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Omotransfobia, una legge contro odio e discriminazione che aspetta da 25 anni

15 Luglio 2020 10 min lettura

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Omotransfobia, una legge contro odio e discriminazione che aspetta da 25 anni

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Aggiornamenti

Aggiornamento 28 aprile 2021: Il Ddl Zan è stato ufficialmente calendarizzato in commissione Giustizia al Senato, dopo settimane di ostruzionismo messo in atto dal presidente della commissione Andrea Ostellari (Lega). «Finalmente ora può iniziare la discussione anche in questo ramo del Parlamento, per l’approvazione definitiva», ha commentato sui social Alessandro Zan, deputato Pd nonché relatore del disegno di legge.

Ostellari, dichiaratamente contrario alla legge, ha comunicato che sarà il relatore del Ddl. La decisione ha provocato diverse critiche. «Dispiace che il Presidente Ostellari abbia ritenuto di assumere il ruolo di relatore. In queste settimane ha dimostrato, purtroppo, di non avere a cuore l’imparzialità del suo ruolo: sono curiosa di capire come eserciterà, a questo punto, quello di relatore», ha commentato Monica Cirinnà, senatrice del Partito democratico. Secondo un'analisi di Pagella Politica, fra le varie ipotesi sulle conseguenze che questa decisione avrà sul percorso in Senato del Ddl Zan, "l’unica certezza è che la Lega – piazzando un suo senatore come relatore del provvedimento – dispone ora, e per i prossimi mesi, di un ampio spazio per mettere in atto nuove manovre dilatorie".

Aggiornamento 4 novembre 2020: Con 265 sì, 193 no e un astenuto, la Camera ha approvato il ddl Zan, il testo unificato delle proposte di legge di contrasto alla violenza e la discriminazione per motivi legati alla transomofobia, alla misoginia e alla disabilità. Adesso la proposta passerà all'esame del Senato. La legge, così come approvata dalla camera, estende le norme attualmente in vigore per i crimini d’odio previste dalla legge Mancino ai reati per omotransfobia, misoginia e abilismo.

Aggiornamento 29 luglio 2020: Dopo l’accordo di maggioranza e l’approvazione questa notte in commissione Giustizia del testo del ddl Zan contro l’omotransfobia, la Conferenza dei capigruppo della Camera ha stabilito che la proposta arriverà in Aula lunedì 3 agosto per la discussione generale.

 

 

Poco dopo la mezzanotte del 25 giugno un ragazzo di 25 anni stava passeggiando sul lungomare di Pescara mano nella mano con il suo fidanzato ventiduenne. Un gruppo di coetanei si è avvicinato, e ha iniziato a insultarli pesantemente in relazione alla loro omosessualità. «Froci», hanno urlato. Il ragazzo si è voltato e ha risposto «OK, e quindi?», e a quel punto è iniziata l’aggressione con calci e pugni, che gli hanno causato il ricovero in ospedale e la frattura della mascella sinistra.

Dal 17 maggio 2019 alla stessa data di quest’anno, l’associazione per i diritti Arcigay ha censito sulla stampa oltre 138 storie di omotransfobia avvenute in Italia. In 32 casi si è trattato di vere e proprie aggressioni, in 31 di discriminazioni o insulti in luoghi pubblici come bar o ristoranti, in 17 di infamanti su muri, auto, abitazioni. Nel conteggio rientrano anche 25 episodi di incitazione all’odio, sia online che offline, scatenato da esponenti politici, organizzazioni o movimenti. Secondo Arcigay, però, questa rilevazione non sarebbe che la punta dell’iceberg di una situazione più grave.

Stando ai dati raccolti dal progetto Hate Crimes No More del Centro Risorse Lgbti, il 73% delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ ha subito violenza di matrice omotransfobica. Pochissimi hanno denunciato l’accaduto.

I risultati dell’European LGBTI Survey 2020 – la ricerca realizzata dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali coinvolgendo un campione di circa 140 mila persone LGBTQ+ provenienti da 30 paesi diversi – dicono che il 38% degli intervistati ha dichiarato di evitare di tenere per mano il o la partner dello stesso genere in pubblico, per paura di molestie o aggressioni. Il 30% evita spesso o sempre determinati luoghi per paura di aggressioni e l’8% dice di aver subito aggressioni nei 5 anni precedenti all’indagine, ma solo il 16% si è rivolto alla polizia per denunciare (una media bassa in tutta l’UE, 14%). Circa il 92% ritiene che l’Italia non si impegni per nulla o quasi per nulla “in una lotta efficace ed effettiva contro l’intolleranza e il pregiudizio” nei confronti delle persone LGBTQ+, e solo l’8% pensa che il governo combatta efficacemente pregiudizi e intolleranza (la media europea è del 33%).

Il report dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali segnala come in Italia manchi ancora una legge che punisca l’odio e la discriminazione verso le persone LGBTQ+. Lo stesso rilievo si trova nella mappa Europe Rainbow dell’ILGA, che piazza il nostro paese 34esimo su 49 (e 23esimo su 27 membri UE).

Ieri la Commissione Giustizia della Camera ha adottato il testo base della proposta di legge sull’omotransfobia del relatore Alessandro Zan, del Partito Democratico, con il voto favorevole della maggioranza, l’astensione di Forza Italia (come “segno di apertura) e l’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia. Su quella bozza, i gruppi poi presenteranno gli emendamenti.

Sono venticinque anni che in Italia si discute di una legge contro l’omotransfobia, dalla prima proposta a firma di Nichi Vendola nel 1996. Ne sono seguite altre, sempre fortemente osteggiate dalle destre e dal mondo cattolico, nonostante i richiami di organismi internazionali. L’assenza di una normativa che punisca questi crimini, infatti, non è solo un problema ideologico. Come sottolineato da giornalista Simone Alliva, autore del libro “Caccia all'omo. Viaggio nel paese dell'omofobia”, «gli effetti di una mancata legge sono nelle cronache dei processi di aggressione omotransfobica che arrivano a sentenza ma senza l’aggravante».

Cosa prevede il disegno di legge sull’omotransfobia

La proposta di legge contro l’omotransfobia e la misoginia è arrivata in commissione Giustizia della Camera lo scorso 30 giugno, ma è stata presentata nel 2018. Il testo è una sintesi di cinque disegni di legge presentati da diversi partiti (Boldrini, Zan, Scalfarotto, Perantoni del Movimento 5 Stelle e Bartolozzi di Forza Italia).

Il disegno di legge mette sullo stesso piano la discriminazione su base razziale a quella in ragione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, intervenendo sul codice penale, e in particolare sugli articoli 604-bis e 604-ter in materia di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa. Alle previsioni questi articoli viene aggiunta la discriminazione fondata “sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.

Nell’articolo 604-bis, vengono estese “le condotte delittuose ivi previste anche alle ipotesi di discriminazioni, violenze o provocazione alla violenza, dettate da motivi di orientamento sessuale e identità di genere”.

Con le modifiche, dunque, per le discriminazioni per motivi di sesso, di genere, di orientamento sessuale e di identità di genere è prevista reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro per chiunque istiga a commettere o commette atti di discriminazione fondati su questi motivi, da 6 mesi a 4 anni per chiunque istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza e per chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza.

Non viene toccata invece la parte in cui l’articolo 604-bis parla di “propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”, che continua a non applicarsi alle discriminazioni per motivi di orientamento sessuale e identità di genere – nonostante questa sia una delle motivazioni di opposizione più sbandierate dalla destra. Come spiega il Servizio Studi della Camera, infatti, “nel modificare la lett. a) dell'art. 604-bis il testo base non amplia l'ambito di applicazione del reato di propaganda, ma solo del reato di istigazione a commette reati di discriminazione e del reato consistente nel compimento di tali atti”.

Per quanto riguarda l’articolo 604-ter, invece, la circostanza aggravante e l’aumento di pena fino alla metà si estende anche ai reati commessi “in ragione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere della vittima”.

L'articolo 3 interviene sulla Legge Mancino (decreto-legge n. 122 del 1993), che completa la legislazione di contrasto delle discriminazioni prevedendo le sanzioni accessorie in caso di condanna per discriminazione e ulteriori sanzioni penali.

Altre disposizioni riguardano poi l’istituzione della giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, l’incremento del Fondo pari opportunità della Presidenza del Consiglio, per finanziare politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere e per il sostegno delle vittime.

Il testo, si legge nell’introduzione alla proposta, riconosce la comunità LGBTQ+ come una “collettività composta da soggetti che possono essere particolarmente vulnerabili, in linea con una visione più moderna e inclusiva della società e nel tentativo di realizzare quella pari dignità che la Costituzione riconosce a ciascuna persona”.

Secondo Arcigay, la proposta “può rappresentare un importante avanzamento dell’attuale situazione di pressoché totale disimpegno da parte delle istituzioni sul tema delle discriminazioni verso le persone LGBTI+”. Ciononostante, secondo l’organizzazione il testo è migliorabile, ad esempio riguardo al “complesso tema della propaganda discriminatoria che, fatto salvo per il razzismo, resta un vuoto nel nostro ordinamento” o delle “teorie riparative, cioè dei percorsi a cui vengono sottoposte persone LGBTI+, spesso minori, per correggere un orientamento o un genere ritenuto non conforme alle attese”. Anche per altre associazioni e movimenti il ddl è un inizio, che però non deve subire compromessi al ribasso e deve essere accompagnato da ulteriori misure.

Le critiche alla proposta

Le prime critiche al disegno di legge contro l’omotransfobia sono arrivate dalla Conferenza episcopale italiana. Con una lettera, i vescovi hanno contestato che non ci sono “vuoti normativi” o “lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni” per combattere le discriminazioni contro le persone LGBTQ+, perché nel nostro ordinamento giuridico “esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”.

La preoccupazione della CEI è dunque che “un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui, più che sanzionare la discriminazione, si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione”. Circostanza però che non trova riscontro nel testo base adottato dalla Camera – dove, appunto, non viene toccato il reato di propaganda – e che era stata già smentita da un’intervista ad Avvenire del relatore Zan.

Il contrasto più forte alla proposta di legge arriva dalla galassia del Family Day, che tiene insieme movimenti e partiti di destra e organizzazioni ultra-cattoliche e contro la libertà di scelta. Secondo queste realtà, con la legge si vuole creare in Italia “un clima intimidatorio” nei confronti di “chi ritiene che l’umanità sia divisa in maschi e femmine e che i bambini abbiano diritto ad un padre ed una madre”. Idee che “si vogliono mettere fuorilegge in nome di un progetto legislativo privo di giustificazioni e razionalità, che è bene fermare in Parlamento prima che sia troppo tardi”. La proposta, però, come già spiegato, non mette “fuorilegge” nessuna idea (e oltretutto non affronta il tema della propaganda), si limita a punire aggressioni e discriminazioni e a tutelarne le vittime.

I movimenti “no gender” hanno iniziato una campagna di opposizione al disegno di legge, attraverso l’organizzazione di presidi in diverse parti d’Italia e giovedì davanti Montecitorio. Con loro gli storici alleati politici delle battaglie contro la comunità LGBTQ+, come il senatore della Lega Simone Pillon, che l’11 luglio è sceso in piazza a Perugia: “Non permetteremo mai che i miei figli vengano indottrinati dagli attivisti LGBT e dalle drag queen, e sempre insegneremo loro a rispettare tutti ma a pensare e ad agire da donne e da uomini liberi”, ha scritto in una nota, in cui continua a sostenere che la proposta contro l’omotransfobia metta in pericolo la libera espressione. “A pensarla così siamo tanti, tantissimi. La maggioranza degli italiani. Zan, Scalfarotto e la Boldrini vogliono metterci in galera? Venite ad arrestarci. Sapete dove trovarci”.

Il relatore Zan ha detto al Manifesto che si aspettava una tale reazione per una legge che «è già fallita cinque volte», ma che «le opposizioni per quanto numerose non sono tante quante sono le persone che aspettano da tanti anni una legge che le difenda».

Alcune critiche sono poi arrivate dal cosiddetto femminismo Terf, femministe radicali transescludenti, che in Italia trovano il loro riferimento in gruppi come Arcilesbica e Se Non Ora Quando, secondo cui il riferimento all’identità di genere contenuto della legge minaccerebbe la differenza tra uomini e donne, rendendo invisibili queste ultime. La proposta sarebbe sostituirlo con “transessualità”.

Una posizione che è stata un assist per giornali dell’area conservatrice e movimenti no gender, pronti a dire che “anche le femministe sono contro la legge sull’omofobia”.

Sebbene riceva grossa copertura mediatica, quella corrente è oggi però minoritaria nel femminismo (e sarebbe più corretto parlare di femminismi). Con una dichiarazione congiunta, 58 attiviste, giornaliste, scrittrici, attrici, intellettuali femministe sono intervenute nel dibattito sul ddl Zan: “Il testo punisce ogni forma di istigazione al compimento di atti discriminatori e violenti per motivi legati a sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Cosa c'è di problematico in questo elenco?”, scrivono, spiegando che in primo luogo, la legge non prevede nulla sulla rettificazione anagrafica del sesso, e in secondo che il concetto di identità di genere è “largamente acquisito nel nostro ordinamento, riconosciuto in testi di legge e in convenzioni internazionali”. Il termine transessualità, invece, non ha riscontri giuridici.

Secondo la lettera, il testo non sembra che “minacci l'esistenza di nessuna, che ampli anzi le forme di protezione da discriminazione e violenza a tutte le soggettività riconosciute. In più, non dimentichiamo che costituisce già l'esito di un dibattito e di un tentativo di incontro tra diverse sensibilità (…) Sostenere questa legge non significa rinunciare a un pensiero e a un’elaborazione sui nostri corpi, o abbracciare un neutro declinato al maschile”.

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Anche un gruppo di 200 donne lesbiche ha preso posizione pubblicamente, sostenendo che la violenza e la discriminazione non sono provocate dal sesso biologico o dalla quantità di ormoni, difendendo dunque l’espressione “identità di genere”.

La ricercatrice Giorgia Serughetti, tra le firmatarie della lettera delle 58 femministe, ha spiegato in un’intervista che esiste una matrice comune alla base di misoginia e odio contro le persone LGBTQ+, ed è l’ostilità «che si scatena nei confronti della manifestazione di stili di vita che non sono accettabili all’interno di uno schema gerarchico dei generi e delle sessualità. La misoginia è alla base dell’odio nei confronti degli uomini gay in quanto femminilizzati, così come delle persone trans che hanno varcato i confini fra i generi». Per Serughetti non c’è alcun pericolo di cancellazione delle differenze. L’unico rischio è che la legge possa non passare.

Immagine via Il Fatto Quotidiano

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