina da sogni, non riuscendo mai a capire perché poi, alla fine, Berlusconi non perde (quasi) mai.