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Come i media dovrebbero riportare le notizie sulla salute mentale

3 Maggio 2021 8 min lettura

Come i media dovrebbero riportare le notizie sulla salute mentale

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Non si è mai parlato così tanto di salute mentale nelle interazioni sociali e nel dibattito pubblico come in questi primi mesi del 2021 ma non ci sono ancora i presupposti per una efficace e duratura sensibilizzazione.

Se teniamo conto solo della copertura delle notizie sulla salute mentale da parte dei media tradizionali possiamo notare alcuni elementi ricorrenti: il linguaggio sensazionalistico, la presentazione di dati tanto clamorosi quanto privi di affidabilità, la scelta di immagini impressionanti, la mancata distinzione tra disagio associato alla pandemia e disturbi mentali, la noncuranza per la riservatezza e per la tutela delle persone intervistate, il coinvolgimento di esperti che convalidano i messaggi allarmistici, la semplificazione e la strumentalizzazione a fini politici, l’assenza di riferimenti ai servizi di aiuto.

Tutti questi elementi tendono a essere presenti contemporaneamente in una notizia, portando chi legge o ascolta a immediato turbamento e panico che possono minare ulteriormente il proprio stato se ci si trova in un periodo di crisi.

Questo non accadrebbe se i media e i produttori di notizie si attenessero alle raccomandazioni della comunità clinica e scientifica sulla copertura dei temi di salute mentale. L’adesione a tali raccomandazioni è ancora più rilevante nell’attuale situazione di disagio generalizzato derivante dalla prolungata pandemia, dato che una comunicazione approssimativa può portare ad assimilare appropriate paure, preoccupazioni e rabbia a malattie mentali non accertate.

Un’informazione irresponsabile consolida gli stereotipi sulle persone che affrontano condizioni psichiatriche, accresce lo stigma e l’isolamento, crea un clima ostile all’ascolto e alle richieste di aiuto.

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Non si può dire che le istituzioni facciano la loro parte. Mancano le campagne di sensibilizzazione da parte delle rappresentanze degli specialisti della salute mentale – che per una maggiore visibilità talvolta si lasciano andare a pericolose semplificazioni – e degli organi governativi competenti.

A dire il vero, lo scorso ottobre il Ministero della Salute aveva presentato lo spot “Si cura”, in onda sulle reti Rai dal 6 al 10 ottobre, Giornata mondiale della salute mentale, per lottare contro lo stigma e i pregiudizi e la Sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa aggiungeva: “Bisogna abbattere il muro che confina in uno spazio muto il disagio, perché non c’è salute senza salute mentale”.

Anna Foglietta e Paolo Calabresi passeggiano in un parco, l’uno accanto all’altra, e parlano. “C’è questo mio amico – le confida lui un po’ preoccupato - che dice che quando passa di qua, questa statua si gira e lo fissa”. Lei subito lo tranquillizza: “Si cura”. L’uomo precisa: “Sicuro!" La donna nuovamente lo rasserena: ”Si cura. Il disturbo mentale è una malattia come le altre. Può capitare ma si può curare”. Infine gli rivolge un invito: “Se senti che qualcosa non va, parlane con il medico”.

Tuttavia, la mancata enfasi sull’ascolto e l’invio al medico di medicina generale e non agli specialisti di salute mentale tendono a vanificare le intenzioni del messaggio.

Un’altra iniziativa governativa è la costituzione - con decreto del 26 gennaio 2021 a firma della Sottosegretaria Zampa – di un tavolo tecnico sulla salute mentale presso la Direzione Generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute rivolto a “predisporre linee guida, linee di indirizzo e documenti scientifici”, “verificare l’appropriatezza e la qualità dei percorsi di trattamento e riabilitazione”, “individuare e affrontare, alla luce dei dati del Sistema informativo salute mentale, l’esistenza di eventuali criticità nei servizi territoriali”, “proporre azioni operative e normative per favorire l’attuazione dei più appropriati modelli di intervento per la diagnosi, la cura e la riabilitazione psicosociale”.
Tra le azioni non è inclusa al momento una campagna di sensibilizzazione nazionale che non sia limitata alla giornata mondiale sulla salute mentale.

Le campagne governative come Beyond Blue in Australia (dal 2000), Opening Minds in Canada (dal 2009) e l’iniziativa Time To Change in Inghilterra (dal 2008), con le loro specificità sui temi, sulle partecipazioni istituzionali, sulle popolazioni a cui erano rivolte, sul contributo di persone famose che rivelavano la loro diagnosi e il percorso di cura, si sono dimostrate parzialmente efficaci nel cambiare gli atteggiamenti delle persone verso le malattie mentali, nel ridurre lo stigma, nel riconoscere pari diritti, nell’incrementare le richieste di aiuto e nel fornire ai media gli strumenti per un’informazione responsabile. Si tratta di campagne che devono essere radicate sui territori, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, diffuse attraverso i diversi media e adattate ai contesti.

A partire dalle diverse iniziative nazionali, nel 2012 è stata fondata la Global Anti-Stigma Alliance (GASA) che riunisce oltre al gruppo principale comprendente Australia, Canada, Danimarca, Inghilterra, Nuova Zelanda, Scozia e Stati Uniti anche i programmi anti-stigma di Repubblica Ceca, Hong Kong, Irlanda, Paesi Bassi, Irlanda del Nord, Portogallo, Spagna e Catalogna, Svezia e Galles.
All’interno di tali programmi sono state redatte anche diverse guide pratiche per la copertura responsabile delle notizie sulla salute mentale. Abbiamo fatto riferimento a queste e ad altre fonti sottoindicate per stilare la guida pratica che presentiamo nella sezione grafica.

“L'assenza di conoscenze sulla salute mentale crea un vuoto riempito da inesattezze e mezze verità”, scrive la psicologa Lucy Foulkes, ricercatrice all’UCL – University College di Londra e autrice del libro di recente pubblicazione in inglese ‘Losing our minds’.

Foulkes sottolinea come tutte le normali emozioni ed esperienze negative tendano a essere etichettate come disturbi mentali o come problemi che devono essere risolti immediatamente. Si tratta di un fenomeno diventato ancora più diffuso in questo secondo anno di pandemia, in cui sono anche alcuni esperti di salute mentale ad allarmare su reazioni di disagio psicologico che sono invece appropriate e temporanee. “La tristezza, lo stress e la preoccupazione fanno parte della condizione umana. La medicalizzazione di ciò che dovrebbe essere considerato normale e la categorizzazione di tutta la sofferenza come un disturbo non aiuta nessuno”, scrive Foulkes, aggiungendo che la sofferenza psicologica è sempre esistita e ci sono modi per parlarne che vanno oltre il considerare tutti malati. Gli eventi stressanti e i problemi economici e sociali possono aumentare il rischio di disturbi mentali ma non tutte le persone che vivono situazioni di stress sviluppano una malattia mentale. Inoltre, come chiarisce Lucy Foulkes, non è sufficiente avere dei pensieri ricorrenti su un evento per soffrire di un disturbo post-traumatico da stress, né avere un umore basso per essere depressi. Sono entrambi dei sintomi che diventano disturbo accertato da una diagnosi clinica solo se associati ad altri, a una gravità moderato-severa e per lungo tempo. “Altrimenti sono solo emozioni, pensieri e comportamenti negativi: normali, anche se spiacevoli, esperienze umane. Ma ora, nei media e nelle discussioni pubbliche […], questa sfumatura si perde. Sintomi singoli e relativamente lievi di una malattia mentale sono identificati con essa”.

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La narrazione di un’emergenza psicologica generalizzata che caratterizza questi mesi – c’è chi parla di “psicopandemia” - porta con sé tre conseguenze: 1) Una descrizione inaccurata e fuori contesto ma dettagliata di alcune condotte incrementa i comportamenti di emulazione; 2) Per ricevere più ascolto e attenzione le persone che sperimentano sintomi lievi devono drammatizzare sempre di più il proprio disagio aumentando la probabilità di accedere al pronto soccorso; 3) Si restringono ulteriormente le risorse e gli spazi di diagnosi e cura per le persone che hanno un esordio di malattia mentale o che devono proseguire una terapia, integrare un trattamento, effettuare i controlli, partecipare a progetti di inserimento professionale e sociale.
Ne risulta che una maggiore attenzione al disagio psicologico, quando stimolata da una comunicazione semplicistica e sensazionalistica, generi più confusione che conoscenza sulla salute mentale e lasci intatti i pregiudizi, lo stigma e l’esclusione dalla società e dai diritti civili di chi vive con una malattia mentale.

Una comunicazione responsabile e accurata sulla malattia mentale aumenta la consapevolezza, sfata i miti, migliora il linguaggio e l’accuratezza della narrazione e contribuisce a sensibilizzare la popolazione e le istituzioni.

Aspetti da considerare per una copertura responsabile sulla salute mentale

Linguaggio
La scelta non ponderata dei termini adottati può danneggiare le persone che stanno vivendo con una malattia mentale oltre a presentare inesattezze sulla malattia o sulla cura delle malattie mentali (continua nella sezione grafica).

Immagini
La scelta affrettata di materiali multimediali che accompagnano una notizia può rinforzare le credenze e lo stigma sulla salute mentale.

Per una scelta accurata e responsabile, NON usare:

  • Fotogrammi da film come Psycho, Shining o Qualcuno volò sul nido del cuculo
  • Immagini di reparti ospedalieri o di pazienti ricoverati, a meno che non siano strettamente rilevanti per la notizia
  • Immagini di pillole
  • Immagini scure, angoscianti o minacciose
  • Immagini che raffigurano violenze, a meno che non siano strettamente rilevanti per la notizia

Servizi di aiuto
Nella copertura di notizie di cronaca sulla salute mentale assicurarsi di includere le linee telefoniche e i contatti verificati dei servizi di supporto accessibili per incoraggiare le richieste di aiuto nella popolazione

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Interviste
Prima di condurre un’intervista con una persona che abbia o abbia avuto una malattia mentale accertarsi di avere raccolto tutte le informazioni necessarie sulla malattia e di essere in grado di garantire sensibilità nell’ascolto, compassione nelle domande, tutela e riservatezza nella pubblicazione.

Fonti:
Mental Health Foundation of New Zealand, Media guidelines
Mindframe, Guidelines on media reporting of severe mental illness in the context of violence and crime

Foto anteprima Anastasia Usenko

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