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Perché la polizia a Firenze e Pisa ha manganellato studenti inermi?

24 Febbraio 2024 4 min lettura

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Perché la polizia a Firenze e Pisa ha manganellato studenti inermi?

Questa è la domanda che andrebbe posta ai questori delle due città, ai rappresentanti del governo e delle autorità chiamati in causa dagli episodi. Queste le parole che dovrebbero comparire sui titoli dei giornali e sui sottopancia dei programmi, invece di “scontri”, poiché “scontro” dà l’idea di un conflitto ad armi pari, di una contesa attorno ad obiettivi contrastanti. Invece dei distinguo sul fatto che alcuni manifestanti fossero maggiorenni, o che ci fosse stata chissà quale disposizione violata, quale terribile minaccia da debellare. O che non si sia trattato di studenti, ma di “facinorosi”, “estremisti”, attingendo a un collaudato lessico per giustificare la repressione di Stato. 

Intanto, il lessico delle autorità ha già prodotto un comunicato imbarazzante, come quello della Polizia di Stato emesso ieri. Il quale si trincera dietro a formule vuote (“difficoltà operative di gestione”) che non sanno motivare l’ovvio: ossia la totale mancanza di proporzione tra azione e reazione, la violenza unilaterale che esplode e diventa caccia al minore.

Purtroppo in Italia non possiamo concederci il lusso di dare per scontato l’ovvio, anzi. Perciò occorre ribadire che una simile repressione non ha alcun fondamento se non nella consapevolezza che il clima politico la permette. Veniamo da giorni in cui il ministro della Giustizia ha parlato di rivedere il reato di tortura (“modifiche tecniche”), mentre quello dell’istruzione ha proposto di bocciare gli studenti che partecipano alle occupazioni

Veniamo da settimane e mesi in cui la repressione verso attivisti climatici (“ecovandali”), studenti e più in generale verso chi manifesta è stata pressoché sistematica. Le manganellate di ieri richiamano scene analoghe. Ricordiamo le recenti manganellate di fronte alle sedi Rai di Napoli e Bologna, ma anche le piazze di studenti del febbraio 2022, o dell'ottobre 2023. Senza contare che tra i primi atti di questo governo c’è stato il cosiddetto “decreto anti-rave”, che nella sua forma originaria andava a colpire la possibilità di radunarsi. 

Ma veniamo soprattutto da decenni di impunità, dal G8 di Genova in poi, dove la gestione repressiva delle proteste è diventata una prassi quasi mai contestata nei suoi aspetti sistemici. Non stupisce perciò ritrovare come questore di Pisa chi, nel 2001, era vicequestore a Genova. In questi decenni si è sedimentato come senso comune fascistoide l’idea che manifestare non sia l’esercizio di un diritto, ma un disturbo recato alla comunità, una minaccia all’ordine. Parte dell’opinione pubblica considera cariche e manganelli un atto dovuto che toccherà sempre e solo ai cattivi cittadini - ovvero agli altri.

Quando vi sono delle eccezioni, queste mostrano ancora di più come una certa strategia sia selettiva, e quindi politica. A molti ieri è tornato in mente il raduno di Acca Larentia, la sfilata di saluti romani e le imbarazzanti giustificazioni del ministro dell’Interno Piantedosi, più inadeguato che mai. Tra quei molti ci siamo anche noi.

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Di fronte alle scene di Pisa e Firenze, non ha senso parlare di “ordine” e “autorità”, a meno che il modello di Stato che si ha in mente non coincide con il bullo. Di chi si fa forte prima di tutto perché può contare sulla complicità, sulla paura o sui silenzi, e che nell’aggressività manifesta prima di tutto le proprie debolezze e paure. Se così non fosse, in Italia da tempo si sarebbero approvate riforme davvero minime, come quella per i numeri identificativi. E non si alimenterebbe da parte di certa pessima politica e stampa una difesa “senza se e senza ma” delle forze dell’ordine, perché, giova ricordarlo, anche gli agenti che si trovano a eseguire gli ordini di certe catene di comando pagano un prezzo. Di fronte ai muscoli esibiti dagli editorialisti, di fronte alle provocatorie apologie della repressione, va ricordata una statistica assai ignorata da chi loda i manganelli: i suicidi nelle forze dell’ordine sono in aumento, e lo stress psico-fisico è una componente che non trova spazio tra i “senza se e senza ma”. 

Ecco perché è importante che si sia espressa la società civile, con le immagini di piazza di ieri sera, il raduno spontaneo per ricordare che manifestare è un diritto e che le città sono spazi che appartengono alla collettività, e quindi anche agli studenti. Ecco perché sono altrettanto importanti le prese di posizioni dei direttivi di scuole e università, tra cui anche quella del rettore dell'Università Siena. Chi ha paura delle nuove generazioni ha prima di tutto paura del futuro, e chi ha paura del dissenso ha paura delle basilari prassi democratiche.

Immagine in anteprima: frame video Repubblica

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