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Le proteste di massa per ora fermano Netanyahu sulla riforma della giustizia che mette a rischio la democrazia israeliana

27 Marzo 2023 6 min lettura

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Le proteste di massa per ora fermano Netanyahu sulla riforma della giustizia che mette a rischio la democrazia israeliana

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Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha annunciato il rinvio della sua controversa riforma del sistema giudiziario annunciata dal suo nuovo governo, il più a destra della storia israeliana, che ha scatenato tre mesi di manifestazioni di piazza, scioperi e una delle più profonde crisi interne nella storia del paese. Il governo prevedeva di votare la prima parte della legge, riguardante la possibilità di scegliere i giudici della Corte Suprema, all'inizio di questa settimana.

La riforma mette a rischio la separazione dei poteri, l’autonomia dei giudici, la possibilità per la Corte suprema di bloccare pezzi di legislazione ritenuti non aderenti alle leggi fondamentali (Israele non ha una costituzione). In gioco è lo stesso sistema istituzionale e gli equilibri del sistema militare e di sicurezza israeliano. 

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Il rinvio è arrivato dopo che Itamar Ben-Gvir, a capo del partito di estrema destra Jewish Power, uno dei principali fautori della nuova legge e tra i più contrari a una dilatazione dei tempi di discussione della riforma, si era detto disponibile a posticipare il voto, dando a Netanyahu il respiro necessario per fare un passo indietro e cercare di placare le proteste che hanno bloccato Israele. Solo alcune ore prima, mentre cresceva il timore di scontri tra sostenitori e oppositori del piano, Bezalel Smotrich, leader del partito di estrema destra Sionismo Religioso, aveva rilasciato una dichiarazione video in cui affermava che non c’era spazio per uno stop alla riforma e accusava i manifestanti di “violenza, anarchia, insubordinazione”: “Siamo la maggioranza, facciamo sentire la nostra voce”.

La retromarcia di Netanyahu è arrivata infatti dopo una giornata tumultuosa di lotte politiche dietro le quinte, proteste di piazza e scioperi che hanno bloccato i servizi sanitari e i voli dall'aeroporto principale di Israele. 

Le proteste si sono intensificate nella notte tra il 26 e il 27 marzo dopo che Netanyahu aveva esautorato il ministro della Difesa, Yoav Gallant, che aveva criticato la riforma perché era stata causa di disordini all'interno dell'esercito e aveva invitato il primo ministro a fermare l’approvazione della riforma dopo tre mesi consecutivi di proteste. 


Alcuni manifestanti hanno rotto gli argini per andare a protestare di fronte alla residenza di Netanyahu. 

Col passare delle settimane la protesta si è allargata coinvolgendo componenti cruciali della società israeliana: l'esercito, le università e i sindacati. Un’ondata di scioperi ha ridotto i servizi medici e bloccato i voli in partenza dall’aeroporto principale del paese. Hanno incrociato le braccia anche il personale comunale, ospedaliero e delle missioni diplomatiche israeliane all’estero. 


Netanyahu ha mantenuto il silenzio per gran parte della giornata fatta eccezione per un tweet in cui invitava i manifestanti “a comportarsi in modo responsabile”, mentre le tensioni crescenti lo ponevano di fronte a una scelta difficile. 

Facendo marcia indietro, Netanyahu ha cercato di riportare la calma nelle piazze, ma ora rischia di destabilizzare la sua coalizione politica. Finora i tentativi di compromesso, portati avanti dal presidente dello Stato di Israele, Isaac Herzog, erano stati respinti dal governo in quanto non praticabili. Mentre, come detto, un appello per il congelamento del provvedimento da parte del ministro della Difesa, Yoav Galant, aveva portato all’allontanamento del ministro e a un intensificarsi delle proteste.

I partiti dell'opposizione israeliana sono apparsi divisi rispetto all'appello di Netanyahu al dialogo. Mentre Yair Lapid, il leader centrista dell'opposizione, lo ha accolto anche se con cautela, Merav Michaeli del partito laburista di centro-sinistra lo ha respinto, affermando in una dichiarazione: "Non c'è nessuna sospensione e nient'altro. Quante altre volte possiamo cadere nella trappola della cooperazione con Netanyahu?". Ha affermato che Netanyahu sta "guadagnando tempo a spese della nostra democrazia".

Nel frattempo le proteste non si fermano neanche  dopo l'annuncio di Netanyahu, con gli organizzatori che hanno chiesto un'altra manifestazione di massa a Tel Aviv.

Le origini della crisi

La crisi, una delle più gravi della storia politica israeliana, è stata innescata dal tentativo del governo di avere un maggiore controllo sulla selezione dei giudici della Corte Suprema e di limitare l'autorità della Corte sul Parlamento.

Nelle sue proposte di modifica del sistema giudiziario, la coalizione di governo di Netanyahu, la più di destra e religiosamente conservatrice nella storia di Israele vuole cambiare la composizione del comitato di nove membri che seleziona i giudici della Corte. La proposta darebbe ai rappresentanti e agli incaricati del governo una maggioranza automatica nella commissione, permettendo di fatto al governo di scegliere i giudici. Il governo vuole anche limitare quello che definisce l'eccesso di potere della Corte Suprema, limitando drasticamente la sua capacità di annullare le leggi che ritiene incostituzionali.

Chi sta protestando?

L'opposizione al provvedimento ha coinvolto via via sempre più ampi settori della società israeliana. All’inizio sono stati magistrati e giudici ad attaccare il governo che si era appena insediato. L’accusa era di voler attuare un “golpe senza carri armati”, come ha detto in più interviste televisive il giudice più stimato di tutta Israele, Aharon Barak, ex presidente della Corte Suprema.

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Col passare delle settimane, il governo Netanyahu è riuscito a compattare – non nella Knesset, bensì per le strade – una opposizione di carattere trasversale, composta da segmenti della società israeliana che mai si sono uniti in una protesta che dura da oltre due mesi e che si allarga a macchia d’olio. Dagli esponenti del Likud alla sinistra-sinistra, dalla maggioranza (sino a poco fa) silenziosa a chi, al contrario, si era già schierato contro il ritorno al potere di Netanyahu.

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Negli ultimi giorni la protesta si è allargata all'esercito, alle università e ai sindacati. Il più grande sindacato israeliano, che in precedenza aveva cercato di tenersi fuori dalla mischia, ha indetto uno sciopero generale.

I rettori delle principali università israeliane hanno annunciato collettivamente che avrebbero chiuso le porte a tempo indeterminato per protestare contro il piano, a partire dal 27 marzo mattina.

Ma forse l'opposizione più importante al processo è venuta dai riservisti militari, che svolgono un ruolo significativo nella capacità militare di Israele. I riservisti dicono di temere di ricevere ordini militari illegali se la Corte Suprema non ha il potere di controllare adeguatamente l'attività del governo. E temono di essere accusati dai tribunali internazionali se il sistema giudiziario israeliano viene percepito come troppo debole per perseguire i soldati.

I leader militari hanno avvertito che il calo dei riservisti, che costituiscono una parte fondamentale del corpo dei piloti dell'aeronautica, potrebbe presto compromettere la capacità operativa dell'esercito. Per questo il ministro della Difesa, Yoav Gallant, aveva chiesto di fermare la riforma ottenendo in cambio l'allontanamento con un comunicato di una riga.

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Come è diviso il paese?

In termini generali, la proposta di riforma giudiziaria ha approfondito la frattura tra settori diversi della società israeliana, soprattutto la frattura tra i laici e gli ortodossi legati al sionismo religioso, la vera ossatura che sostiene il governo attraverso le sue ali più estreme che i manifestanti non esitano a definire “fasciste”. Come scriveva Paola Caridi su Valigia Blu all’inizio delle proteste:

“Da un lato, c’è l’intero sistema giudiziario israeliano, una delle tradizionali roccaforti della struttura dello Stato, che ha scritto una lettera aperta firmata dai più importanti procuratori generali. Dall’altra, il governo più a destra della storia israeliana. Da un lato, c’è il sistema giudiziario che per decenni è stata considerata uno dei pilastri ashkenaziti. Dall’altro, il sionismo religioso la cui influenza su Netanyahu è sempre più evidente”.

Immagine in anteprima via Twitter

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