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Fine vita, “il referendum è l’unica possibilità per rendere l’eutanasia legale in Italia”

25 Giugno 2021 11 min lettura

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Fine vita, “il referendum è l’unica possibilità per rendere l’eutanasia legale in Italia”

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Corte Costituzionale: 'Inamissibile il referendum sull'omicidio del consenziente'

Aggiornamento 15 febbraio 2022: La Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum sull’“omicidio del consenziente”. Secondo quanto riferito dall’Ufficio comunicazione e stampa, "la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili".

Promosso dall’associazione Luca Coscioni, il referendum puntava ad abrogare parte dell’articolo 579 del codice penale che attualmente prevede una condanna da 6 a 15 anni di carcere per “chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui”. È il caso di un medico che somministra, intenzionalmente, un’iniezione o un altro farmaco a un paziente che chiede di essere condotto alla morte.

«Questa per noi è na brutta notizia. È una brutta notizia per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo. Una brutta notizia per la democrazia», ha detto Marco Cappato, dell'associazione Luca Coscioni. «Sull'eutanasia proseguiremo con altri strumenti, abbiamo altri strumenti. Come con Piergiorgio Welby e Dj Fabo. Andremo avanti con disobbedienza civile, faremo ricorsi. Eutanasia legale contro eutanasia clandestina».

«Provo tanta tristezza pensando alle persone più vulnerabili le cui richieste resteranno inascoltate - ha detto Mina Welby - Io ero sicura che la Corte avrebbe deliberato a favore di questo referendum e sono rimasta molto delusa. Rimane l'ultima 'speranza' del Parlamento... Vorrei personalmente fare qualcosa per sensibilizzare al tema, non so ancora cosa».

Da metà giugno è partita la raccolta firme per il referendum sull’eutanasia legale promossa da diverse associazioni, movimenti e partiti. L’obiettivo è raggiungere 500mila firme, come stabilito dall’articolo 75 della Costituzione, così da poter proporre “l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge". Nel caso specifico, il quesito referendario punta ad abrogare parzialmente l’articolo 579 del codice penale che attualmente prevede una condanna da 6 a 15 anni di carcere per “chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui”. L’obiettivo dei promotori è far sì che l’eutanasia (attiva) costituisca un reato “se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni”.

Durante la conferenza stampa di presentazione della campagna referendaria, svoltasi lo scorso 17 giugno nella Sala stampa della Camera dei Deputati, è stato trasmesso il video messaggio di una donna di 37 anni di nome Daniela, affetta da una grave forma di tumore al pancreas, che, riporta Quotidiano Sanità, “avrebbe voluto poter scegliere di porre fine alle sue sofferenze, ma non ha fatto in tempo ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito”. “Daniela – si legge – voleva essere ‘libera di morire nel migliore dei modi’ accanto ai suoi cari. Aveva contattato l’Associazione Luca Coscioni e a febbraio aveva chiesto alla Asl di Roma, dove viveva, e al relativo Comitato Etico, la verifica e l’attestazione delle condizioni necessarie per poter ricorrere – in applicazione della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale – al suicidio assistito. La risposta negativa fece impugnare a Daniela il diniego ricevuto e (...) ricorrere d’urgenza al Tribunale di Roma per ottenere le verifiche previste dalla sentenza Cappato. L’udienza viene fissata per il 22 giugno. Considerata l’urgenza del caso viene chiesto di anticipare la decisione ma nessuno ha mai risposto. Daniela è morta il 5 giugno. La visita di verifica della sua condizione da parte dell’ASL di Foggia era programmata per il 7 giugno, 2 giorni dopo”. 

In conferenza stampa Filomena Gallo e Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni (tra le associazioni promotrici del referendum), hanno commentato che «è inaccettabile che chi è nelle condizioni di Daniela sia costretta a un simile calvario. I malati non possono aspettare i tempi della burocrazia»: «È sempre più evidente quanto sia urgente una legge per poter garantire la possibilità di scegliere se porre fine alle proprie sofferenze insopportabili. Di fronte al silenzio del Parlamento che continua a rimandare la riforma necessaria, il Referendum a questo punto è l’unica possibilità per rendere l’eutanasia legale in Italia».

Sono passati due anni da quando il Parlamento italiano lasciò scadere il tempo concesso dalla Corte costituzionale per riempire il vuoto normativo sul suicidio assistito, prima di pronunciarsi sul caso di Marco Cappato, finito a processo per aver aiutato a morire l’ex dj Fabo accompagnandolo in Svizzera. Nel giugno del 2014 Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, rimase cieco e tetraplegico a causa di un grave incidente stradale. Dj Fabo iniziò così insieme all’Associazione Luca Coscioni una battaglia per l’approvazione di una legge sul fine vita. In seguito ad anni di terapie senza esito, dj Fabo chiedeva di poter mettere fine a quella che per lui era diventata una condizione insostenibile, e morire dignitosamente. Dopo alcuni mesi di appelli alle Camere e al presidente della Repubblica e di stasi della politica, il 27 febbraio del 2017 Antoniani è morto tramite una procedura di suicidio assistito in una clinica svizzera, dove era stato accompagnato da Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni. Per questo gesto, Cappato – che al suo rientro in Italia si era autodenunciato ai carabinieri di Milano – era finito sotto processo con l’accusa di aiuto al suicidio, un reato punito in Italia dalla stessa norma che si occupa dell’istigazione al suicidio, l‘articolo 580 del codice penale. 

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A febbraio del 2018, però, la Corte d’Assise di Milano aveva deciso di rinviare gli atti alla Corte Costituzionale, per esprimere un giudizio di legittimità sulla norma del codice penale. Dopo qualche udienza, la Consulta ha rinviato la decisione al 24 settembre 2019. La stessa scadenza – un anno – era stata stabilita per dare al Parlamento la possibilità di legiferare, dal momento che i giudici avevano rilevato che la norma così com’è lascia prive di tutela situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione. Durante il tempo concesso dalla Consulta le Camere non sono riuscite a raggiungere un’intesa su un testo di legge, lasciando la decisione ai giudici. 

Il 25 settembre 2019 la Corte Costituzionale ha stabilito che è lecito l’aiuto al suicidio nei casi come quelli di Fabiano Antoniani. Per la Consulta "non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". La Corte, "in attesa di un indispensabile intervento del legislatore, ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente". Solo pochi giorni prima della decisione della Corte Costituzionale, Papa Francesco aveva avvertito di “respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l'eutanasia".

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A fine 2019,  la corte d'Assise di Milano ha assolto "perché il fatto non sussiste" Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani in una clinica svizzera a morire. Un’assoluzione figlia dalla sentenza della Corte Costituzionale di pochi mesi prima.

La Corte Costituzionale, ha precisato però l’avvocata Gallo a Donna Moderna, «dice che l’aiuto fornito a un malato che è capace di autodeterminarsi, con una patologia irreversibile fonte di gravi sofferenze, dipendente da trattamenti di sostegno vitale, non è reato. Ma solo in quel caso. Il problema è che da quella sentenza rimangono esclusi moltissimi malati, come per esempio Daniela, perché non aveva ancora trattamenti di sostegno vitale, pur avendo una prognosi di patologia irreversibile. Oggi un malato può chiedere di sospendere i trattamenti di sostegno a cui è sottoposto ed essere accompagnato con le cure palliative, in base alla legge 219 del 2017 sul testamento biologico. Ma noi chiediamo di legiferare in tema di eutanasia, di fronte a un vuoto normativo». 

Nel frattempo, lo scorso maggio è stato presentato in Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera un testo base sulle "Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita". La proposta è composta da 8 articoli

L’articolo 1 stabilisce che “la presente legge disciplina la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita”, in base alle condizioni, ai limiti e ai presupposti previsti dalla legge e nel rispetto dei principi della Costituzione, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. L’articolo 2 chiarisce che “si definisce «morte volontaria medicalmente assistita» il decesso cagionato da un atto autonomo con il quale, all’esito del percorso disciplinato dalle norme della presente legge, taluno pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e la supervisione del Servizio sanitario nazionale”. L’articolo 3 specifica chi può fare richiesta di morte volontaria medicalmente assistita: la persona maggiore di età, capace di prendere decisioni libere e consapevoli e affetta da sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili. Tale persona deve altresì trovarsi in una delle seguenti condizioni: a) essere affetta da una patologia irreversibile o a prognosi infausta; b) essere portatrice di una condizione clinica irreversibile; c) essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale o dipendente da trattamenti farmacologici o dipendente totalmente dall’assistenza da terzi; d) essere assistita dalla rete per le cure palliative o avere espressamente rifiutato tale assistenza”.

L’articolo 4 spiega che  la richiesta di morte volontaria medicalmente assistita “deve essere informata, consapevole, libera ed esplicita”, consegnata o trasmessa al medico di medicina generale o al medico che ha in cura il paziente e che può essere revocata in qualsiasi momento. Nell’articolo 5 si legge che il medico che ha ricevuto dal paziente la richiesta di morte volontaria medicalmente assistita “redige un rapporto sulle condizioni cliniche del richiedente e sulle motivazioni che hanno determinato la richiesta e lo trasmette al Comitato per l’etica nella clinica territorialmente competente (questi comitati a livello territoriali vengono normati con l’articolo 6). Entro sette giorni da quanto ha ricevuto la richiesta, il comitato per l’etica nella clinica “esprime parere motivato sulla sussistenza dei presupposti e dei requisiti per la richiesta di morte volontaria medicalmente assistita e lo trasmette al medico e alla persona che ha espresso la richiesta”. Nel caso in cui “il parere sia favorevole, il medico lo trasmette, con tutta la documentazione in suo possesso, alla direzione sanitaria dell’azienda sanitaria territoriale o alla direzione sanitaria dell’azienda ospedaliera di riferimento”. L’articolo 7 stabilisce che “le disposizioni contenute negli articoli 580 e 593 del codice penale non si applicano al medico e al personale sanitario e amministrativo che abbiano attuato o concorso ad attuare la procedura di morte volontaria medicalmente assistita né a coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata nell’attivare, istruire e portare a termine la predetta procedura, qualora essa sia eseguita nel rispetto delle disposizioni della presente legge”. 

La deputata del Movimento 5 stelle, Gilda Sportiello, ha detto a Sanità informazione che il testo base presentato dai relatori è un punto di partenza per avviare una discussione in Commissione sul provvedimento e che un punto su cui si dovrà discutere è il ruolo dei Comitati per l’etica, il cui parere secondo la deputata non dovrà essere vincolante.

L’associazione Luca Coscioni ha commentato con favore l’avvio dell’iter parlamentare del provvedimento di legge sull’aiuto alla morte volontaria, aggiungendo però anche che si tratta di un testo base costruito “su un compromesso al ribasso”: “Il testo presentato dai relatori in Commissione infatti si limiterebbe a trasporre in legge la decisione della Corte costituzionale sul “processo Cappato”. In questo modo il risultato sarebbe di escludere dal diritto ad essere aiutati a morire tutte le persone che soffrono sofferenze insopportabili e irreversibili ma senza dipendere da trattamenti salvavita, come ad esempio i malati di cancro. Si sancirebbe così una grave e incomprensibile discriminazione tra malati”. Per questo motivo, proprio per ottenere “una piena e non discriminatoria legalizzazione dell’eutanasia”, è stata lanciata la campagna di raccolte firme sul referendum di abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale, conclude l’Associazione Coscioni. 

Intanto, a metà giugno il Tribunale di Ancona per la prima volta ha ordinato, in ‘attuazione’ della “sentenza Cappato” della Corte costituzionale del 2019, all’Azienda saitaria unica regionale di verificare, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, le condizioni per l’accesso al suicidio assistito di un paziente di 43 anni rimasto tetraplegico da dieci anni dopo un incidente stradale. Ad agosto 2020 il paziente aveva chiesto all’azienda sanitaria locale (Asl) di ancona, proprio su quanto stabilito della sentenza della Suprema Corte, di poter accedere al suicidio assistito. L’Asl però ha respinto la richiesta. A marzo 2021, il paziente presenta un primo ricorso al tribunale di Ancona che però conferma la decisione dell’Asl. A maggio i legali del paziente e dell’associazione Luca Coscioni propongono nuovamente il quesito al tribunale affinché venga ordinato all’ASL la verifica delle sue condizioni. Il 9 giugno il Tribunale ordinario di Ancona dà ragione al paziente.

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È utile specificare che l’eutanasia differisce dal suicidio assistito. Nella prima è il medico a provocare la morte: se si parla di eutanasia attiva, questo avviene attraverso la somministrazione di un farmaco; in quella passiva, limitandosi a sospendere le cure o spegnere i macchinari (questo secondo tipo di eutanasia è quindi possibile nel caso di malati terminali o tenuti in vita artificialmente). Nel suicidio assistito,  il medico fornisce (prescrive, consegna) il farmaco, che poi però viene utilizzato autonomamente dal malato. Nel caso di dj Fabo, ad esempio, era stato lui stesso a far entrare in circolo la sostanza, mordendo un pulsante. Eutanasia e suicidio assistito sono anche regolati diversamente nei paesi che hanno legalizzato qualche forma di decisione sulla propria morte.

A fine del 2020, la Spagna ha approvato in via definitiva la legge promossa dal Partito Socialista Spagnolo (Psoe) che regolamenta l’eutanasia e il suicidio assistito. Secondo la legge, i cittadini spagnoli (o “legalmente residenti in Spagna”) che soffrono di “malattie gravi e incurabili o di una condizione grave, cronica e invalidante” che provoca “sofferenze intollerabili” potranno ricorrere all’eutanasia (ovvero, la “somministrazione diretta di una sostanza al paziente da parte di un professionista sanitario competente”) o al suicidio medicalmente assistito (cioè la “prescrizione o la fornitura di una sostanza al paziente da parte di un professionista sanitario competente affinché possa autosomministrarla in modo da provocare la propria morte”). Con l’approvazione di questa legge, la Spagna è divenuta uno dei pochi paesi – dopo i Paesi Bassi, il Belgio, il Lussemburgo e il Canada –, a regolamentare l’eutanasia. Ci sono invece Stati che non riconoscono entrambe le tipologie di eutanasia, scrive il Corriere della Sera: “L’Inghilterra – ad esempio – ammette la sola interruzione delle cure al paziente terminale, mentre la Francia nel 2005 ha approvato una legge (la legge Leonetti) in base alla quale un paziente terminale può decidere per una «degna morte» attraverso l’eutanasia passiva. E ancora, in Germania dal 2015 è legale l’eutanasia passiva mentre in Svezia il via libera è arrivato nell’aprile del 2010 (l'eutanasia attiva è – invece – proibita). In Svizzera, invece, a essere normato è il suicidio assistito, come in diversi Stati degli Stati Uniti d'America (Oregon, Vermont, Washington, Montana, Nuovo Messico e California). Altri Paesi, come l'Australia, non ammettono l'eutanasia ma consentono le direttive anticipate di trattamento. In altri Paesi, come Danimarca, Norvegia, Ungheria, Repubblica Ceca il malato può rifiutare le cure o l'accanimento terapeutico”.

Foto in anteprima via Pixabay.com

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