Il caso Gergiev e la figuraccia internazionale di Vincenzo De Luca: perché è stato giusto annullare il concerto
7 min letturaAlla fine, il concerto del direttore d’orchestra russo Valery Gergiev non si farà. Avrebbe dovuto tenersi il prossimo 27 luglio a Caserta, all’interno della rassegna Un'Estate da Re. La presenza ha però sollevato da subito critiche a livello internazionale, per quello che è a tutti gli effetti “un alleato di Putin”. Dal febbraio 2022, Gergiev è stato licenziato da direttore della Filarmonica di Monaco e ha visto vari concerti cancellati, per le sue posizioni sull’invasione russa dell’Ucraina e per il suo sostegno attivo a Vladimir Putin. Il Canada gli ha imposto sanzioni, vietandogli l’ingresso nel paese. Solo chi vive in una bolla di beata ignoranza è rimasto sorpreso da polemiche e proteste.
Non parliamo di un artista russo vittima di chissà quale foga militarista, o di pastrocchi censori come quando la Bicocca decise di cancellare il corso di Paolo Nori su Dostojevskj. Parliamo di uno che tiene concerti a Mosca proiettando video di propaganda del Cremlino. Un elemento strutturale di quel soft power che passa anche attraverso la cultura e che ha bisogno di piazze (e teatri) occidentali. Nel marzo 2022 il Corriere ha dedicato un articolo al “tesoro immobiliare” di Gergiev tra Milano, Venezia e Costiera Amalfitana. Gli ha invece dedicato un’inchiesta la Fondazione Anti-Corruzione di Alexey Navalny, il più importante oppositore di Putin, morto in carcere nel 2024 dopo anni di detenzione e torture.
The world-famous conductor Valery Gergiev publicly supports Putin and has yet to be sanctioned
— The Anti-Corruption Foundation (@ACF_int) June 3, 2024
In 2014, Gergiev openly backed Russia's seizure of Crimea. When #Putin started a full-scale invasion of Ukraine in 2022, Carnegie Hall in New York and the Munich Philharmonic cut their… pic.twitter.com/EBaq79vRUj
In un mondo meno impazzito le domande sarebbero semplici: perché con le proprie tasse uno dovrebbe lavare via a suon di musica il sangue? Perché è stato scelto proprio Gergiev, c’è per caso penuria di talenti nella musica classica o è stato scelto proprio per ciò che rappresenta al di là dei meriti musicali, e non nonostante?
Del ruolo di Gergiev sono consapevoli in molti, a partire dalla stessa Fondazione Anti-Corruzione, che l’11 luglio ha scritto al ministro della Cultura, alla Regga di Caserta e al ministro dell’Interno. Oltre alla cancellazione dello spettacolo, la Fondazione ha chiesto che a Gergiev venga interdetto l’ingresso in Italia, poiché “potrebbe costituire una minaccia per l’ordine pubblica e la sicurezza”. Su Repubblica Julija Navalnaja, vedova di Alexey Navalny è intervenuta per definire l’esibizione di Gergiev “un regalo al dittatore” Putin.
Le richieste di annullamento del concerto sono arrivate da più parti. Dalla vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno (Partito Democratico), tra le poche voci autorevoli a contrastare puntualmente le ingerenze dei propagandisti russi, a esponenti della società civile ucraina in Italia, ormai impegnata nel ruolo di Davide contro Golia, quando si tratta di propaganda russa. Così è più facile che un’attivista ucraina come Tetyana Bezruchenko, che vive nel nostro paese, trovi spazio sul Times che sui nostri media mainstream - dove ci si lamenta però del “pensiero unico”.
Sono intervenuti anche Premi Nobel, tra cui la sezione italiana di Memorial, ONG russa per i diritti umani che è stata costretta a lasciare il suo paese. Memorial ha scritto due lettere, una a Ursula von der Leyen e a Vincenzo De Luca, l’altra ai presidenti di Camera e Senato. Nella prima lettera ha chiesto la cancellazione del concerto e l’istituzione di un fondo per gli artisti che si oppongono al regime di Putin. Nella seconda, invece, Memorial ha puntualizzato un elemento di contesto che è stato a lungo sottovalutato negli scorsi mesi, la diffusione sul territorio di iniziative di propaganda spacciate per incontri culturali. Tra queste, “documentari prodotti da Russia Today, sottoposta a sanzioni UE e altri casi”.
Insomma, siccome l’impazzimento generale tende a trasformare qualunque tema in una partita di calcio va ribadito un concetto elementare. Non è una curva di tifosi sfegatati ad aver esposto striscioni di protesta per la presenza di Gergiev a Caserta, ma diversi settori dello stadio, tra cui la tribuna d’onore.
Il concerto del grande amico di Putin sarebbe stato un insulto anche verso tutti quei russi che si sono opposti al regime e hanno denunciato i suoi crimini in Ucraina. Il loro coraggio e la loro dignità avrebbero dovuto essere d’esempio in questi anni, invece di essere puntualmente rimossi perché altrimenti il nostro piccolo cervello non riesce a computare l’umanità in settori da stadio.
“Questo non è un attacco alla musica russa” ha scritto Giulia Mazzoni, concertista e pianista, dopo l'annuncio della cancellazione, “è proprio in nome del rispetto per quell’eredità che occorre distinguere tra chi crea arte come gesto libero e umano, e chi invece la piega a fini che ne tradiscono la nobiltà, appoggiando narrazioni di potere, repressione o guerra”.
Di analogo parere il collega Nicola Piovani, intervistato dalla Stampa. “Nessuno si permetta di censurare Wagner o Strauss perché nazisti, o addirittura Čajkovskij o Čechov perché russi” ha detto Piovani, “diverso è ospitare esecutori visibilmente collaborazionisti dell’attuale scellerato governo di Putin”.
Dopo l'avvenuta cancellazione, in un altro articolo Julija Navalnaja ha invece parlato di “un passo verso la giustizia”, invitando a non accettare complicità con il regime di Putin:
Dobbiamo essere chiari: qualunque sia il loro talento artistico, sono complici. Complici delle sue guerre, della sua repressione, degli avvelenamenti politici e delle uccisioni perpetrate sotto il governo di Putin. Dobbiamo inviare a tutti loro un messaggio fermo e inequivocabile:
Vi vediamo. Vi ricordiamo.
La cancellazione del concerto e le reazioni di alto profilo hanno trasformato quindi tutta la tiritera della Regione Campania in una ennesima figuraccia mondiale per le nostre istituzioni: dal Guardian al New York Times la rassegna stampa è impietosa. Figuraccia consumata all’ombra dei giochi politici per le prossime elezioni, del campo “progressista” e delle eterne faide interne. A quanto pare, all’opinione pubblica internazionale non è bastato un video di 11 minuti di Vincenzo De Luca che ci ripete le tre, quattro lezioncine che da tempo hanno rotto un argine a sinistra, addormentando la ragione e generando svariati mostri. A quanto pare non è bastato ridurre una guerra di invasione unilaterale a provocazione della NATO, né far passare l’Ucraina come un paese la “dentro la vita e la storia della Russia” trasformando in contiguità culturale dinamiche imperialiste. Non è bastato il giochino del “sì la Russia va condannata, ma…”.
Ma questa è la politica che pretende il mondo a misura di collegio elettorale, convinta che la sede di partito o l’ufficio del capoccia di turno siano il centro dell’universo. Questa è l’analisi politica vasta quanto i feed dei propri account. Un problema di percezione, prima ancora che di diritti umani, che certifica una colossale inadeguatezza generale.
Del resto, a sinistra fatichiamo a trovare una linea coerente di fronte ai conflitti che stanno squassando e distruggendo popolazioni civili, e così l’ala riformista e progressista si schierano cariche delle rispettive contraddizioni ora sull’Ucraina ora su Israele, in un gioco di riduzionismi incrociati dove si è “pro-qualcosa”, senza una visione di società che abbia fondamenta solide e coerenza nel proteggerle. Si resta intrappolati in dinamiche di potere dove i diritti sono negoziabili in nome di interessi che non vengono mai esplicitati.
Perciò i diritti diventano simboli, le strategie di lotta (come il boicottaggio) puro posizionamento, e tutto ciò che non è comprimibile entro la lente identitaria semplicemente sparisce. Anche per questo su temi come Nagorno-Karabakh, Myanmar, Sudan prevale il silenzio. Non è che non portano voti: è che non funzionano su Instagram.
Ciò ricade inevitabilmente sugli elettori, in un sistema che si alimenta in due direzioni dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, e produce apatia, depoliticizzazione, frammentazione dello sguardo sul mondo. Un esempio: a nessuno, in Italia, frega della Bielorussia, come se non esistesse. E sì che perseguita i propri dissidenti in esilio su suolo europeo, ed è sodale nella “russificazione” dei minori ucraini rapiti a decine di migliaia. Ma nei cori da stadio che si accusano di qualcosa è un’entità troppo ingombrante per stare in due frasette su cui sgolarsi.
Lo stesso De Luca certifica questa logica quando la butta sull’“e allora Gaza” e menziona la partecipazione nella stessa rassegna del direttore d’orchestra israeliano Daniel Oren. Forse che Oren ai suoi concerti proietta filmati sui bambini di Gaza felici e spensierati grazie a Netanyahu? Ovviamente no, tanto che nessuno ha sollevato casi su posizione prese. Ma il malevolo, subdolo, schifoso inganno all’opera è far passare l’ipocrisia per empatia, mettendo al centro della questione i piccoli narcisismi dell’indignazione a buon mercato.
Se non ci fosse questa manipolazione sottintesa, dovremmo constare l’assurdità di un Presidente di Regione che prima difende l’indifendibile facendosi scudo dietro la libertà di espressione (non degli artisti ucraini uccisi a frotte, sia chiaro), poi ammette che alla fine va considerato impresentabile anche un altro invitato, e quindi pari e patta. Chissà la gioia di Oren quando saprà quanto e come è tenuto in considerazione, per il semplice fatto di essere israeliano. Chissà la gioia di quegli artisti e intellettuali russi che hanno dovuto abbandonare il paese.
Immaginate una persona che va davanti a cento, mille parenti di vittime di una guerra e dice loro: “adesso si esibirà l’amico del ricercato internazionale che ha bombardato le vostre case, ammazzato i vostri figli, torturato e stuprato le persone a voi care, e forse pure qualcuno dei presenti. Niente contro di voi, eh, sia chiaro, abbiamo infatti anche l’esibizione di un direttore d’orchestra israeliano perché siamo a favore della diplomazia”. Cosa gli andrebbe risposto a uno così? “Meno male che Assad non ha un amico violoncellista, sennò invitavi pure quello”?
L’empatia dovrebbe essere altro, ad esempio sentire centinaia di sguardi di sopravvissuti e parenti delle vittime addosso prima di dire “e allora Daniel Oren?”. Non è il ridurre qualunque dimensione politica a un bambino frignone che guarda il vicino di banco e si lamenta. O l’adulto che sobilla perché la massa indignata sarà troppo distratta per chiedergli conto di qualche magagna.
(Immagine anteprima: frame via Facebook)








Jack
Lo scandalo di questo evento pseudo-culturale riporta per l’ennesima volta, a mio avviso, a quello che è stato il problema dell’Occidente negli ultimi 35 anni: non capire che mentre noi ragionavamo in termini di un mondo globalizzato, dove economia, finanza e tecnologia avrebbero attenuato le differenze e promosso l’integrazione non solo fra sistemi politico-economici ma anche fra i popoli, Putin ha continuato a ragionare come ai tempi della guerra fredda, cioè dividendo il mondo in bianco e nero. Mentre in Occidente ci siamo cullati nell’illusione che il mondo in bianco e nero fosse stato definitivamente superato con la fine dell’URSS (fine del comunismo = fine della storia = fine del politico), il potere putiniano si è costruito esattamente sulla base di questo schema dicotomico: il bene contro il male, i buoni contro i cattivi, dove è superfluo specificare che a costituire il termine positivo dell’alternativa è sempre la “Russia”, ovvero ciò che un potere arbitrario e dittatoriale decide essere e volere la “Russia” in quel momento. Di fronte ad un nemico per il quale la guerra fredda non è mai finita (e gli anni ’90 hanno rappresentato solo una fase di momentaneo svantaggio), e che pertanto ha sempre continuato a ragionare secondo la sua logica binaria, una parte importante delle classi dirigenti e dell’opinione pubblica occidentali è disarmata della giusta mentalità, poiché ha perso il concetto stesso della dicotomia radicale (leninista e schmittiana) amico/nemico. Molti in Occidente, anche di fronte all’evidenza più netta che Putin ci ha imposto nuovamente lo schema amico/nemico, si arrampicano su tutti gli specchi della menzogna e della rimozione per negare che ciò sia vero e per sostenere (l’inversione accusatoria tipica del KGB) che sia frutto della “propaganda atlantista e guerrafondaia”, ripetendo (poco importa se per personale adesione ideologica, stupidità o partecipazione attiva alla rete propagandistica russa) quello che è il nucleo del verbo del Cremlino: la “complessità” non ammette distinzioni chiare, le responsabilità sono indecidibili perché ugualmente distribuite, libertà significa porre su un piano di perfetta equivalenza – così svuotandoli e riducendoli a puro nominalismo – il bianco e il nero; certo di notte tutti i gatti sono bigi, dice un proverbio. L’idea che ospitare un direttore d’orchestra che versa tasse e donazioni alla macchina terroristica putiniana costituisca una forma di encomiabile sforzo di promozione del dialogo culturale trova fertile terreno per questo capovolgimento orwelliano della realtà: mentre Putin fa valere nel modo più feroce il proprio diritto ad agire secondo la distinzione amico/nemico (sorta di teologia negativa che prevede la finale liquidazione fisica dell’avversario, come ampiamente provato), noi dovremmo rinunciare non solo ad adottare la stessa prassi ma pure a riconoscere che tale è la prassi putiniana, pena l’essere accusati di russofobia, odio per la cultura russa, bellicismo, asservimento alla propaganda della NATO, stoltezza da ebeti e molto altro. C’è un che di tragico in tutto questo: perché se una cosa ci ha insegnato il Novecento è che il bene e il male esistono e non sono equiparabili o confondibili; che lo sterminio sistematico dei civili, le torture inflitte in spregio di qualsiasi senso di umanità, il rapimento del futuro di un popolo attraverso il ratto dei fanciulli in omaggio ad una bieca e delirante visione imperialista sono e restano il male, non altro. Da uomo del Novecento io so (ecco l’arrogante con la verità in tasca! Dagli allo schiavo del mainstream!) che non esiste e non è possibile alcun compromesso o “pensiero alternativo” a questo proposito, sicché veder annegare la limpidezza di questa distinzione nella melassa dell’indistinto, del “nulla è vero tutto è possibile” non è un dolce naufragare ma un tragico spreco: se tutto è solo nominalismo (o “narrativa”, come si dice oggi) e tutti i nomi si equivalgono perché puri flatus vocis i grandi mostri del Novecento sogghignano soddisfatti perché le tragedie che hanno inflitto all’umanità non sono servite a niente, perché non abbiamo imparato niente se c’è sempre qualcuno interessato a cancellarne l’insegnamento per normalizzare la propria barbarie nel pozzo dell’indifferentismo morale, col sostegno di tanti volenterosi carnefici e tanti sordidi araldi. Con la sua farsa e le sue pseudo-argomentazioni, ripetute con l’arroganza che gli è tipica, De Luca ci sta dicendo che garanzia di onestà morale e intellettuale è oggi unicamente la fuga dalla libertà, il rifugio nell’abbraccio dell’indistinto e nella neo-lingua orwelliana: allegorie intellettuali di quello che Paolo Borsellino chiamava semplicemente, con tutta la ripugnanza del caso, il puzzo del compromesso morale. Faceva forse qualcosa di diverso David Irving, in fondo, con la sua infame battaglia per la negazione dell’Olocausto? A me non sembra.
Matteo Pascoletti
Ha molto senso quanto osservi, alla fine la più dura lezione che abbiamo imparato negli ultimi anni è che il negazionismo (ne abbiamo visti diversi all'opera) non è poi un atteggiamento così fuori dal mondo o assurdo come si credeva.
Jack
Grazie per l’apprezzamento. Negare la realtà è talvolta una reazione umanamente comprensibile, ma più spesso, specie per i vari negazionismi osservati negli ultimi anni, è una scelta in palese malafede non di rado funzionale ad un intento di destabilizzazione. È sconsolante che a sinistra, cioè da una parte politica che dovrebbe fare della critica dell’esistente la propria bussola e delle altrui contraddizioni un proprio punto di forza, non si riescano a superare una volta per tutte (salvo esempi di dirittura morale come Pina Picierno) ambiguità e reticenze che potrebbero senz’altro essere lasciate alle destre e costituire per le destre altrettante imbarazzanti vulnerabilità. Le questioni aperte su cui impegnare il confronto certo non mancano.
Gennaro Varriale
L'occidente ha sempre avuto l'obbiettivo di imporre il suo comando sul mondo intero, ovviamente nel tempo ha dovuto adattarsi alla realtà del tempo e quindi ha cambiato lo strumento con cui opprimeva gli altri, per cui prima il colonialismo, poi il globalismo, poi etc. etc.
Matteo Pascoletti
L'unico motivo per cui interessa il "colonialismo dell'Occidente" in casi del genere è perché permette un comodo posizionamento morale a costo zero, basato su un'idea molto astratta di nemico e una lettura narcisistica dei conflitti. Altrimenti bisognerebbe iniziare ad avere uno sguardo antimperialista un po' più in grado di abbracciare la complessità e un po' meno basato sulle proprie idiosincrasie, e smettere di pensare che tutti i mali del mondo siano colpa nostra. Ad esempio, prendiamo il continente africano: https://www.valigiablu.it/gruppo-wagner-africa-russia-cosa-fa/https://www.valigiablu.it/gruppo-wagner-africa-russia-cosa-fa/ https://www.valigiablu.it/cina-interessi-africa/ Temi di cui una delle sinistre più immature d'Europa - buona parte di quella italiana, e lo dico con enorme sconforto - si tiene ben lontana, e che quindi contribuiscono a plasmare una visione del mondo totalmente inadatta a elaborare una qualsivoglia strategia o piattaforma politica degna di essere considerata tale.
Michele Bena
Impedire ad un artista di sicuro valore di esibirsi per ragioni non artistiche ma bensì ideologiche e' e resta una censura. Se fossimo veramente un paese libero e democratico queste censure dovremmo assolutamente evitarle
Matteo Pascoletti
Impedire a un propagandista di usare l'arte come pretesto per rafforzare l'immagine di un regime invasore mi pare un atto di dignità umana basilare. Ma capisco che per qualcuno è più importante sputare in faccia a tutti gli artisti russi dissidenti costretti a lasciare il paese - o sulle loro tombe. Senza contare gli artisti ucraini uccisi in questi ultimi anni. Sarebbe dignitoso non fingere (per rispetto nei loro confronti) che interessi la libertà di espressione: risparmiamoci almeno questa ipocrisia. Le carceri russe sono piene di persone che non possono contraddire questi astratti proclami con cui ci si riempie la bocca per sentirsi migliori
Michele Bena
noi però non siamo come i russi putiniani, questo è il punto!
Michele Bena
Noi non siamo russi putiniani, questo è il punto!
Matteo Pascoletti
Infatti, casomai siamo italiani filoputiniani e/o italiani che disprezzano gli ucraini, o che sono disposti a vederli cancellati pur di nutrire un infantile anti-occidentalismo che non ha alcuna aderenza con il vissuto umano delle zone di guerra. Ma siccome non abbiamo la decenza e l'onestà di ammetterlo ci nascondiamo dietro fasulli dibattiti sulla "libertà di espressione", o sulla "censura", scadendo ovviamente nel ridicolo se si prende solo il punto di vista di cosa accade in Russia ai dissidenti.
francesco Giordano
Due pesi due misure. Per i genocidi nessun boicottaggio, anzi pieno sostegno come fa la Picierno...e gli altri accoliti nazi sionisti.
Jack
Trovo singolare la critica di doppiopesismo. A me sembra infatti che tanto l’articolo quanto il mio commento iniziale siano circoscritti ad un tema ben preciso, la guerra in Ucraina e le sue conseguenze: non vedo come si potrebbero (a meno di non incorrere in uno sdoppiamento schizofrenico) applicare due pesi e due misure parlando di un unico argomento.
Jack
È sempre un piacere riscontrare l’attenzione di interlocutori colti e raffinati.
Michele Bena
Signor Matteo Pascoletti la ringrazio molto del fatto che risponda personalmente ai commenti, anche se, a dire il vero , hanno un tono decisamente aggressivo. Sono contento che Lei possa sentirsi un buono e possa credere che impedire a un direttore di orchestra di alto valore ( ma questo a lei non interessa, la musica qui non interessa a nessuno, qui interessa solo la politica) di dirigere ad un festival musicale. E soprattutto che questa sia considerata una buona azione qui in Italia e non la in Russia dove appunto regna l' oscurantismo e la soppressione ideologica. Chissà, forse così finirà prima quella maledetta guerra, d tanto a lei la musica non interessa
Matteo Pascoletti
Ciao Michele, se ti sembra più aggressivo il mio tono rispetto a un propagandista di regime che usa l'arte come scusa per promuovere attivamente le nefandezze di quel regime, è evidente che abbiamo una scala di valori incompatibile. Non c'è bisogno che mi chiami "Signor", ma se proprio vuoi usare un titolo, allora sono "Dottore".
Michele Bena
In tre rispste mi ha zittito subito dandomi del putiniano e poi massacrato come persona con scala di valori incomparabile. Tutto ciò perché ho scritto un commento di tre righe non in linea col suo pensiero unico incriticabile. Mi chiedo perché gestisca una discussione, a cosa serva. Intitoli l' articolo" Verità assoluta indiscutibile sul ca Gergiev" così la risolve subito. A un direttore di orchestra è stato impedito di dirigere, non è in grado di farlo? No lo fa benissimo! Ha commesso reati? Non mi risulta! Però si fa lo stesso! Evidentemente è una cosa neppure discutibile. A non risentirci, egregio Dottore!
Matteo Pascoletti
Ciao, hai usato la prima persona plurale, ti ho risposto usando la prima persona plurale: se ti sei sentito chiamato in causa mi spiace, ma non è un mio problema, sorry. Così come se hai dovuto specificare che non sei "filoputiniano" fin da subito, forse qualche domanda devi fartela. Filoputiniano è Gergiev, sul quale devo correggere la tua lacunosa definizione: è un propagandista complice di un regime criminale. Sennò è come dire che Goebbels era un giornalista: diciamo che ci sono un paio di omissioni intenzionali nella definizione. Comunque alla fine non si è esibito e sono molto contento: per una volta ha vinto la dignità e la resistenza culturale ai fascisti russi.