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Gli attivisti ambientali di Ultima generazione e la repressione della società civile

5 Gennaio 2023 7 min lettura

Gli attivisti ambientali di Ultima generazione e la repressione della società civile

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Rischiano fino a cinque anni di carcere i tre attivisti del collettivo ecologista Ultima generazione, che lunedì hanno lanciato vernice lavabile sulla facciata del Senato per protestare contro il cambio climatico. È la pena massima per il reato di danneggiamento aggravato contestato agli attivisti, arrestati in flagranza e rilasciati in giornata, dopo la convalida dell’arresto. L’aggravante si applica quando il reato è commesso durante una manifestazione pubblica, ed è stata introdotta con il secondo decreto sicurezza varato da Salvini nel 2019. La polizia e la procura di Roma hanno scelto di contestare il reato di danneggiamento anziché quello di imbrattamento, che prevede nel peggiore dei casi un anno di reclusione.

Il giorno dopo, denuncia Ultima generazione, la polizia ha prelevato dal suo albergo a Roma il portavoce del movimento Simone Ficicchia, impedendogli di partecipare a una trasmissione della Rai a cui era invitato. Su Ficicchia pende una richiesta di sorveglianza speciale della durata di un anno della questura di Pavia, motivata dalla partecipazione dell’attivista ventenne a numerose azioni di disobbedienza civile. La sorveglianza speciale è una misura prevista dal cosiddetto “codice antimafia”, e può comportare controlli a sorpresa da parte della polizia, il divieto di recarsi in determinati luoghi o a partecipare a manifestazioni. Le questure possono applicarla a soggetti giudicati socialmente pericolosi anche in assenza di condanne, sulla base di semplici indizi.

Sulla richiesta di sorveglianza speciale contro Ficicchia deciderà il tribunale di Milano il prossimo 10 gennaio. Se venisse confermata sarebbe la prima volta che una misura così dura viene inflitta a un attivista per il clima. Lo stesso Ficicchia, ha definito la richiesta un tentativo di “intimidazione”, specificando sulla natura della dimostrazione :“Le nostre azioni di oggi con la vernice o con la zuppa di pomodoro servono a evitare che, più avanti, qualcuno la faccia con le bombe”. 

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Quanto visto per la dimostrazione al Senato è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi in cui il codice penale è stato usato per limitare il diritto di protesta. Dai movimenti per la casa ai sindacati di base, dai braccianti stranieri alla militanza anarchica, sono centinaia gli attivisti che negli ultimi anni sono stati colpiti dalle misure di prevenzione previste dal codice antimafia. Nei casi più estremi le leggi sul crimine organizzato sono state usate contro organizzazioni umanitarie.

L’esempio più recente è quello di nove militanti del Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio, condannati lo scorso novembre dal tribunale di Milano per associazione a delinquere. Il comitato di residenti del quartiere della periferia di Milano, oltre a organizzare attività di doposcuola e mensa popolare, aiutava le persone senza casa o sotto sfratto a occupare gli appartamenti inutilizzati dell’ente pubblico di edilizia residenziale del capoluogo lombardo. Al momento degli arresti nel 2018, dopo due anni di indagini, gli inquirenti parlarono di un racket di occupazioni in cambio di soldi. La procura ha dovuto fare marcia indietro riconoscendo che l’attività del Comitato abitanti Giambellino non aveva scopo di lucro: gli unici soldi richiesti erano i dieci euro per la tessera annuale. Ma, sostengono i pubblici ministeri, c’era comunque la finalità illecita di acquisire consenso politico attraverso le occupazioni. Le pene inflitte dai giudici milanesi in primo grado, superiori a quelle richieste dalla procura, vanno da 5 anni e 4 mesi a un anno e 7 mesi di carcere.

Lo stesso schema accusatorio è stato usato dalla procura di Piacenza che lo scorso luglio ha ordinato l’arresto di sei dirigenti di due sindacati di base - il SI Cobas e l’USB - impegnati nelle lotte dei lavoratori della logistica. Il settore della logistica è caratterizzato dal ricorso massivo al subappalto di manodopera, spesso in condizioni di sfruttamento e con inquadramenti contrattuali illegali. I sindacati di base rispondono con frequenti picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche per impedire la circolazione dei mezzi di trasporto, ricevendo altrettanto frequenti denunce per violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale.

La procura di Piacenza è andata oltre, qualificando i due sindacati come associazioni a delinquere dedite ad “estorcere” migliori condizioni di lavoro alle aziende con la minaccia di scioperi e picchetti, al fine di aumentare il proprio consenso tra i lavoratori. L’ordinanza di arresto dettaglia gli introiti che i sindacati ricavano dalle tessere ed entra nel merito delle rivendicazioni economiche dei lavoratori, ritenute irragionevoli: “Non siamo di fronte a braccianti agricoli pagati un euro a cassetta di pomodori”, scrive la procura. “Tale digressione non va intesa in senso polemico ma costituisce la base del ragionamento che ha dato il via alle indagini”. Il tribunale del riesame di Bologna ha successivamente smontato l’impianto accusatorio, rimettendo in libertà i sindacalisti.

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Sono invece ancora agli arresti domiciliari, da maggio, quattro giovani torinesi incensurati, accusati di aver partecipato a uno scontro con la polizia durante una manifestazione di protesta per le morti degli studenti in alternanza scuola-lavoro. Le proteste furono portate avanti in tutto il paese, e le cariche della polizia contro gli studenti in diverse città, condannate da Amnesty Italia, furono anche oggetto di un’interrogazione parlamentare. L’europarlamentare Pina Picierno, insieme ad altri colleghi, chiese alla Commissione UE di intervenire per “verificare se vi sia stata violazione dei diritti fondamentali a danno di minorenni”. L’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese parlò di “gruppi infiltrati che cercavano disordini"

Ma anche quando non si arriva a un arresto o a una condanna, le denunce e le indagini giudiziarie hanno effetti molto pesanti sulla vita delle organizzazioni e dei loro militanti. In un recente comunicato 26 antifascisti di Carpi, in provincia di Modena, hanno detto di dover ancora sostenere “ingenti spese processuali” per una vicenda giudiziaria risalente al 2017 e che si è conclusa da poco, senza condanne: gli antifascisti si erano radunati in prossimità di un presidio del gruppo neofascista Forza Nuova e si erano messi a cantare Bella ciao. Un giudice di Modena aveva chiesto che i manifestanti fossero processati per adunata sediziosa armata con lo scopo di sovvertire l’ordine pubblico. Armata, perché pare che uno dei manifestanti impugnasse un moschettone.

I governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno assecondato la tendenza alla criminalizzazione delle manifestazioni pacifiche: da ultimo con il cosiddetto decreto “anti-rave” convertito in legge a fine anno, che nella sua versione iniziale andava a colpire potenzialmente anche le occupazioni scolastiche. Ma prima c’erano stati i decreti sicurezza di Salvini, durante il primo governo Conte, che hanno aggravato il reato di danneggiamento e reintrodotto il reato di blocco stradale. Una linea seguita anche dal centrosinistra: i “decreti Minniti” del 2017 hanno introdotto il cosiddetto “Daspo urbano”, consentendo a sindaci a prefetti di proibire l’accesso a certe aree delle città a soggetti ritenuti pericolosi.

In Italia, il vasto apparato di leggi originariamente concepite per combattere la mafia si presta a essere strumentalizzato per la repressione del dissenso. Repressione che ormai si presta a colpire non solo le organizzazioni politiche ma anche quelle umanitarie: si pensi alla campagna giudiziaria contro le ONG che soccorrono i migranti nel Mediterraneo, coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia. Ma il problema non è solo italiano: i gruppi ambientalisti in particolare sono nel mirino delle forze di polizia di tutta Europa, che hanno arrestato migliaia di attivisti per il clima nel 2022. In Germania i politici conservatori hanno chiesto la messa al bando della sezione tedesca di Ultima generazione, paragonandola al terrorismo rosso degli anni ’70.

Come riportava a fine anno su EuObserver, Benjamin Ward, vicedirettore di Human Right Watch per l’Asia centrale e l’Europa, la criminalizzazione della società civile nel nostro continente sta assumendo proporzioni preoccupanti, con conseguenze che ricadono sulla difesa dei diritti umani. Ward cita in particolare la situazione di Italia, Francia, Grecia e Regno Unito, scrivendo:

L’idea che uno stato possa legittimamente interferire con le organizzazioni della società civile solo perché non gli piace ciò su cui lavorano o che hanno da dire ha implicazioni preoccupanti per la salute della democrazia e la protezione dei diritti umani Le organizzazioni della società civile esercitano una funzione critica in una società democratica come controllo del potere esecutivo. La limitazione del loro lavoro mina questa funzione e, di conseguenza, incrina il tessuto democratico.

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La stessa Commissione europea, nella Relazione sullo Stato di diritto 2022, ha evidenziato come in alcuni Stati membri “le organizzazioni della società civile continuano a dover affrontare sfide come problemi di finanziamento, narrazioni negative e restrizioni al loro spazio operativo”.

Le reazioni politiche all’arresto degli attivisti di Ultima Generazione, fino alla decisione del Tg1 di non mostrare le immagini dell’imbrattamento, sembra incarnare le preoccupazioni dei difensori dei diritti umani: “abbiamo scelto di non mostrarvi le immagini del loro atto dimostrativo - ha detto il cronista della Rai - per sottolineare come questo tipo di proteste non possa essere accettato”. Ma non sta allo Stato né ai media stabilire le forme in cui deve esprimersi il dissenso pacifico dei cittadini, trattando le eccezioni come una minaccia da stigmatizzare o reprimere: la pretesa di irreggimentare l’attività politica incancrenisce la democrazia. E sorge il dubbio, quando la protesta e l’organizzazione politica sono trattate sistematicamente come questioni criminali e di ordine pubblico, se di democrazia si possa ancora parlare.

(Immagine in anteprima via WikiMedia Commons)

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