La storia di Dana Lauriola, l’attivista No Tav “punita col carcere per aver espresso pacificamente il suo dissenso”
8 min letturaAggiornamento 15 aprile 2021: Dana Lauriola esce dal carcere. Il Tribunale di Sorveglianza ha accolto la richiesta di misure alternative presentata dall'avvocata dell'attivista NoTav. Il giudice ha quindi disposto la detenzione domiciliare. Diversi artisti, musicisti ed esponenti della società civile avevano lanciato nei giorni scorsi un appello per la sua liberazione.
All’alba dello scorso 17 settembre alcuni agenti della Digos si sono presentati a casa dell’attivista e portavoce del movimento No Tav Dana Lauriola, a Bussoleno, in Val di Susa.
Lauriola è stata arrestata e portata nel carcere Le Vallette di Torino, dove deve scontare una pena di due anni di detenzione dopo una sentenza definitiva per un episodio avvenuto nel 2012 durante un’azione dimostrativa pacifica sull’autostrada Torino-Bardonecchia. Gli attivisti avevano bloccato con il nastro adesivo l’accesso ad alcuni tornelli del casello, facendo passare le auto senza pagare. Lauriola spiegava al megafono le ragioni della manifestazione, e indirizzava le macchine.
Per quell’episodio l’attivista – che ha 38 anni - è stata condannata con le accuse di “violenza privata” e “interruzione di servizio di pubblica necessità”, e le è stata negata l’applicazione di misure alternative richieste dalla difesa.
Gli attivisti No Tav – che si erano radunati davanti casa di Lauriola a Bussoleno durante l’arresto – hanno parlato di “un blitz in pieno stile per portare in carcere una donna, una compagna la cui unica colpa sarebbe quella di aver gridato le motivazioni del nostro No al Tav in un megafono”.
La polizia è arrivata di fronte a casa di Dana, un intero quartiere di Bussoleno è militarizzato, ma si riesce ancora a...
Pubblicato da Notavinfo Notav su Mercoledì 16 settembre 2020
La notizia della condanna e dell’imminente trasferimento in carcere di Lauriola era arrivata già prima del 17 settembre. Per questo motivo per diversi giorni prima dell’arresto, gli attivisti del movimento No Tav avevano organizzato un presidio fisso davanti casa sua, per protestare contro una decisione “assurda e ingiusta”. «Sono serena. Andrò in carcere, ma la notizia non giunge inaspettata. Ho semmai la fortuna di poter salutare famiglia e amici prima che vengano a prendermi», aveva detto Lauriola durante una delle mobilitazioni prima dell’arresto. «Credo che in prigione mi prenderanno in giro: sono l’unica in Italia ad andarci per un mezzo blocco stradale».
Recentemente, il 12 ottobre, il Tribunale di Torino ha emesso una nuova condanna – che aggiunge ulteriori giorni di detenzione - nei confronti della donna, anche in questo caso con riferimento alla sua attività di speaker durante una manifestazione No Tav, stavolta nel 2013: durante un presidio davanti al Palagiustizia, ci furono degli scontri tra attivisti e forze dell’ordine e Lauriola spiegò al megafono le ragioni della protesta e criticò il comportamento della polizia.
I fatti del 2012 e la sentenza
Il 3 marzo 2012 circa 300 attivisti del movimento No Tav si erano riuniti sull’autostrada Torino-Bardonecchia all’altezza del casello di Avigliana per protestare contro la costruzione della linea di alta velocità. L’azione era durata in tutto circa venti minuti: una decina di manifestanti aveva bloccato con il nastro adesivo l’accesso ad alcuni tornelli, facendo passare le automobili senza pagare il pedaggio. Altri attivisti No Tav, nel frattempo, sventolavano bandiere ed esponevano striscioni. Lauriola parlava al megafono, indirizzando le auto e spiegando le motivazioni del blocco ai passanti.
Come ricostruisce il sito di Amnesty International – tra le organizzazioni ad aver mostrato solidarietà a Lauriola – le azioni messe in piedi dal movimento No Tav nel mese di marzo 2012 “si iscrivono in una più ampia mobilitazione della Val di Susa che aveva per oggetto la contestazione degli espropri di alcune terre da parte delle forze dell’ordine per proseguire con la costruzione della linea di alta velocità Torino-Lione. Mobilitazione che aveva coinvolto anche ventitré sindaci della Valle, tra cui quello di Bussoleno”.
Pochi giorni prima del blocco del casello di Avigliana, il 27 febbraio 2012, l’attivista No Tav Luca Abbà, proprietario di uno di quei terreni, si era arrampicato su un traliccio dell’alta tensione per protesta. Come ha raccontato in seguito, per timore di essere raggiunto da un agente è salito troppo in alto, ed è precipitato per 10 metri dopo essere stato folgorato da una scossa elettrica. Dopo alcuni giorni di coma e mesi di degenza, è stato poi dimesso dall’ospedale di Torino, dove era arrivato in condizioni molto gravi.
L’episodio del traliccio aveva scatenato nuove mobilitazioni in Val di Susa e in altre città italiane, tra cui anche l’azione al casello di Avigliana, per la quale, oltre Lauriola, sono state denunciate altre undici persone, poi tutte condannate a pene tra gli uno e i due anni di detenzione – per complessivamente 18 anni di carcere. Tra loro c’è anche Nicoletta Dosio, l’ex professoressa di 74 anni e storica militante No Tav arrestata lo scorso dicembre. Dopo alcuni mesi di carcere, le sono stati concessi i domiciliari grazie alle misure del governo per ridurre il sovraffollamento ed evitare i contagi durante l’emergenza sanitaria della COVID-19.
Anche Dosio, come Lauriola, era stata condannata per violenza privata e interruzione di pubblico servizio e aveva sempre dichiarato di non voler chiedere misure alternative e di essere pronta ad andare in prigione: «Il carcere non è uno luogo di riscatto ma di pena, però più forte del timore del carcere è la rabbia per l’ingiustizia. Questa è una resistenza, perché sappiamo di essere dalla parte della ragione». Degli altri condannati per l’azione di Avigliana, nessuno ha ottenuto la sospensione condizionale della condanna, ma hanno chiesto al Tribunale di sorveglianza misure alternative.
La società SITAF, gestore dell’autostrada, ha chiesto un indennizzo di 25mila euro agli imputati per i fatti del 3 marzo 2012, cifra che comprenderebbe anche un danno d’immagine dato dalla possibilità che i turisti potessero smettere di passare da quel tratto per paura di manifestazioni del movimento No Tav. Il danno materiale quantificato dal Tribunale è stato invece di soli 777 euro, corrispondenti ai mancati pedaggi di quella giornata, e rimborsati da tutti gli imputati.
Sette anni dopo l’azione pacifica di Avigliana, a giugno del 2019, la Corte di Cassazione aveva confermato la sentenza di due anni di carcere per Lauriola. Qualche mese dopo, a novembre, la difesa aveva chiesto la misura alternativa dell’affidamento in prova, in una cooperativa – la Aeris – dove l’attivista già lavorava dal 2015 nel campo del reinserimento sociale delle persone senza fissa dimora. Solitamente, si legge nella nota di Amnesty, questa misura “è accordata per reati lievi di questa natura e in assenza di una valutazione sulla pericolosità sociale”.
Il 14 settembre, però, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rifiutato tutte le misure alternative richieste, e ha dato il via libera all’arresto. «È la prima volta in trent’anni di lavoro che vedo una situazione del genere. Gli assistenti sociali ministeriali hanno dato parere favorevole alle misure alternative, ma sono state respinte. È una situazione incredibile», ha affermato Claudio Novaro, legale di Lauriola.
Nelle motivazioni di questa decisione, il giudice scrive che l’attivista lavorava, ed era dunque “normoinserita” e non rappresentava pericolosità sociale. La necessità dell’arresto è giustificata dal mancato pentimento rispetto all’attivismo con il movimento No Tav e, prosegue il comunicato di Amnesty, viene menzionata “la sua scelta di risiedere a Bussoleno, luogo che la esporrebbe, secondo il documento legale, al ‘concreto rischio di frequentazione dei soggetti coinvolti in tale ideologia (No Tav)’ e dove ‘potrebbe proseguire la propria attività di proselitismo e di militanza ideologica’”.
Proprio questo punto è stato quello più contestato dagli attivisti, dalle associazioni e anche dalla sindaca di Bussoleno, Bruna Consolini: «Non discuto le azioni del movimento, ma da cittadina mi turba sapere che chi vive in Val di Susa possa affrontare da una condizione sfavorevole la giustizia italiana», ha detto quando si è diffusa la notizia della decisione di negare le misure alternative. Secondo Alberto Perino, uno dei leader storici No Tav, «qui si condanna un movimento, si colpiscono idee e persone».
Dopo sei giorni di carcere, il primo ottobre, Lauriola ha scritto una lettera, in cui raccontava di trovarsi ancora nella sezione nuovi giunti, dove “le celle sono chiuse 24 ore su 24. Si esce solo per andare all’aria, farsi la doccia, incontrare avvocati ed eventualmente per chi lo richiede educatrici, psicologa, prete ecc”. Come ha poi spiegato in una lettera successiva, questa condizione di isolamento chiusa in cella è durata per diciannove giorni: “La difficoltà più grande è riuscire a trovare ogni giorno l’energia per fare cose, per dare un senso a questa non vita, per rimanere attivi, sintonizzati con l’esterno. Il fatto che amo molto leggere di sicuro mi aiuterà in questo percorso e le altre detenute, che anche qui in terza sezione, mi stanno accogliendo bene. Tutte ormai conoscono la mia storia e si ricordano di Nicoletta, che mi ha preceduta pochi mesi fa”.
Con un comunicato pubblicato sul sito, l'Associazione Nazionale Giuristi Democratici ha definito "inaccettabile e inspiegabile" il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza che ha respinto le richieste di affidamento in prova o di detenzione domiciliare, e ha criticato le motivazioni alla base della decisione. Queste ultime, hanno ricordato i Giursti Democratici, "si basano su due aspetti principali: il fatto che Dana non abbia preso le distanze dal Movimento No-Tav, (quasi che anche solo la simpatia fosse sintomo di pericolosità) e la circostanza che il luogo della sua abitazione sia in Valsusa, all'interno, perciò, dei territori in cui vive l'opposizione alla linea ferroviaria Torino-Lione". Quindi, "ciò che fa ritenere Dana pericolosa socialmente, al punto di doverla costringere a scontare in carcere la pena, pur essendo incensurata prima di questa condanna, è il fatto di non aver abdicato ai suoi ideali e di aver scelto come luogo di residenza proprio quella Valle ritenuta in sé pericolosa per il movimento che ospita ormai da 30 anni".
L’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, prosegue il comunicato, dimostra, ancora una volta, "come siamo di fronte all'applicazione di quel 'diritto penale del nemico' che si allontana sempre più dal diritto penale classico applicabile a ogni cittadina e cittadino".
Anche se, secondo l'associazione, la responsabilità principale dell'attuale situazione va fatta risalire alla sentenza di primo grado, che "non solo ha irrogato una pena spropositata, ma non ha concesso a nessuno degli imputati la sospensione condizionale della pena, pur sussistendone, in astratto, la concedibilità": il Tribunale di Torino, infatti, "come troppo spesso accade, ha irrogato una pena per il reato di violenza privata e di interruzione di servizio di pubblica necessità lontana dalla pena edittale minima, ma soprattutto dai criteri di applicazione delle pene in altri processi per identici reati; la sentenza è stata, poi, confermata in sede di appello e di Cassazione".
Attivisti, militanti e persone vicine alle istanze No Tav hanno spesso denunciato una criminalizzazione del movimento e un “accanimento giudiziario” da parte della procura di Torino – la quale nel 2013 l’aveva addirittura equiparato a un gruppo terrorista, accusa caduta grazie a una sentenza della Cassazione del 2017.
"Non possiamo che protestare vivamente contro provvedimenti di questo tenore", si legge nel comunicato dei Giuristi Democratici, "chiediamo pertanto che la magistratura, soprattutto torinese, comprenda le ragioni della protesta e del dissenso sociale ed adegui le pene, quando le responsabilità siano accertate, in considerazione delle motivazioni sociali alla base dei comportamenti che le hanno determinate, tornando a considerare la pena un istituto volto alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, come disposto dall'articolo 27 della Costituzione ed a rammentare il principio di concreta offensività della condotta, almeno in collegamento con la residua pericolosità del condannato. Principi che nel caso di Dana Lauriola non appaiono minimamente rispettati".
Secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, «esprimere il proprio dissenso pacificamente non può essere punito con il carcere. L’arresto di Dana è emblematico del clima di criminalizzazione del diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione non violenta, garantiti dalla Costituzione e da diversi meccanismi internazionali».
Aggiornamento 15 ottobre 2020: È stato aggiunto il comunicato dell'Associazione Nazionale Giuristi Democratici.
Immagine via TG Vallesusa-Info Notizie