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Legge sulla tortura: ce lo chiede l’Europa, ma il Parlamento dice no

1 Ottobre 2012 6 min lettura

Legge sulla tortura: ce lo chiede l’Europa, ma il Parlamento dice no

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Aggiornamento 02/09/13: Al Senato, in Commissione Giustizia, il 7 agosto è stato presentato un testo unificato (di cui è relatore il senatore Enrico Buemi). L'Associazione Antigone, il 25 agosto, ha stilato un documento in cui critica il testo unico laddove stravolge la definizione di tortura presente nella Convenzione Onu, ratificata dallo stesso Parlamento italiano. Secondo l'associazione la nuova definizione rischia di «depotenziare il reato di tortura, imbrigliandolo in inutili confini».
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Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!
-Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Il recente rinvio in Commissione Giustizia del disegno di legge n. 256 sulla tortura dovrebbe far suonare più di un campanello di allarme. L'introduzione del reato di tortura nel codice penale è infatti una tappa che l'Italia sembra incapace di raggiungere. Ciò a dispetto degli impegni presi nel lontano 1988, quando con la legge n. 498 del 3 novembre abbiamo ratificato la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984.

Secondo l'art. 1 della Convenzione, la tortura, per essere tale, deve essere inflitta «da un agente della funzione pubblica» o da chiunque agisca con mandato ufficiale o «tacito»:

il termine «tortura» indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di  intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito.

Dalla ratifica della Convenzione abbiamo avuto diverse proposte di legge, che però non sono mai state approvate. È come se il nostro stato di diritto faticasse a fare i conti con la violenza di cui, talvolta, si macchiano i suoi rappresentanti; un trauma che non vuole riconoscere né superare. Abbastanza sintomatico è il rapporto italiano stilato dal Comitato Interministeriale dei Diritti Umani del Ministero degli Affari Esteri (2011). Che cosa riferisce sulla tortura il Comitato? Che non c'è bisogno di alcuna legge:

la legislazione italiana ha disposto misure sanzionatorie a fronte di tutte le condotte che possono ricadere nella definizione di tortura inclusa nell'art. 1 della relativa Convenzione delle Nazioni Unite, e che dette misure siano assicurate mediante un sistema di incriminazione di comportamenti e di circostanze aggravanti. Pertanto, la tortura è punita anche se essa non costituisce un particolare tipo di reato ai sensi del codice penale italiano.

Immaginate uno Stato in cui lo stupro non sia un crimine. Immaginate che questo Stato, per bocca di un Comitato Interministeriale, giustifichi l'assenza del reato stupro nel codice penale dicendo, in sostanza «non è reato lo stupro, però lo sono condotte che ricadono nel concetto di stupro»; come le percosse, o le minacce, insomma. Uno Stato che oppone una simile giustificazione ha dei problemi politici e culturali con la violenza. Perché in assenza di leggi specifiche in quello Stato uno stupratore potrà essere tale di fronte agli occhi di chiunque, ma non della legge, che diventerà ingiustizia scagionata dalla burocrazia. Chiunque in quello Stato potrà negare la verità dicendo «il tuo giudizio è sbagliato, non è uno stupratore», invocando leggi e sentenze.

È proprio questa ingiustizia che ogni giorno si consuma in Italia grazie all'assenza di leggi sulla tortura. Tanto più che le «condotte che possono ricadere nella definizione di tortura» citate dal Comitato Interministeriale, tendono a cadere facilmente in prescrizione, proteggendo così i possibili carnefici. Amnesty International, in questo comunicato del 26 giugno 2012, lamenta che

l'assenza di un reato di tortura implica effetti giudiziari precisi come la comminazione di pene inadeguate e la conseguente prescrizione dei reati minori che vengono applicati in sua vece.

Cito inoltre dal rapporto 2012 di Amnesty International sulla situazione italiana. Sulla tortura si osserva che:

Non sono cessate le denunce di maltrattamenti commessi da funzionari delle forze di polizia. Non sono stati istituiti meccanismi efficaci per prevenire i maltrattamenti della polizia né sono state adottate misure concrete per garantire indagini appropriate e, laddove necessario, procedimenti giudiziari contro gli agenti coinvolti in violazioni dei diritti umani. Le autorità non hanno ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e non hanno creato un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura e altri maltrattamenti, a livello di diritto interno. Inoltre, non è stato ancora inserito nel codice penale il reato di tortura.

Il rapporto cita casi specifici in cui l’assenza nel codice penale ha favorito i colpevoli: il processo per i fatti della Diaz, i processi per le morti di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi e le indagini sulla morte di Giuseppe Uva.

Dal dibattito in Commissione Giustizia è però emersa la volontà di depotenziare la legge minandone l'efficacia, come spiegato da Lorenzo Guadagnucci. Con gli emendamenti il reato non riguarda più chi agisce in nome di un'autorità, ma si allarga ai rapporti tra privati cittadini: una modifica che stravolge la ratio della Convenzione.

È indicativo anche  il dibattito in Senato, in particolare della seduta del 26 settembre (seduta 801), dove si può notare tra i banchi del centro-destra il timore che il reato di tortura impedisca alle forze dell'ordine di svolgere il proprio lavoro. O il timore, espresso dal senatore Serra, che esista «una componente politica» intenzionata a «penalizzare le forze dell'ordine», tanto da spingerlo a chiedersi «per quanti anni ancora Polizia e Carabinieri dovranno pagare il G8 di Genova». Si ha paura, paradossalmente, che quanto esteso a qualunque cittadino con gli emendamenti si possa applicare alle forze dell'ordine:

[Filippo Saltamartini, Pdl] La formulazione proposta rischia [...] di subire un'interpretazione troppo estensiva, che metterebbe a repentaglio l'efficacia dell'operato della polizia giudiziaria nei confronti della criminalità e che potrebbe essere applicata anche al di là dei casi che andrebbero sanzionati come tortura [...].
[...]
[Achille Serra, Unione di centro] Nella definizione della fattispecie del reato di tortura il riferimento a comportamenti disumani o degradanti la dignità umana, difficilmente valutabili a posteriori, o a definizioni come le «acute» sofferenze psicologiche e fisiche [..] rischia di inficiare l'utilizzo di importanti e comunque corretti strumenti di indagine da parte delle Forze dell'ordine.
[...]
[Roberto Castelli, Lega Nord] La configurabilità del reato di tortura anche nei casi di discriminazione etnica, razziale, religiosa, politica, sessuale o di qualsiasi altro genere limita fortemente l'attività degli operatori della sicurezza, che correrebbero continuamente il rischio di essere denunciati.

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A Carlo Giovanardi (Pdl) spetta infine un ruolo di primo piano nel mostrare quanto sia radicato a livello istituzionale l'analfabetismo sui diritti umani. Giovanardi cita, stravolgendoli, alcuni dei casi visti poc'anzi a proposito del rapporto di Amnesty International:

Leggo poi l'intervento della collega Bertuzzi [Pd], la quale, dopo aver ricordato anche in questo caso Bolzaneto e la Diaz, aggiunge il caso di Federico Aldrovandi [...]: tre o quattro poliziotti che, fermando un ragazzo, e bloccandolo, sono stati giudicati colpevoli perché, nel momento in cui lo hanno bloccato in quella colluttazione, avrebbero agito in maniera tale da provocarne il decesso. Questa è tortura? Qui viene definita come tortura; quindi, poliziotti e carabinieri che intervengono per impedire un reato, pure in una colluttazione, in una rissa, per bloccare i contendenti, nel caso in cui operino con imperizia o negligenza, non vengono condannati per il fatto in quanto tale ma, secondo l'interpretazione della senatrice Bertuzzi, siamo nel caso della tortura.

Ne I sommersi e i salvati Primo Levi distingue la violenza in due categorie, «utile» e «inutile», a seconda che si abbia «logica intesa al male o assenza di logica». Ragionando come Primo Levi, se l'Italia perderà di nuovo l'occasione per una legge sulla tortura, che conclusione dovremmo trarre? Per amore di verità saremo costretti a dire che lo Stato considera in piena coscienza la tortura una violenza «utile» al mantenimento dello status quo. E saremo costretti a non sorprenderci più leggendo notizie come quella di un assessore all'immigrazione che tortura un rumeno. Queste notizie, in fondo, testimoniano una violenza «inutile» che è figlia stolta di uno Stato-padre assai più oculato nell'amministrare la crudeltà.

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