La libertà di parola, la guerra ibrida russa e le istituzioni democratiche
9 min letturaDa tempo le istituzioni europee sono state travolte dalla guerra ibrida di Putin contro le nostre democrazie. Se ne parla da anni, diversi autori ed esperti hanno pubblicato libri, saggi, articoli sul tema. Tra questi il politologo Anton Shekhovtsov, che nel suo ultimo libro Russian Political Warfare: Essays on Kremlin Propaganda in Europe and the Neighbourhood, 2020-2023 affronta le tattiche della guerra politica-informativa russa in Europa. Secondo Shekhovtsov, il Cremlino ha cercato di perseguire obiettivi strategici e tattici attraverso la propaganda, la disinformazione, il sostegno a movimenti politici, la strumentalizzazione di conflitti religiosi o culturali, la corruzione di élite politiche e l’erosione delle istituzioni democratiche con l’obiettivo di destabilizzare l’avversario e rafforzare politicamente la Russia a livello globale.
Uno dei cardini di questa strategia consiste nel creare vulnerabilità interne, delegittimando le istituzioni, polarizzando la società, erodendo il consenso verso gli stessi sistemi democratici. L’obiettivo non è convincere rispetto alla narrazione portata avanti dalla propaganda ma creare caos, fare in modo che sia sempre più difficile distinguere il vero dal falso. Manipolare i fatti presenti e le ricostruzioni del passato assolve a questa funzione.
L’autore affronta diversi casi avvenuti in Europa e non solo, e fra questi anche quello dell’Italia durante il Covid. Le modalità di questo tipo di ingerenze si adattano a seconda del target da colpire e hanno come obiettivo seminare confusione, delegittimare le informazioni verificate, frammentare il discorso pubblico. Da qui nascono e si diffondono per esempio narrazioni anti-UE su sovranità/immigrazione, false storie riguardanti le misure sanitarie europee (Covid) e teorie del complotto.
E questi sono solo alcuni degli aspetti della guerra ibrida di Putin all’Europa. Una macchina molto complessa, un vero e proprio sistema integrato che va dal supporto (palese o occulto) a forze politiche populiste alle interferenze elettorali, alle operazioni cibernetiche e attacchi informatici, all’impiego di organizzazioni culturali, ONG, think-tank e media ‘apparentemente indipendenti’ alla costante ricerca di megafoni in ambienti accademici e politici. Queste strutture possono contribuire a diffondere temi nella discussione pubblica e ad attirare l’attenzione mediatica, normalizzando narrazioni, propaganda e discorsi favorevoli agli interessi russi.
L’uso diversificato di questi strumenti, coordinati per massimizzare l’impatto, serve anche a mantenere la cosiddetta ’plausible deniability’: è sempre difficile attribuire direttamente gli attacchi al governo russo, perché c’è sempre la possibilità per il Cremlino di volta in volta di negare qualsiasi responsabilità. L’uso dei cosiddetti ‘omini verdi’ (soldati russi con uniformi senza insegne) da parte della Russia per annettere la Crimea e destabilizzare il Donbas in Ucraina è citato come esempio di plausibile negabilità.
A rendere “ibrida” la guerra russa contro l’Europa è perciò anche la dimensione cognitiva, condotta da gruppi legati all’intelligence russa (GRU, FSB, SVR), spesso sotto copertura di “hacker collettivi” come Killnet, NoName057(16), Sandworm, troll farm e media di Stato (RT, Sputnik) che amplificano narrazioni anti-occidentali. Ci sono poi reti di influencer e siti pseudo-indipendenti che riprendono tesi filorusse, spesso in più lingue europee.
Come mi ha spiegato il professor Giovanni Savino, che collabora da anni con Valigia Blu e che è anche co-autore con Anton Shekhovtsov e altri del libro Eurasianism and the European Far Right: “La propaganda politica storicamente ha puntato a conquistare menti e cuori, ma oggi il presupposto del caso russo è diverso: confondere, diffondere mezze verità e bugie plateali, trollare, in modo da fare rumore, distruggere la percezione del reale in favore di un pluralismo posticcio di narrazioni, tutte poco o per nulla credibili. Una differenza fondamentale rispetto al passato, in cui la propaganda era uno degli strumenti dell'ideologia, oggi avviene il contrario, con un approccio che assomiglia più a un perenne reality show o dibattito televisivo che a una narrazione coerente e organica; un tipo di confusione che punta a delegittimare la politica come partecipazione democratica, a demoralizzare la società, a renderla inerme e indifferente di fronte al potere”.
L’Europa da tempo cerca di coordinare risposte a questa aggressione. Come e cosa potrebbe fare sono un capitolo a parte che varrà la pena in futuro approfondire. Tra l’altro è proprio di ieri la notizia della convocazione per il 17 novembre prossimo da parte del presidente Mattarella del Supremo di Difesa, durante il quale si legge nella nota “il Consiglio valuterà anche le minacce ibride con riferimento anche alla dimensione cognitiva e alle possibili ripercussioni sulla sicurezza dell’Unione Europea e dell’Italia”.
Qui mi preme affrontare nello specifico la questione della risposta democratica alla disinformazione e alla propaganda. Di fronte a questo problema la democrazia viene esposta in tutta la sua fragilità, ma questa fragilità è al tempo stesso la sua forza.
Per sua stessa natura la democrazia contempla in sé la libertà di parola come diritto fondamentale anche dei suoi stessi potenziali ‘nemici’ interni. Un sistema democratico deve al tempo stesso salvaguardare i propri principi e valori (libertà, pluralismo, tolleranza) e cercare di proteggersi e difendersi da chi usa questi principi come arma per indebolire, minare, distruggere la democrazia stessa. Le misure da adottare devono essere proporzionate e rispettare i diritti fondamentali, per evitare di erodere l’impianto democratico delle nostre società.
Facciamo un esempio pratico, partendo da una vicenda che giustamente sta appassionando il dibattito pubblico da giorni: il convegno intitolato Russofilia, russofobia, verità? previsto per il 12 novembre al Polo del '900 di Torino e poi annullato. Organizzato dall'ANPPIA-Torino (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti), l’evento prevedeva la partecipazione di Angelo d’Orsi e il collegamento dal Donbas di Vincenzo Lorusso.
Il Polo del ‘900 è un centro culturale pubblico di Torino dedicato alla memoria del Novecento, con particolare attenzione ai temi della Resistenza, dell’antifascismo, della democrazia e dei diritti civili. Si tratta di un ente pubblico partecipato da istituzioni locali (Regione e Comune) e fondazioni bancarie, con una missione culturale e civile.
Quando si è diffusa la notizia di questo convegno sono state sollevate polemiche e contestazioni anche da parte di alcuni politici, tra questi la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, che ha definito l’iniziativa “un evento di propaganda putiniana”, il leader di Azione, Carlo Calenda, che ha preso posizione chiedendo chiarimenti al sindaco di Torino, Stefano Lo Russo. Lo storico D’Orsi, che tiene a ricordare spesso di essere allievo di Norberto Bobbio, ha descritto l’annullamento come una forma di censura preventiva: “Un atto gravissimo”.
ANNPIA Nazionale, dopo le polemiche e le accuse, ha rilasciato un comunicato ufficiale che esprime una posizione netta e molto dura, non parla di censura e prende le distanze dal convegno:
“L’ANPPIA Nazionale precisa che si tratta di una iniziativa della Sezione torinese di cui non eravamo a conoscenza; né condividiamo in alcun modo le tesi espresse in questi anni da alcuni dei relatori invitati. L’ANPPIA ha condannato fin da subito l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Lo ha fatto con nettezza, con comunicati e con la partecipazione a manifestazioni ed iniziative di protesta contro quella brutale e ingiustificabile aggressione i nostri valori antifascisti, che sono alla base della Costituzione nata dalla Resistenza, sono quelli della Pace, della convivenza tra i Popoli e soprattutto del ripudio della Guerra e della difesa della Libertà e della Democrazia, così come i nostri fondatori, tra i quali ricordiamo Sandro Pertini e Umberto Terracini, perseguitati e imprigionati dal regime fascista, ci hanno tramandato. L’ANPPIA continua da quasi 80 anni a custodire e a diffondere il loro insegnamento. È evidente quindi che non solo i nostri valori, ma anche il nostro agire quotidiano, sono del tutto incompatibili con quanto oggi esprime la Russia autoritaria e oligarchica di Putin”.
Censura preventiva o legittima difesa? Le istituzioni democratiche hanno il diritto-dovere di difendersi e tutelare il discorso pubblico. Ospitare in spazi pubblici istituzionali soggetti che diffondono sistematicamente menzogne o propaganda (soprattutto se collegati a potenze ostili) significa attribuire loro legittimità democratica. Si crea confusione tra “pluralismo di idee” e manipolazione intenzionale. L’istituzione, per il solo fatto di ospitarli, diventa megafono involontario di un’operazione di influenza.
Nessuno può permettersi di negare il diritto alla parola di D’Orsi, che infatti terrà tranquillamente la conferenza con Lorusso altrove. D’altra parte D’Orsi rilascia interviste, è ospite in TV dove ci fa sapere che la Chiesa ortodossa ucraina ha fatto santo nientemeno che il criminale di guerra Bandera (una bufalaccia russa che manco i russi dicono più, talmente è ridicola). Il tutto senza che nessuno gli faccia mai notare semplicemente che dice il falso. Proprio in queste ore, intervistato da Il Tempo sulla presunta censura (ma non è meraviglioso un paese, una democrazia dove ti intervistano perché saresti stato censurato e parli liberamente della censura?) dice: “Sono tornato da poco da Mosca e posso affermare di aver trovato una realtà diversa da quella raccontata da molti osservatori. Ho parlato con intellettuali e gente comune". “Dunque - ha commentato ironicamente Adriano Sofri con un post su Facebook - quello di cui sentiamo dire, la catena di omicidi avvelenamenti suicidi all'interno e all'estero, gli arresti le condanne e le prigionie, Navalny e gli altri, sono notizie false o distorte”.
Per fortuna nostra e di D’Orsi siamo una democrazia: non buttiamo in galera chi critica l'invasione dell’Ucraina con un post sui social, non facciamo volare dissidenti dalle finestre, non li ammazziamo a colpi di arma da fuoco davanti al Quirinale, non uccidiamo oppositori politici o giornalisti il giorno del compleanno del presidente Mattarella.
Impossibile, infine, non citare il famoso paradosso della tolleranza del filosofo Karl Popper. Se una società illimitatamente tollerante tollera anche gli intolleranti, alla fine gli intolleranti prenderanno il sopravvento e distruggeranno la tolleranza stessa (e i tolleranti).
Oggi, nel contesto della guerra ibrida e cognitiva condotta contro l’Europa, questa tensione diventa concreta e urgente. La disinformazione non è più solo un rumore di fondo: è una strategia deliberata per erodere fiducia, creare divisioni e paralizzare la capacità democratica di reagire. E qui nasce la domanda cruciale: è giusto che le istituzioni democratiche, nei loro spazi, ospitino senza nemmeno contraddittori noti propagandisti e disinformatori, personaggi che agiscono a sostegno di questa guerra cognitiva, legittimandoli ed elevandoli a interlocutori indipendenti e in buona fede?
Vale la pena ricordare brevemente il curriculum di Vincenzo Lorusso. Il suo nome compare in diverse inchieste giornalistiche come quello di un propagandista italiano legato alla rete russa di disinformazione. Come documenta Open, insieme ad Andrea Lucidi ha collaborato con il sito filorusso International Reporters, definito da Reporter Sans Frontières “uno strumento di propaganda che inquina lo spazio informativo e inganna deliberatamente il pubblico”. Secondo le indagini, entrambi hanno operato in aree occupate dell’Ucraina senza accreditamento, diffondendo contenuti in linea con la narrazione del Cremlino e partecipando a iniziative dirette contro le istituzioni europee e italiane. Lorusso ha raccolto a suo tempo le firme contro il presidente Mattarella che ha poi consegnato a Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri Lavrov. E sempre Zakharova ha firmato l’introduzione al libro di Lorusso De russophobia.
Non parliamo dunque di semplici voci “fuori dal coro”, ma di soggetti che svolgono un ruolo attivo nello scenario sopra delineato. Quando queste figure vengono invitate in contesti istituzionali, l’effetto principale è una manipolazione simbolica degli spazi di dibattito: un’istituzione che nasce per custodire la memoria della libertà finisce, suo malgrado, per amplificare chi lavora per deformarla. È importante ribadirlo: nessuno nega a D’Orsi o a Lorusso il diritto di parola. Lo esercitano ogni giorno, inquinando il discorso pubblico italiano liberamente nei media e online, senza alcuna restrizione. Ma la libertà di parola non implica il diritto di essere ospitati o legittimati da un ente pubblico.
Una democrazia ha non solo il diritto, ma anche il dovere di difendersi: di proteggere i propri spazi civili e simbolici da chi li usa per finalità ostili, contro di essa per diffondere propaganda ostile. Non è censura: è autodifesa democratica. È la consapevolezza che la libertà va tutelata anche dai suoi manipolatori. La democrazia non è un patrimonio acquisito una volta per tutte: è un processo fragile, che vive solo attraverso l’impegno civico costante e informato di chi la abita. Pensare che le sue fondamenta siano indistruttibili, che non possano essere indebolite o distrutte, è un pensiero. Abbiamo assistito e stiamo assistendo a questa erosione in diverse parti del mondo, anche nel cuore della nostra stessa Europa.
Ma al di là di tutto, viene da pensare a cosa direbbe oggi Bobbio, vedendo un suo allievo impegnato a confondere libertà di pensiero e propaganda, a deformare i fatti, diffondere bufale in nome di un presunto pluralismo o di un'ideologia ostile ai sistemi democratici. Dubito che sentirebbe l’orgoglio del maestro superato dal brillante allievo. E chissà cosa penserebbe Pertini, a vedere un’associazione di cui è stato tra i dirigenti, e che deve dissociarsi da una sede locale ribadendo che è contro un aggressore fascista.
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