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Il Senatore, la Fondazione e la catastrofe imminente

30 Settembre 2012 3 min lettura

Il Senatore, la Fondazione e la catastrofe imminente

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Il protagonista e voce narrante de Il corpo estraneo (Caratteri Mobili), Danilo Dannoso, è nipote di un parlamentare a capo di una fondazione. Danilo lavora per la fondazione: si sposta per l'Italia e, senza fare troppe domande, trasporta e consegna valigette, incontra persone; intrallazza lontano da domande sulla natura e gli scopi del proprio lavoro. Ci sarebbero tutti gli ingredienti per un thriller politico di genere: ma Marco Montanaro per fortuna del lettore ha tutt'altro interesse rispetto ai possibili sviluppi della trama.

Il perno del romanzo non è infatti il rapporto tra Danilo Dannoso e i segreti dello zio, su cui pende un'indagine che porterà alla richiesta di arresto. Il romanzo si concentra sulla distanza tra Danilo e ciò che gli accade intorno. Nel mondo di Danilo la verità appartiene al sogno di talk show in cui finalmente dice tutto ciò che sa, mentre nel mondo reale la verità è smarrita nel labirinto della nevrosi («io non sono sobrio» è una frase ricorrente). Danilo è infatti estraneo al proprio corpo di erotomane divenuto impotente. È un Tantalo che non si afferra mai. Il suo corpo è narrato come una soglia tra la coscienza e il mondo, tra il dentro e il fuori, che il desiderio frustrato non permette di varcare.

Poiché l'estraneità di Danilo è motivata linguisticamente dall'interno, la voce può risultare disturbante, o fastidiosa. Se accade, si tratta però di effetti generati dall'abilità di Montanaro, dunque funzionali al racconto e stilisticamente ineccepibili. Do un paio di esempi:

Col treno, viaggio solo di notte. Dico: viaggio, solo, di notte.

Qui l'azione vissuta - il viaggio in treno di notte - è espressa una seconda volta cambiando la punteggiatura, dunque esplorando le possibili connotazioni tramite l'ambiguità semantica di «solo», che può essere aggettivo o avverbio. Attraverso la lingua ci si è spostati così dalla relazione con l'evento esterno al piano psichico.

Io però non bevo e detesto perdere il controllo, già troppa confidenza concedo al mio uccello.

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Qui l'apparente puerilità della consonanza «controllo» - «uccello» rivela l'ossessione autoerotica di Danilo. Il legame è evidenziato dallo spostamento di «concedo» con allitterazione della «c», in particolare dolce.

Siamo in presenza di uno stile spesso poetico, continuamente di rottura rispetto al mondo esteriore, e dove il ritmo scandisce il riverbero dei pensieri. Montanaro ha l'intelligenza e il buon gusto di non sacrificare la leggibilità sull'altare dello sperimentalismo a ogni costo. Si tratta pur sempre di una «tragedia», come recita il sottotitolo. Abbiamo perciò un eroe tracotante, la cui compulsività rappresenta una lotta contro una forza a lui superiore («la compulsività è, del resto, il ritornare sempre a qualcosa che ci illudiamo sia la nostra unica strada»). Mentre l'introversione fa dubitare dei nomi degli altri personaggi: probabilmente non sono nomi reali, ma rispecchiano pensieri e sensazioni di Danilo. Braz è il fratellastro che vive in Brasile con il padre e la matrigna di Danilo. Il libro che legge durante il romanzo, e che presenta segni rivelatori sul suo destino, puntualmente ignorati, è scritto da un omonimo «prof. Dannoso»: «dice che c’è un equivoco a livello “ortografico”, lui doveva esser D’Annoso e non Dannoso». Mentre la figlia del professore è definita più volte proprio «un apostrofo», come fosse qualcosa d'imprevisto capitato a Danilo nel conoscere quell'uomo.

L'eroe andrà incontro alla catastrofe nella parte finale del romanzo, che non svelo per ovvie ragioni. Ed è notevole, nella scrittura di Montanaro, il cambio di passo impresso al ritmo mentre la catastrofe si avvicina e poi deflagra, catapultando corpo e coscienza nel mondo esterno. Il sacrificio dell'eroe svela così al lettore un prezioso insegnamento: le cose accadono, e vivere in un mondo dominato da derive, fughe e solipsismi non ci sottrae al puro accadere. Al più lo rende beffardo, o grottesco, o inutilmente doloroso.

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