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Il caso Russell Brand: perché è così difficile denunciare gli episodi di violenza sessuale

29 Settembre 2023 5 min lettura

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Il caso Russell Brand: perché è così difficile denunciare gli episodi di violenza sessuale

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di Lindsey Blumell*

“Perché proprio ora?”: il caso Russell Brand e le difficoltà nel denunciare la violenza sessuale

Quando alla scrittrice E. Jean Carroll è stato chiesto come mai, dopo più di 25 anni, fosse uscita pubblicamente per accusare di violenza sessuale l'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la sua risposta ha espresso il pensiero di innumerevoli donne: "pensate a quante si sono fatte avanti e non è successo nulla".

Migliaia di commenti in calce a un estratto di quell'intervista pubblicato su YouTube mostrano le tipiche reazioni che subiscono le persone, quando trovano il coraggio di farsi avanti. Sono commenti crudeli e misogini, privi di fondamento: chi denuncia è pazza, cerca attenzioni o denaro, oppure è una bugiarda e non una "vera" vittima.

I commentatori sostengono di sapere come reagisce una "vera" vittima: urla, lo racconta subito a qualcuno o va alla polizia. Non resta in silenzio per anni.

A differenza di Carroll, la maggior parte delle vittime non ha le risorse per portare in tribunale chi abusa di loro. È ancora più raro che gli aggressori siano riconosciuti responsabili, come è invece successo a Trump per abusi sessuali e diffamazione.

Ciò che accomuna tutte le donne che accusano di abusi sessuali uomini di alto profilo è il doversi scontrare con il livore, i miti e le convinzioni errate che impediscono a tante altre di parlare. Questo si è già visto nella reazione pubblica alle accuse contro il comico Russell Brand, accuse che non sono ancora state verificate in tribunale. Secondo il Rape, Abuse & Incest National Network, negli Stati Uniti solo il 30% circa delle aggressioni sessuali viene denunciato alla polizia. Di queste, meno del 3% dei casi porta a una condanna. Statistiche simili si riscontrano nel Regno Unito.

Le possibilità di un giusto processo sono scarse. C'è invece il rischio enorme per le donne che denunciano di rivivere esperienze profondamente traumatizzanti, di essere messe in dubbio o sminuite. Mentre nei casi che coinvolgono uomini di potere il rischio è di essere pubblicamente additate.

In molti casi chi commette violenza sessuale ha una relazione con le proprie vittime, non è uno sconosciuto. Di solito si tratta di una dinamica di potere sbilanciata, come quella di un supervisore sul lavoro, o di un partner romantico. In casi del genere le conseguenze della denuncia possono coinvolgere  anche la carriera, la famiglia e la vita personale.

Miti e stereotipi sulla violenza sessuale

Esiste una serie di false convinzioni usate ogni volta contro chi è vittima di violenza sessuale (o "sopravvive", per usare un'espressione diffusa negli ultimi tempi). Tra i miti più comuni c’è l’idea che la vittima stia mentendo o sotto sotto lo abbia "voluto". Oppure si sostiene che l'aggressore non volesse farlo, che non si è trattato di un episodio poi così grave. O, infine, si dice che una "vera" vittima avrebbe reagito, e chi denuncia lo sta facendo solo per avere attenzione.

Questi miti riproducono stereotipi di genere secondo cui le donne che subiscono violenza sono indifese o promiscue, e spesso ignorano le esperienze delle vittime di sesso maschile ed LGBTQ+.

Queste idee non sono una prerogativa degli utenti che commentano in Rete. Sono radicate nelle strutture che dovrebbero proteggere le vittime. Sono ripetute nei rapporti di polizia, sono usate come tattica difensiva in tribunale; nei luoghi di lavoro proteggono chi commette reati.

Sono usate nei servizi giornalistici su casi che coinvolgono celebrità e persone potenti. Ma anche quando un caso non fa notizia a livello internazionale, sono ripetute in famiglia, nelle cerchie sociali, al lavoro e in ambito religioso.

Non c'è quindi da stupirsi se la maggior parte delle persone che subiscono violenza sessuale non denuncia mai alla polizia o non esce allo scoperto pubblicamente. Queste persone Dubitano di sé stesse, provano vergogna e non hanno fiducia nelle istituzioni che dovrebbero aiutarle.

Il basso tasso di condanne e gli atteggiamenti culturali problematici, come dimostrano le reazioni alle accuse di alto profilo, rafforzano le loro paure e mantengono basse le statistiche sulle denunce.

Cosa serve per farsi avanti?

Le ricerche dimostrano che le persone sono più propense a farsi avanti quando si fidano di istituzioni come l'università o il posto in cui lavorano.

Altri fattori che possono incoraggiare sono la formazione istituzionale su come denunciare e l'accesso a consulenti per le vittime, che iniziano a essere assunti da alcune forze dell'ordine. Anche i social media, pur essendo un ricettacolo di tossicità, possono essere un luogo in cui incoraggiare le persone a parlare. Una volta che una persona si fa avanti, altre la seguiranno.

Possono passare anni prima che le accuse contro una persona potente vengano alla luce. Anche il tempismo può determinare le reazioni dell'opinione pubblica. Quando non sono al massimo del loro potere, gli accusati hanno spesso maggiori probabilità di subire conseguenze. La perdita della causa civile da parte di Trump dopo la fine del mandato presidenziale sembra aver prodotto meno reazioni rispetto a quando Carroll si è fatto avanti per la prima volta.

Ma quando era in gioco un seggio alla Corte Suprema degli Stati Uniti, Christine Blasey Ford ha ricevuto minacce di morte e ha dovuto trasferirsi per proteggere sé stessa e la sua famiglia, dopo aver accusato Brett Kavanaugh di una storica violenza sessuale.

Blasey Ford ha descritto come il sostegno della famiglia, degli amici, dei giornalisti di cui si fidava e di molti cittadini le abbiano dato la forza di farsi avanti. Tuttavia, non sono riusciti a proteggerla dalle ritorsioni che hanno completamente sconvolto la sua vita.

Una cultura che cambia

Una scusa comune per non credere alle accuse di violenza sessuale è che non ci sono prove sufficienti: sono le parole di lei contro quelle di lui. Ma per coloro che perpetuano il mito dello stupro, la raccolta di prove non sembra essere davvero importante.

Dopo ogni inchiesta giornalistica seria, come quella del Times, del Sunday Times e di Channel 4 su Russell Brand, c'è una valanga di celebrità e fan che difendono l'accusato e denigrano chi lo accusa.

Questa dovrebbe essere l'era post #meToo, in cui è possibile parlare ed essere ascoltati, in cui le accuse sono prese sul serio e indagate dalle autorità. Abusatori seriali come l'ex produttore hollywoodiano Harvey Weinstein, l'ex medico della squadra nazionale femminile di ginnastica degli Stati Uniti Larry Nassar e il cantante R. Kelly stanno scontando condanne che ammontano a decenni di carcere.

Questi casi possono portare un certo senso di giustizia per le vittime che hanno affrontato l'esposizione pubblica, l'ansia personale e la ritraumatizzazione che deriva dal raccontare ancora e ancora la propria esperienza.

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Ciononostante, la persistenza dei miti sullo stupro rende ancora difficile farsi avanti. Potrebbero essere necessari ancora molti anni di denunce storiche prima di vedere il tanto necessario cambiamento culturale e la riforma di quei sistemi che ancora deludono le vittime.

* Lindsay Blumell insegna giornalismo alla City University di Londra.

*Questo articolo è una traduzione dell'originale pubblicato in inglese su The Conversation con licenza Creative Commons.

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