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Iran, nonostante la feroce repressione continuano le proteste dopo l’uccisione di Mahsa Amini

26 Settembre 2022 8 min lettura

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Iran, nonostante la feroce repressione continuano le proteste dopo l’uccisione di Mahsa Amini

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Decine e decine di persone morte — tra cui civili e agenti delle forze di sicurezza, centinaia di feriti e di arresti. Sono le conseguenze della repressione da parte delle forze di sicurezza iraniane delle proteste scatenatesi praticamente in tutto l’Iran dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane, originaria del Kurdistan iraniano, finita in coma mentre si trovava sotto custodia della polizia di Teheran perché “non portava il velo nel modo corretto”. 

Amini stava passeggiando insieme a suo fratello diciassettenne per le strade di Teheran quando è stata caricata su una camionetta della polizia morale dell’Iran, portata in commissariato e poi picchiata, come mostrano alcune immagini diffuse online. Dopo tre giorni di coma, il 16 settembre, Amini è morta. Le autorità hanno parlato di malattie pregresse come causa della morte, smentite però dai familiari e dalle compagne di classe contattate dalla BBC.

Sempre alla BBC il padre di Mahsa ha dichiarato di non aver potuto vedere il cadavere della figlia né leggere i risultati dell’autopsia: “Ho potuto vedere di sfuggita il viso e i piedi nel momento in cui l’abbiamo seppellita. I piedi erano segnati dalle ferite. Mahsa godeva di ottima salute. Testimoni mi hanno riferito che è stata picchiata dalla polizia”. Le autorità avevano fatto pressione affinché la sepoltura avvenisse di notte, come sta accadendo con i manifestanti uccisi in questi giorni, secondo quanto segnalato dalla ONG con sede a Oslo “Iran Human Rights”, ma i genitori hanno optato per un funerale pubblico, dopo il quale molte persone hanno chiesto un’inchiesta approfondita. 

Dal giorno della morte di Mahsa Amini, in oltre 50 città sono iniziate le proteste. Dopo aver usato nei primi giorni di manifestazioni lacrimogeni e pallottole di gomma, le forze dell’ordine hanno iniziato a usare anche proiettili di metallo, mentre le autorità hanno rallentato Internet, bloccato l’accesso a Instagram e WhatsApp, e cercato di soffocare la protesta con arresti “preventivi”. In carcere sono finiti difensori dei diritti umani, attivisti e giornalisti, tra cui Narges Hosseini – una delle “ragazze di via Rivoluzione” che nel 2018 protestarono contro il velo – e Niloufar Hamedi, giornalista del quotidiano Shargh che per prima ha scritto di Mahsa Amini. Il governatore provinciale di Teheran ha affermato che le autorità "prenderanno provvedimenti contro le celebrità" che si sono unite alle proteste dopo che registi, atleti, musicisti e attori hanno espresso il loro sostegno alle manifestazioni, e la squadra di calcio iraniana ha coperto il logo della nazionale durante un'amichevole a Vienna pochi giorni fa.


Per strada, alcune donne si sono tolte il velo, altre gli hanno dato fuoco, mentre sui social hanno cominciato a circolare video di persone (tra cui il calciatore curdo Mohammad Zobeir Niknafs dell’Esteghlal) che si tagliano i capelli. Si tratta di un gesto ancora praticato in segno di lutto in alcuni paesi del Kurdistan iraniano e diventato in questi giorni una forma di protesta per la morte di Amini e contro il regime. Si tratta di una contestazione non solo contro il velo obbligatorio, ma anche contro un sistema che dalla Rivoluzione del 1979 obbliga le donne a coprire i capelli con un velo quando sono fuori casa. Le donne che non rispettano il codice di abbigliamento sono fermate e colpite dalla polizia morale, un’unità indipendente costituita sempre nel 1979, che non controlla solo l’obbligo di indossare il velo, ma anche l’applicazione di una serie di norme, tra cui il divieto di bere alcolici.

Alla fine degli anni Novanta, quando era presidente Mohammad Khatami, l'Iran aveva introdotto una serie di riforme, fermate dal suo successore, Mahmoud Ahmadinejad. L'attuale presidente, Ebrahim Raisi, anch’egli conservatore, ha mantenuto queste restrizioni e ha anzi incoraggiato i funzionari a essere ancora più stringenti. Le autorità iraniane si assumono la responsabilità di interpretare i codici e la loro applicazione può essere arbitraria e violenta. Secondo quanto affermato dai ricercatori sui diritti umani, negli ultimi mesi la polizia morale ha fatto maggiore ricorso alla violenza. 

Per tutti questi motivi, l’abolizione dell’obbligo del velo potrebbe scardinare un intero sistema. E, stanno rilevando diversi studiosi, questa ondata di proteste sembra diversa e potrebbe essere più dirompente e scatenare un processo simile a quello innescato dal venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi che nel dicembre 2010 si uccise dando di fatto origine alla Primavera araba, scrive Vox.

Le manifestazioni stanno coinvolgendo fasce diverse di popolazione e si sono diffuse in tutto il paese, nelle città grandi e in quelle piccole, al grido di “Donna, vita, libertà”. “Questo slogan proviene dal Kurdistan siriano e sta unendo diversi motivi di malcontento in Iran”, nota il professore dell'Università del Sussex Kamran Matin. Nel corso degli anni, il governo iraniano ha dipinto gli attivisti curdi come separatisti che cercano di delegittimare lo Stato. Ma l’utilizzo di questo slogan e la convergenza intorno a esso di più filoni di protesta potrebbe essere il segno di un maggiore sensibilità degli iraniani nei confronti della causa curda e delle ingiustizie inflitte alle minoranze etniche in Iran. 

Negar Mottahedeh, professoressa di studi di genere e femministi alla Duke University, si sofferma invece sul valore simbolico di bruciare il velo, a suo dire dello stesso valore dei reggiseni dati al fuoco negli anni Sessanta. Come allora bruciare i reggiseni significava molte cose insieme, era “un'espressione di femminismo e liberazione, ma anche di rifiuto della guerra del Vietnam e del capitalismo, allo stesso modo, le immagini delle manifestazioni in Iran rappresentano un’opposizione al velo obbligatorio e alla polizia morale, ma anche a uno Stato paranoico che cerca di sorvegliare e controllare il corpo delle donne”.

“È davvero importante concentrarsi sulla resistenza e sulla resilienza delle donne in Iran, e non vederle come vittime”, commenta Sussan Tahmasebi, direttrice esecutiva dell'organizzazione per i diritti umani Femena. Anche se le proteste non porteranno a un cambiamento immediato, segnano un cambio di rotta nel dibattito sull'obbligo dell'hijab in Iran, aggiunge Tara Sepehri Far, ricercatrice di Human Rights Watch. “Le donne si sono tolte il velo e hanno camminato per strada.  La polizia può far finta che non sia mai successo. Ma è successo. Non si può tornare indietro”.

A cosa porteranno le rivolte?

Le manifestazioni arrivano in un momento in cui le condizioni socio-economiche dell'Iran sono estremamente precarie, con un'ampia porzione della popolazione impoverita. Ciò è dovuto all'impatto delle sanzioni statunitensi sul programma nucleare iraniano, alla situazione economica globale e alle conseguenze della pandemia.

“Sono scene inimmaginabili 10 o 20 anni fa”, ha detto a Vox Ali Vaez, analista dell'International Crisis Group, cresciuto in Iran. “Questa è una società che la Repubblica islamica non è più in grado di controllare. Con la repressione potrebbero guadagnare tempo, ma non saranno in grado di affrontare i fattori alla base di queste proteste". È impossibile sapere se le proteste continueranno e cresceranno, come è successo con le proteste economiche del 2017-18 o con le massicce proteste del Movimento Verde del 2009. Una cosa certa è che le proteste in Iran stanno diventando più frequenti, dice Vaez. “In Iran eravamo abituati a vedere questo tipo di esplosioni di ira pubblica una volta ogni dieci anni. Ora si verificano ad anni alterni e ogni volta sono più violente”.

Tuttavia, scrive il corrispondente del Guardian Jason Burke, nel commentare le proteste in Iran bisognerebbe avere più cautela e stare attenti, per evitare che “le nostre speranze” finiscano per distorcere la realtà:

La nostra eccitazione di fronte alle immagini emozionanti delle manifestazioni non solo ci porta spesso a esagerare l'ampiezza e la profondità di un movimento di protesta, soprattutto quando chi è in piazza sembra condividere molti dei nostri stessi valori e aspirazioni, ma anche a sottovalutare la forza dei loro nemici. Quelli che si oppongono a chi sta protestando in Iran sono ancora molto temibili.

Le manifestazioni in Iran sembrano essere finora un movimento spontaneo. Ma una rivolta senza leader è anche disorganizzata. E questo può rendere meno probabile che il movimento cresca al di là di proteste di strada e diventi qualcosa che possa trasformare la politica e la governance iraniana. “La dura verità è che, sebbene si tratti di proteste importanti, è probabile che vengano schiacciate dal regime ancora potente”, spiega ancora Burke. E in effetti, in questi giorni il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha parlato di cospiratori dietro i disordini e ha promesso di “affrontare con decisione” le proteste e reprimere tutti “coloro che si oppongono alla sicurezza e alla tranquillità del paese”.

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Anche il giornalista Lorenzo Forlani invita alla cautela. Se da una parte il regime iraniano si trova a fronteggiare segmenti di protesta che si sono uniti (quelli che invocano il "pane" e quelli che invocano la "libertà"), e non reggono più le chiavi di lettura con cui si è sempre cercato di inquadrare il dissenso, dall'altra non bisogna leggere quanto sta accadendo secondo la "pratica dello specchio", ossia rapportandosi "con persone simili a noi stessi nel cercare di capire le dinamiche di un dato luogo":

Gli uomini e le donne “conservatrici” con cui sono rimasto in qualche modo in contatto mi hanno per la prima volta restituito una descrizione della situazione che spesso combaciava con i ragazzi e le ragazze progressiste dei centri urbani, apertamente ostili al regime. Se da un lato si registra la suddetta saldatura delle istanze di fasce di popolazione diverse, accomunate dalla aperta ostilità verso l'establishment, la novità in questo vago ed eterogeneo segmento della società sembra essere proprio la percezione di una inedita divisione interna di un fronte considerato generalmente omogeneo, nonché reticente a prendere di mira la Repubblica islamica in quanto tale.

(Immagine in anteprima via Kayhan Life)

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