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#Primarie: Bersani vince e ‘perdono’ i social media

2 Dicembre 2012 5 min lettura

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#Primarie: Bersani vince e ‘perdono’ i social media

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1. Ha vinto il candidato (tra i tre principali contendenti) con il numero più basso di 'mi piace' su Facebook e follower su Twitter, sia per dato assoluto che per incremento medio giornaliero. Con buona pace di twitterometri, Klout, hashtag giornalieri e analisi del sentiment. Questo, a mio avviso, è il dato politico più potente di queste Primarie: esiste uno scollamento forte, abbastanza atipico nei paesi occidentali, tra il comportamento dell'elettorato (di centrosinistra) e ciò che accade online.

Questo dato non può certamente oscurare una novità assoluta per l'Italia: il primo massiccio investimento economico di comunicazione politica sui social media: lo ha fatto Renzi, durante il ballottaggio, attraverso le inserzioni sponsorizzate che promuovevano i post della pagina Facebook del sindaco di Firenze.

2. Ha vinto il candidato che, parere abbastanza concorde tra gli analisti, non ha vinto i confronti televisivi. Non li ha neanche persi, a dirla tutta.

3. Ha vinto il candidato (tra i tre principali contendenti) con la minore presenza televisiva e radiofonica nei programmi di approfondimento politico durante il periodo di campagna elettorale. Bersani ha però tratto indubbio vantaggio dalla sua attività politica come segretario del PD all'interno dei telegiornali e all'interno del dibattito politico sui provvedimenti varati dal Governo Monti.

4. Ha vinto il candidato (tra i tre principali contendenti) con lo slogan di cui si è discusso meno. Renzi è "Adesso!", Vendola è "Oppure". In quanti sanno che Bersani è "il coraggio dell'Italia"?

Questi quattro punti, sommati, dimostrano come Bersani abbia comunque fatto un'ottima, seppur atipica, campagna elettorale. Ha vinto "senza comunicare": farlo in Italia, dopo diciotto anni di berlusconismo, non era affatto banale, così come non era banale scegliere questa via strategica.

5. Anche Renzi ha fatto un'ottima campagna elettorale, che però avrebbe funzionato molto meglio alle politiche che alle Primarie. Alle Primarie non ha funzionato pienamente perché:

a. attaccare il PD nel complesso come corresponsabile dei fallimenti dell'Italia degli ultimi venti anni può aver messo automaticamente insieme Bersani e 'la ditta', cioè tutti i corpi intermedi dei partiti (non solo i grigi apparati, ma anche tanti attivisti delle giovanili del Partito, tanti volontari delle feste dell'Unità, una parte degli amministratori locali: in sintesi, chi tiene il Partito in piedi durante l'anno) che fino a settembre non si erano ancora schierati con il segretario;

b. intendere la rottamazione come fatto anagrafico e non politico/culturale può aver automaticamente allontanato i voti di una parte degli anziani elettori delle Primarie, che probabilmente vogliono il cambiamento nel partito come Renzi e i renziani, ma non sulla loro pelle. La rottamazione come fatto anagrafico inoltre non tiene conto della necessaria divisione in buoni e dei cattivi (senza il quale il concetto di rottamazione, pur facilmente comunicabile, mostra la corda): durante le Primarie sono spuntati molti 'cattivi' giovani (Fiorito e Maruccio, per dirne due), ma Renzi non ha colto l'occasione per puntualizzare sul tema;

c. ammiccare agli elettori del centrodestra può aver messo sull'attenti molti elettori del centrosinistra. Ed è un ammiccamento di cui forse non c'era bisogno: molti elettori "di destra" avrebbero votato Renzi comunque, anche senza l'appello esplicito del sindaco di Firenze ai votanti delusi da Berlusconi;

d. enfatizzare la difficoltà nelle procedure di voto come conseguenza di regole arzigogolate (allo scopo di mostrare l'ostilità del gruppo dirigente verso Renzi) può aver spaventato inutilmente una quota di elettori in uscita dal centro e dalla destra, oltre che una parte degli astenuti storici. In realtà chi ha sperimentato l'esperienza di pre-registrazione più voto nella giornata di domenica sa di aver perso pochi minuti e di aver fatto due code invece che una: un fastidio che, pur se in parte incomprensibile, si è rivelato assolutamente ragionevole.

6. Lo snodo della campagna elettorale, dati dei sondaggi alla mano, è stata la frase di Massimo D'Alema a In Onda (su La7) sulla sua non ricandidatura in Parlamento in caso di vittoria di Bersani. Da quel momento in poi Renzi ha rallentato la sua corsa. Una figura politica classica, su un mezzo di comunicazione classico, fa una mossa tattica classica quanto intelligente. Anche in questo caso, con buona pace dei social media.

7. A proposito: Massimo D'Alema non si ricandiderà in Parlamento. Questo non vuol dire che uscirà dalla vita politica. Ma questo sarebbe stato vero anche in caso di vittoria di Renzi. Sarebbero state sufficienti le Primarie per i parlamentari (promesse da Bersani), una candidatura e una vittoria (voti alla mano, dunque democratica) di D'Alema per rendere impossibile la sua fine politica. Renzi, non essendo segretario del PD (e non avendo intenzione di esserlo, così dice) non avrebbe certamente potuto espellere D'Alema dal partito dalla posizione di candidato Premier.

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8. Giovedì 29 novembre, il giorno della massiccia campagna della Fondazione Big Bang (che gestiva i finanziamenti della campagna di Renzi) per comunicare il sito www.domenicavoto.it sui principali quotidiani italiani, Renzi ha speso centomila euro solo per l'acquisto di quelle inserzioni. 100mila euro è la metà del tetto di spesa previsto dal regolamento sulle Primarie (e il doppio del budget dell'intera campagna elettorale di candidati come Vendola).

9. Corollario: non ricordo una campagna per le Primarie, a livello locale come nazionale, in cui i candidati con maggiore disponibilità economica abbiano rispettato il tetto di spesa né abbiano rinunciato all'acquisto di inserzioni pubblicitarie in modo diretto o attraverso i comitati elettorali. L'adozione di queste regole e il sistematico, mancato rispetto delle stesse hanno raggiunto livelli di ipocrisia abbastanza stucchevoli, specie se consideriamo che sono regole interne a una coalizione che decide, senza alcun obbligo di legge, di autoconvocare il proprio elettorato per far decidere qual è il rappresentante politico della coalizione stessa. Dovrebbero essere regole da rispettare per motivi etici, di rispetto verso gli avversari interni, prima ancora che per altrettanto ovvi motivi di sobrietà e decoro visti i tempi di crisi economica. In futuro sarà il caso di rinunciare a queste regole, o al contrario di prevedere sanzioni rigidissime a chi non le rispetta (ma chi controlla i controllori? Come si fa a calcolare rigidamente i costi?)

10. Media dei sondaggi al 12 settembre (inizio della campagna elettorale): PD 26.1%, PDL 20.3%, Movimento5Stelle 15.2% - Media dei sondaggi al 29 novembre (subito prima della fine della campagne elettorale): PD 29.1%, PDL 15.6%, Movimento5Stelle 18.2% -

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