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Ungheria, il cavallo di Troia di Putin nell’Unione Europea

5 Dicembre 2023 6 min lettura

Ungheria, il cavallo di Troia di Putin nell’Unione Europea

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Il Consiglio Europeo che si riunirà il prossimo 14 e 15 dicembre rappresenta un giro di boa, proprio alla vigilia del secondo inverno di guerra in Ucraina. Aiuti militari e finanziari, rafforzamento delle sanzioni alla Russia e gli attesi negoziati per l’accesso all’UE saranno alcuni dei temi sul tavolo del summit di Bruxelles.

Si tratta di un vertice fondamentale per la tenuta politica dell’Ucraina, e proprio per questo fortemente osteggiato dal principale baluardo di Vladimir Putin in Europa: il premier ungherese Viktor Orbán, al suo quattordicesimo anno di governo di fila nella sempre più fragile democratura magiara.

Per questi motivi lo scorso 27 novembre il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è volato a Budapest a incontrare di persona il Miniszterelnök ungherese, nell’estremo tentativo di disinnescare la bomba a orologeria pronta a mettere per l’ennesima volta i bastoni fra le ruote all’Ucraina, nel momento politico-militare più duro per Kyiv dal 24 febbraio 2022.

L’incontro tra Michel e Orbán, durato due ore, è stato descritto dal premier ungherese come “utile”, senza tuttavia fornire dettagli ulteriori su eventuali avvicinamenti nella divergente strategia di Bruxelles e Budapest sulla futura integrazione ucraina. L’arma principale a disposizione dell’UE è quella di scongelare 13 miliardi di fondi post-Covid destinati all’Ungheria: 900 milioni sono stati sbloccati alla vigilia del vertice di Budapest del 28 novembre.

Rispetto allo scorso anno, l’obiettivo di Orbán è ben più ambizioso del semplice rallentamento dell’inevitabile flusso di aiuti da Bruxelles a Kyiv. Oggi le crepe interne dell’UE sono più visibili rispetto al 2022. Esasperarle, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e delle successive presidenziali americane, segnerebbe sia una vittoria locale per Orbán che una, ben più ampia, per Putin. Secondo POLITICO, che ha avuto accesso alla lettera del premier ungherese a Charles Michel, Orbán vuole bloccare tutti gli aiuti destinati dall’UE all’Ucraina, così come lo stesso accesso del paese nell’Unione.

In questi giorni, come riportato dal Guardian, il Consiglio Europeo è stato esortato da più parti a non acconsentire alle richieste Orbán scongelando i fondi. Lunedì l'europarlamentare tedesco Daniel Freund (Verdi) ha dichiarato che "se la Commissione decide diversamente, è solo per una ragione: sta cercando di placare Orbán che ha completamente esagerato con la sua minaccia di veto".

Se il prossimo summit del Consiglio europeo si concludesse con un nulla di fatto, ciò significherebbe un colpo senza precedenti al morale e alla speranza dei cittadini ucraini, come ha ribadito lo stesso Zelensky. D’altra parte, non si tratterebbe certo di un impasse risolvibile in tempi brevi.

In primavera gli organi dell’UE saranno paralizzati dal clima pre-elettorale, durante il quale difficilmente la priorità sarà allocare (e pubblicizzare) i nuovi fondi comunitari necessari ai bisogni ucraini per la ricostruzione e la difesa dall’invasione russa, un pacchetto finanziario da oltre 50 miliardi di euro.

Il clima politico continentale, dall’elezione ad ottobre dell’euroscettico Robert Fico in Slovacchia a quella più recente dell’estremista olandese Geert Wilders, gioca a favore di Orbán, e aggiunge diverse preoccupazioni in più alla – pur sempre larga – coalizione europea filo-ucraina.

In sostanza, la posizione di Orbán è netta e diverge completamente rispetto al processo avviato dall’Unione Europea nell’estate del 2022 e ribadito lo scorso 8 novembre dalla Commissione europea, che ha formalmente raccomandato di avviare le trattative sull’accesso dell’Ucraina (oltre che di Moldova e Bosnia-Erzegovina).

Secondo il primo ministro ungherese, la strategia dell’UE è errata alla base e l’Ucraina “non è pronta” nemmeno ad iniziare le negoziazioni preliminari all’accesso, essendo lontana “anni luce” dai requisiti comunitari. Una prospettiva però sconfessata dalla principale nemesi di Orbán, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha elogiato le riforme politiche dell’Ucraina definendole “profondamente degne di nota”. Sul lato opposto, il più importante rivale politico di Volodymyr Zelensky, l’ex presidente Petro Porošenko, è stato fermato su ordine dei servizi segreti ucraini mentre varcava il confine prima di incontrare, fra gli altri, proprio Orbán.

Il governo ungherese ha fatto partire la critica serrata nei confronti dei burocrati di Bruxelles in relazione al dossier Ucraina nell’ultimo mese, cioè esattamente dopo l’incontro tra Vladimir Putin e Viktor Orbán del 17 ottobre a Pechino. Si è trattato del primo incontro di un leader politico occidentale con il presidente russo dall’inizio dell’invasione in Ucraina Nell’occasione Orbán ha ribadito che l’Ungheria non è mai stata d’accordo nell’applicare le sanzioni occidentali nei confronti di Mosca.

In sintesi, i due leader hanno confermato la stretta vicinanza e i propri legami politici, economici e diplomatici, presentandoli come inscalfibili pure alla luce dell’isolamento internazionale del Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Il governo ungherese ha inoltre alzato la voce su altre questioni geopolitiche fondamentali per gli interessi russi in Europa: nonostante in precedenza Viktor Orbán avesse l’avesse descritta come una mera formalità, alcuni portavoce della camera legislativa magiara hanno dichiarato che il Parlamento ungherese “non è pronto” a ratificare la richiesta di adesione della Svezia alla NATO.

Già prima dell’incontro, però, Orbán aveva a più riprese chiarito che non avrebbe sostenuto l’Ucraina “su nessuna questione internazionale” adducendo a motivazione principale dell’ostracismo diplomatico un presunto mancato rispetto dei diritti linguistici degli ungheresi in Transcarpazia. Recentemente Orbán ha descritto la condizione degli ungheresi in Ucraina persino peggiore di quella dell’epoca sovietica.

La strumentalizzazione della questione linguistica è un antico capitolo delle ingerenze di Budapest in Ucraina, nel più ampio alveo del revanscismo nazionalista magiaro verso i paesi confinanti in cui sono presenti minoranze ungheresi, tra cui ci sono pure Romania, Slovacchia e Croazia.

Pure sugli esiti della guerra iniziata da Mosca, secondo il primo ministro ungherese non c’è “nessuna possibilità” per l’Ucraina di vincere sul campo di battaglia, una prospettiva peraltro condivisa a bassa voce da un numero crescente di alleati occidentali, e che sta condizionando il decrescente supporto militare nei confronti del paese invaso, influenzato dalla recente paralisi statunitense.

Proprio cercando di mobilizzare l’elettorato ungherese sulla questione del sostegno all’Ucraina, lo scorso 17 novembre il governo ungherese ha annunciato il lancio di una consultazione popolare, la dodicesima dal 2010, anno della prima elezione di Orbán. Degli undici quesiti, tutti introdotti dal manipolatorio incipit “Bruxelles vuole…”, ben quattro sono dedicati all’Ucraina: accesso all’UE, armi, sostegno finanziario e importazione di grano (specificato nel referendum come “geneticamente modificato”). 

L’obiettivo di indirizzare il malcontento degli ungheresi verso Kyiv e Bruxelles agisce su due piani. Da una parte, il partito di governo Fidesz ha perso più di cinque percentuali rispetto allo scorso anno, mentre secondo un altro sondaggio condotto dal giornale di opposizione Népszava oltre la metà dei cittadini magiari ha ritenuto “inaccettabile” l’incontro tra il proprio primo ministro e Vladimir Putin in Cina.

Ancor di più, il governo ungherese secondo diversi analisti starebbe cercando di deviare l’attenzione domestica e internazionale dall’implementazione di un “Ufficio per la protezione della sovranità nazionale”, il cui target sarebbero le generiche “forze oscure” evocate periodicamente da Orbán e dai suoi alleati politici per descrivere i burocrati di Bruxelles, la finanza internazionale e, nella pratica, ogni forma di opposizione interna.

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Le organizzazioni della società civile ungherese hanno da subito messo in luce l’intenzione primaria del progetto governativo: un’ulteriore repressione del dissenso interno e l’ennesima deriva di Budapest dagli standard democratici dell’Unione Europea. La proposta, estremamente vaga, e proprio per questo potenzialmente più pericolosa, ricorda in alcuni punti – quelli dedicati all’influenza e al finanziamento estero delle organizzazioni civili e politiche ungheresi – la celebre legge sugli agenti stranieri inventata dalla Russia putiniana.

Dopo aver definito l’Unione Europea come una cattiva parodia dell’Unione Sovietica, richiamando poi alla duplice occupazione dell’Ungheria passata e presente, Orbán si appresta a smantellare gli ultimi residui dello Stato di diritto ungherese. L’enfasi sui difetti democratici e politici dell’Ucraina, che impedirebbero l’accesso di Kyiv all’Unione, contribuiscono a nascondere l'ulteriore consolidamento illiberale del regime politico instauratosi a Budapest nel 2010, il più longevo tra gli Stati membri dell'UE.

Immagine in anteprima via WikiMedia Commons

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