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Dire “non possiamo accogliere tutti” giustifica l’omissione di soccorso

29 Agosto 2019 8 min lettura

Dire “non possiamo accogliere tutti” giustifica l’omissione di soccorso

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Quando si parla di salvataggi in mare di rifugiati è diventato ormai prassi ricorrere all'argomentazione del “non possiamo accogliere tutti”, che merita attenzione trattandosi di una cornice particolarmente subdola. Trova infatti ampio spazio tra i soggetti che puntano a occupare quella parte di opinione pubblica che di solito è chiamata “moderata” o di “centro”. Non scordiamo a riguardo posizioni di spicco assunte dal Partito democratico, ossia il partito che nella narrazione “sovranista” dovrebbe essere tra gli alfieri del pericolo “multiculturalista”. “Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio”, scriveva Matteo Renzi nel libro Avanti!: un estratto del libro, finito su Facebook in un meme della pagina satellite Matteo Renzi News, fu accolto da polemiche e fornì un assist alla Lega per la più facile delle trollate. Senza dimenticare un altro esponente del Pd, il senatore Esposito, che ad Agorà bollò come “ideologica” la posizione di “salvare vite umane” delle Ong, perché “noi non ce lo possiamo permettere”. Salvo poi cercare maldestramente di correggere il tiro.

È un classico trucco che potremmo chiamare “la pesca del cerchiobottista”. Il primo passo è prendere una posizione estrema - totale chiusura delle frontiere - e sintetizzarla in slogan che fomentino l’opinione pubblica - per esempio “stop invasione”, “business dell’immigrazione”. Naturalmente gli slogan sono più efficaci se sono accompagnati da antagonisti e veri propri nemici - e quindi le Ong “taxi del mare” e l’uso di “clandestino” al posto di “straniero”, con conseguente criminalizzazione xenofoba. Poi per polarizzare il dibattito contrappongo questi slogan ad altri, esagerando o inventando di sana pianta posizioni politiche in antitesi - per esempio “la sinistra vuole accogliere tutti”, “la sinistra vuole la sostituzione etnica”, come se la posizione progressista fosse di collusione con chi ho individuato come nemico. Fatto ciò, ripeto il tutto come un rullo compressore, in attesa che altri mi vengano dietro.

Prima o poi arriverà qualcuno desideroso di sintonizzarsi col mitico elettore moderato, e perciò cercherà di mediare tra la prima posizione, che fa parte di un’agenda politica effettiva, e la seconda, creata per essere funzionale alla prima. Allora, colto da uno slancio cerchiobottista, si appellerà al buonsenso, come se non fosse a sua volta una posizione ideologica e mobile. Spiegherà che da una parte non si possono chiudere i porti, dall’altra non è che possiamo accogliere tutti. E sarà lui stesso, dalle colonne dei giornali, dagli studi di un talk-show, o da una piattaforma social a rimodellare ciò che chiama buonsenso, sedimentandolo un po’ più a destra, e contribuendo alla mistificazione del “moderatismo”.

Tra gli ultimi ad abboccare troviamo Angelo Panebianco. Sul Corriere della Sera, analizzando nella crisi di governo i rapporti tra Salvini e i suoi avversari (“nemici”) scrive:

Se la campagna è tutta centrata sulla necessità di sconfiggere il Diavolo, si perde di vista il fatto che il suddetto Diavolo è uno che dà risposte sbagliate a problemi reali. [...] In un modo o nell’altro bisogna pur mandare ai trafficanti di esseri umani giù fino in fondo all’Africa il messaggio secondo cui noi non siamo disposti ad accogliere tutti coloro che essi vogliono mandarci. Il modo di Salvini è sbagliato, viola le leggi del mare ed è anche inefficace. Bisogna scegliere un altro modo (soprattutto, tentare un qualche accordo in Europa). Ma l’esigenza c’è comunque. Non è una comunità nazionale quella che, di fronte a un problema così importante, non riesce a darsi una politica plausibile, rimanendo appesa al ricatto incrociato degli anti-migranti («tutti fuori») e dei filo-migranti («tutti dentro»). Entrambe le posizioni sono puerili e irrealistiche. Davvero non si può fare di meglio?

È tuttavia un elenco lungo quello di chi, fornisce a questa retorica una sponda di supposto buonsenso, che diventa un muro tra l’opinione pubblica e posizioni tradizionalmente più progressiste, poste così fuori da un dibattito incentrato solo e soltanto su una visione securitaria, o emergenziale, quindi avvolta da paura e irrazionalità. Questo riguarda l’immigrazione, certo, ma anche il Trattato di Dublino, la politica estera, l’integrazione e il suo indotto lavorativo, così come il contrasto di fenomeni come la tratta di esseri umani, il caporalato o lo sfruttamento della prostituzione, che prosperano nelle zone grigie o nell’illegalità. Aspetti di per sé complessi tutti schiacciati in questa cornice.

L’anno scorso, per esempio, a pochi giorni dalla conclusione del caso Diciotti, Il Foglio ha ospitato un botta e risposta tra il direttore Claudio Cerasa e Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto. Terreno della contesa il commento del primo a un articolo dell’Economist, che proponeva varie soluzioni per arginare quella xenofobia dove l’estrema destra pesca consenso. Dello scambio è interessante la sintesi che Cerasa fa dell’articolo dell’Economist. Bisogna trovare - riporta Cerasa - una terza via tra “estremisti sovranisti e umanitari”, tra “Salvini e Saviano”, stabilendo un arbitrario gioco a somma zero tra posizioni ugualmente “pericolose”:

la ragione per cui un numero sempre maggiore di persone subisce il fascino dei Salvini, dei Kurz e degli Orbán è che allo stato attuale contro la retorica pericolosa veicolata dal messaggio “stop all’immigrazione” viene utilizzata un’altra retorica altrettanto pericolosa che è quella veicolata dal messaggio “accogliamoli tutti”.

Solo che l’Economist nell’originale parla di sostenitori della “liberal migration”, tra cui annovera la stessa testata. Dà quindi un punto di vista interno di chi è a favore a politiche di accoglienza e integrazione, cercando di ricalibrare la parte propositiva. Lo stesso Manconi fa infatti notare qualcosa che, al di fuori del botta e risposta, è evidente a chiunque segua queste tematiche:

Al di là delle elaborazioni culturali e delle opzioni morali men che minoritarie, di un libro qua e di una ricerca là, vedete un campo e un insieme di programmi e di politiche, di scelte economiche e di provvedimenti legislativi e istituzionali, che possano costituire quella “visione politica” così perniciosa da aver prodotto tanti disastri? [...] Ma quali soggetti organizzati, quali partiti e sindacati, quali associazioni imprenditoriali hanno non dico praticato, ma anche solo predicato, l’“accogliamoli tutti”, alimentando l’opposto estremismo?

Se guardiamo ai programmi elettorali del 2018, l’idea che si debba accogliere indiscriminatamente chiunque, non si trova né nelle proposte del Partito democratico, né in quelle di Liberi e Uguali, né di +Europa. Il tema dell’immigrazione, anzi, occupa tutto sommato un ruolo marginale, è trattato quando si parla di Europa o diritti, per estensione o specificazione. Mentre in quello della Lega viene per terzo (dopo Tasse e Pensioni), e nell’introduzione leggiamo:

Nessuno deve sentirsi costretto a lasciare il proprio Paese e le proprie radici per ragioni economiche. Possiamo davvero aiutare le aree del pianeta più svantaggiate sostenendo progetti in loco, non certo accogliendo tutti. L’Africa in Italia non ci sta!

La presunta ragionevolezza di chi accoglie l’idea del “non possiamo accogliere tutti”, questo paternalismo di chi, insomma, vuole inculcare senso pratico e realismo, contribuisce come detto a creare degli spostamenti nel dibattito pubblico. Se pensiamo alla gestione dei fenomeni migratori del governo Conte, e in particolare della propaganda e dell’operato (in ordine di tempo dedicato) dell’ex Ministro dell’Interno, l’effetto è quello di sgombrare dal dibattito un principio umano basilare, il salvare vite - sgombero di cui un certo tipo di retorica è corresponsabile. Quando qualcuno dice “non possiamo accogliere tutti”, sta in pratica dicendo sottovoce “lasciamoli crepare”. Di giorno in giorno, di slogan in slogan, si prepara il terreno perché sia ammissibile dire a voce alta il secondo al posto del primo. Non si tratta di essere “pro-migranti” o “contro-migranti” come scrive Panebianco, è bene ribadirlo: si tratta di essere pro o contro l’omissione di soccorso. Di capire che siamo arrivati a un punto in cui si impedisce alle Ong anche di far volare gli aerei che permettono gli avvistamenti di potenziali naufraghi, come denunciato in questi giorni da Sea Watch.

Occorre fare molta attenzione a questo punto, perché il principio del dover salvare vite ricorre in altri ambiti della società, non certo solo nel diritto nautico. Pensiamo ad esempio al giuramento di Ippocrate, al principio secondo cui un medico non può arbitrariamente decidere se una persona in gravi condizioni sia degna o meno di vivere. O pensiamo all’omissione di soccorso stradale, a come è sanzionato penalmente e moralmente chi scappa di fronte a un ferito. Immaginiamo allora cosa sarebbero le nostre strade, o il nostro sistema sanitario, se nel dibattito pubblico molte voci in apparenza pragmatiche iniziassero a dire “non possiamo curare tutti”, “non possiamo soccorrere tutti”, magari tuonando contro “il business della sanità”, “la pacchia assistenzialista”. Cosa sarebbe se, di fronte al cinico e spregiudicato arbitrio che alcuni si arrogano di fronte all’incolumità altrui, diventasse un po’ meno certo che tanto a noi non toccherà mai stare dalla parte sbagliata. Eppure il decreto sicurezza-bis questo ha fatto: ha creato un precedente di alto livello per la criminalizzazione a norma di legge di chi salva vite, incitando all’omissione di soccorso come prassi securitaria. Ma se incontrate un ferito per strada, chiamate il pronto soccorso o frugate il suo portafogli per controllare che abbia i documenti?

Ci sono poi, proprio a voler essere pragmatici, aspetti che questo tipo di retorica tralascia nel momento in cui vorrebbe passare per realista, e per cui, in primo luogo, verrebbe da chiedere ai Panebianco di turno: davvero pensi che i trafficanti si facciano il problema dell’accoglienza? Davvero pensi che pratichino una specie di formula “soddisfatti o rimborsati”? O che esista un TripAdvisor per migranti e rifugiati che vede l’Italia in cima alle preferenze, ragion per cui da Africa e Medio Oriente c’è continuamente la fila per venire da noi, e nei forum tematici si danno consigli tipo “donne, mi raccomando, non fatevi mettere lo smalto”? Se c’è stata un’emergenza, in quest’ultimo anno, è passata per gli psicodrammi politici e i casi montati strumentalmente a ogni Ong che chiedeva di approdare, o ha riguardato paesi come la Libia?

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Su quest’ultimo punto, come ricordato da Matteo Villa dell’Ispi, nel 2019 solo il 9% delle persone sbarcate in Italia è arrivato a bordo di una nave di proprietà di una Ong. Eppure, nel giugno scorso, mentre il Ministro dell’Interno via Facebook e Twitter, o prontamente rilanciato da tivù e giornali, metteva in scena una sorta di guerra personale alla Sea Watch e alla sua capitana, Carola Rackete, dipinta come una pericolosa criminale, proprio in quei giorni gli sfilavano sotto il naso gli sbarchi autonomi, ovvero quelli senza salvataggio. Un fenomeno ben più rilevante e significativo, su cui però la propaganda di solito preferisce tacere, forse perché certi sono temi difficili da sintetizzare in tweet conditi da bacini. Ma se fosse davvero un problema di sicurezza, se esistesse davvero il pericolo che in ogni persona che sbarca senza documenti possa nascondersi un potenziale terrorista o una qualunque minaccia, allora l’attenzione andrebbe rivolta agli sbarchi autonomi e agli sbarchi “fantasma” (i piccoli natanti che arrivano sulle spiagge italiane di notte, sfuggendo all'identificazione).

Chi sposa la retorica del “non possiamo accogliere tutti” non solo prova a buttare sotto un tappeto di buonsenso contraffatto il dovere di salvare vite, ma abbraccia una totale assenza di comprensione del contesto dei fenomeni migratori, senza neanche essere visitato dal sospetto di dover colmare la lacuna. Ciò mentre all’orizzonte incombono gli avvertimenti sul rischio dei migranti climatici, che costituiranno sì un’emergenza, e una crisi umanitaria ben oltre gli scenari attuali. Secondo un rapporto della Banca mondiale, la scarsità di acqua e risorse da qui al 2050 coinvolgerà oltre 143 milioni di persone tra Africa subsahriana, Asia meridionale e America latina. Quando queste ondate migratorie si propagheranno, esondando dalle fragili porte chiuse della propaganda nazionalista, cosa diranno i sedicenti moderati, “visto? Ve l’avevo detto che non potevamo accoglierli tutti”?

Immagine via Mediterranea

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