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Ricolfi e quegli stereotipi transfobici duri a morire

23 Novembre 2021 4 min lettura

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Ricolfi e quegli stereotipi transfobici duri a morire

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di Cristiana Alicata

Ho letto l'articolo di Luca Ricolfi su Repubblica, nel quale l’autore si dice molto preoccupato per la sorte di alcune femministe (ne fa un breve elenco) costrette a dimettersi dalle università o a non partecipare ad eventi per le proprie posizioni sull’identità di genere.

L’intervento di Ricolfi si innesta sul dibattito che è avvenuto anche durante la discussione del DDL Zan tanto che le posizioni di quella parte di femministe (per capirci quelle che vengono definite “TERF”, Trans-exclusionary radical feminist, o “gender critical”) sono state richiamate come autorevoli, per esempio, da Matteo Renzi nella sua lettera a Repubblica.

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Questa parte di femministe (anche lesbiche, anche progressiste), sostiene in sintesi che si è donna solo per nascita biologica, e in virtù di ciò quella parte non riconosce l’essere donna a chi ha vissuto o sta vivendo un percorso di transizione.

Se il tema si fermasse qui, personalmente non avrei alcun problema a rispettare questa opinione e, in realtà, queste due posizioni potrebbero restare beatamente nell’intimo di ognuno di noi con un bel “vivi e lascia vivere”, se non fosse che buona parte delle suddette femministe non partissero da quell’assunto per diffondere una serie di castronerie terribili (per usare un eufemismo).

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Castronerie che Ricolfi, e chi difende questo gruppo minoritario, ma molto ben organizzato, tende a ignorare liquidandole con un:

Materia del contendere, soprattutto, la richiesta degli uomini che si sentono donne di accedere agli spazi tradizionalmente riservati alle donne, come bagni, spogliatoi rifugi/centri anti-violenza, reparti femminili nelle carceri, competizioni sportive fra donne.

Già in questa frase c’è tutto lo sprezzo per le persone trans. Ricolfi le chiama “uomini che si sentono donne”. In questo modo diffonde la paura verso le persone trans, che usando il termine esattamente come lo ha usato lui e restando fedeli alla radice etimologica della parola, e senza che Ricolfi si offenda, significa diffondere transfobia (lo ripeto se non fosse chiaro: paura delle persone trans).

Il tema è proprio l’assunto: credere cioè che si stia parlando di uomini che si sentono donne. In realtà stiamo discutendo di persone trans e se si stesse discutendo di uomini che fingono di essere donne per intrufolarsi nei luoghi femminili avrebbe senso parlarne così e tutti saremmo d’accordo.

Il tema è che non ha senso parlare in questi termini delle persone trans. È profondamente e ontologicamente offensivo: è, infine, negare l’esistenza stessa dell’esperienza trans. E se anche una persona trans commettesse un reato in questi luoghi per sole donne “biologiche”, questo non farebbe statistica come le poche femministe citate da Ricolfi ci vogliono far credere. Con Angelo Romano, su Valigia Blu, avevamo smontato una per una le fake news sul tema (carceri, bagni, numeri, fonti, etc).

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È come se a qualcuno venisse in testa di vietare il matrimonio tra uomini e donne perché ogni giorno un uomo ammazza la propria moglie (resta comunque statisticamente una minoranza di maschi, seppur drammaticamente numerosa) o come se qualcuno volesse vietare in blocco qualsiasi tipo di immigrazione perché “potrebbero arrivare i terroristi”.

Non solo, ma nel pezzo e nelle affermazioni sull’argomento si perdono i riferimenti sui numeri delle persone trans che subiscono violenza in generale e per esempio, nello specifico, nelle carceri (quando costrette a stare in carceri maschili). È come se quel pezzo di femminismo, unito a questa parte di maschi che lo difende trasformandolo in vittima (vittima perché si vuole affermare che non è concesso loro di avere un’opinione e non che le si critica perché da quell’opinione discende la diffusione del terrore nei confronti delle persone trans), si sia dimenticato che la radice della violenza contro le persone trans è la stessa radice della violenza contro le donne.

Il tema non è la convinzione personale di cosa sia una donna, se per essere donna si debba nascere biologicamente donna o avere una identità femminile. Il tema è far discendere dall’essere trans una serie di nefandezze: nasci maschio quindi avrai automaticamente un portato di “rapace”, “assalitore”, “pericoloso”, concetto che dovrebbe dare fastidio ai maschi eterosessuali per primi, perché in buona sostanza si sta affermando che un maschio è pericoloso sempre. Anche quando "si percepisce” donna! E che la sua pericolosità non discende da un’individualità, ma dal suo essere nato biologicamente maschio. La cosa che più mi colpisce è vedere da una parte un gruppo di femministe che odia i nati biologicamente maschi così tanto da ritenerli sempre pericolosi, dall’altra il maschio che le difende perpetuando un sistema tipicamente maschilista: difendere le proprie femmine da altri maschi (e quindi negando, di nuovo, l’esistenza dell’esperienza trans).

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In queste donne non scatta nessuna solidarietà, nei confronti delle persone trans (che poi, fateci caso, si parla sempre di MTF, cioè di donne trans) piuttosto una paura (appunto fobia) di essere private di sé stesse e della propria identità riconoscendo e includendo l’identità altrui. Trovo terribile questa cosa: l’identità femminile è così debole da venire minata dall’esistenza delle donne trans? Non a caso il contrario non avviene. Non mi risulta, a oggi, un movimento di “TERM” contro gli uomini trans.

Ed ancora: Ricolfi registra la rabbia nei confronti della professoressa Stock, ma non si sofferma minimamente a riflettere sugli effetti delle sue parole. Penso serva un profondo lavoro di ridimensionamento delle questioni, penso che serva deporre tutti i posizionamenti ideologici e tornare a capire di cosa stiamo parlando quando parliamo delle vite delle persone usando i numeri, non generalizzando e con atteggiamento meno esclusivo e assolutista.

Foto anteprima via TimesHigherEducation

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